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Foglio AI
Sam Altman a Ted. Il fondatore di OpenAI racconta il futuro che stiamo già vivendo, tra meraviglia e paura
L’intervento di Altman traccia l’evoluzione dell’AI come processo graduale ma irreversibile, destinato a ridisegnare la nostra quotidianità. Tra visioni personali e dilemmi etici, emerge un nuovo equilibrio tra potere tecnologico e responsabilità umana
L’intelligenza artificiale non è un evento, è un’escalation. Sam Altman, sul palco del TED, lo dice con parole calme ma con il tono di chi sa che il mondo sta cambiando a velocità vertiginosa. “Non c’è un momento magico in cui diremo: adesso abbiamo l’AGI. Ci arriveremo per gradi, passo dopo passo, e poi andremo oltre”. L’intervista con Chris Anderson – lunga, serrata, ricca di esempi, dubbi e confessioni – restituisce il senso profondo di quello che OpenAI sta facendo: non costruendo un’intelligenza come la nostra, ma un ecosistema nuovo in cui vivremo accanto a qualcosa che ci conosce, ci assiste, ci supera.
Nel racconto di Altman, ChatGPT non è più (solo) un chatbot. E’ un compagno che accumula memoria, che ti conosce, che ti aiuta a “essere il miglior te stesso possibile”. Un’estensione della tua mente, “un caricamento progressivo del cervello”, come lo definisce uno dei suoi ricercatori. Altman racconta di un modello che cresce con te, che sa chi sei, cosa ti interessa, che può (forse presto) aiutarti a essere pubblicato, a scrivere un libro, a gestire il tuo lavoro. Proprio come l’AI del film “Her”, solo che non è più fantascienza.
Eppure, nonostante l’euforia (o proprio a causa di essa), Anderson incalza sulle paure. Sull’etica, sul potere, sui rischi. Sulle fughe in avanti. E sulla proprietà intellettuale: perché ChatGPT può scrivere in stile Charlie Brown o Carol Cadwaladr, anche se gli autori non hanno acconsentito? Altman risponde con cautela e ambizione: “Vogliamo costruire strumenti che esaltino lo spirito creativo umano. Serve un nuovo modello economico per riconoscere i diritti e i meriti, ma l’ispirazione reciproca è sempre stata parte dell’arte”. Il confine, però, è labile. “Chi decide quanta influenza è troppa? Chi stabilisce quando una citazione diventa plagio?” Sono domande aperte, che richiedono un equilibrio nuovo tra libertà e giustizia creativa.
Una delle svolte più nette, nell’intervista, riguarda gli agentic systems: software capaci non solo di rispondere, ma di agire. “Abbiamo lanciato Operator”, dice Altman, “un sistema che può prenotare un ristorante, interagire col mondo, accedere ai tuoi dati”. E’ il passo più delicato: “Quando l’AI fa clic sul tuo computer, sbagliare ha un costo più alto”. Ed è anche il momento in cui sicurezza e usabilità coincidono: “Se non ti fidi del tuo agente, non lo userai”. La fiducia, dunque, non è un optional: è la condizione di esistenza della nuova tecnologia.
Altman non nega i timori. Anzi, li prende sul serio. Parla di “prepareness framework”, di test interni, di soglie da non superare. Ma rifiuta l’idea che basti un’agenzia governativa per regolare tutto: “Preferisco capire cosa vogliono centinaia di milioni di utenti, non cento esperti in una stanza. L’AI può aiutarci a decidere insieme, in modo più saggio”. La democrazia dell’algoritmo contro l’élite delle regole? E’ una provocazione, ma anche un’espressione della sua visione: “Non possiamo fermare questa tecnologia. E’ come una scoperta scientifica fondamentale. Dobbiamo farla nostra con cautela, ma senza paura”.
Poi ci sono le confessioni più personali. Altman padre, Altman CEO, Altman davanti all’“anello del potere” evocato da Elon Musk. “Mi sento uguale a prima”, dice. “Forse sono cambiato, ma non me ne accorgo. La vita quotidiana è rimasta monotona – e lo dico nel miglior modo possibile”. A chi gli chiede conto del passaggio da “open” a “for-profit”, risponde: “Non sapevamo cosa sarebbe servito per costruire tutto questo. Ma non abbiamo tradito la nostra missione: diffondere l’AGI a beneficio di tutti”.
Il momento più toccante arriva alla fine. Anderson chiede che tipo di mondo immagina per suo figlio. E Altman, senza retorica, descrive un futuro in cui la tecnologia sarà scontata come oggi lo è un iPad per un bambino. “I miei figli non cresceranno in un mondo senza intelligenze artificiali capaci, attente, personalizzate. Sarà un mondo con abbondanza materiale, cambiamenti rapidi, e possibilità straordinarie”. E se ci guarderanno con nostalgia, sarà solo perché non sanno quanto era dura la vita senza tutto questo.