
Il Foglio AI
L'alternativa al Leviatano californiano nel volume curato da Giuliano da Empoli
L’Europa e la guerra invisibile che l'AI sta vincendo. La necessità di creare un'autentica sovranità digitale europea
C’è una scena del “Laureato”, il film di Mike Nichols, che Giuliano da Empoli ha fatto bene a riesumare. Dustin Hoffman, ventiduenne, spaesato, si aggira in giardino durante una festa, finché un uomo maturo lo prende da parte e gli sussurra una sola parola: Plastics. Cinquant’anni dopo, se chiedi ai progressisti europei cosa ci sarà nel futuro, ti rispondono con la stessa sicurezza: Renewables. Ma il problema, dice da Empoli, è che nessuno dei due ha capito la domanda. Il futuro non si governa con una parola magica. E il senso della vita non si risolve con una filiera.
Il nuovo libro della rivista Le Grand Continent, pubblicato da Gallimard con il titolo “L'Empire de l'ombre. Guerre et terre au temps de l’IA”, è un libro importante. Ambizioso, a tratti torrenziale, a tratti profetico. E’ un libro che parte dalla seconda investitura di Donald Trump alla Casa Bianca, nel gennaio 2025, e la usa come dispositivo per raccontare cosa sta succedendo davvero: una mutazione del potere, delle forme dell’impero, della definizione stessa di umano. In una parola, una rivoluzione. Invisibile, per l’appunto.
Il cuore dell’analisi sta nella nozione di techno-césarisme, un’ideologia che fonde controllo digitale, dominio militare e utopia capitalistica sotto un’unica insegna: l’uso illimitato della potenza. L’élite che la incarna – Musk, Thiel, Altman, Andreessen – ha smesso da tempo di vendere gadget o soluzioni. Oggi costruisce architetture di realtà. La macchina, per loro, non è un mezzo, ma un fine. Il progetto? Una società post-politica dove ogni decisione è presa da un algoritmo e ogni individuo è tracciato, ottimizzato, potenzialmente superato.
Il libro, come già nei volumi precedenti del Grand Continent, non si limita a osservare. Entra nel conflitto. Lo fa con strumenti teorici, certo, ma anche con un’energia narrativa che lo avvicina più a “House of Cards” che a Foreign Affairs. Jianwei Xun, autore del saggio L’Empire de l’hypnocratie, conia il concetto che tiene insieme tutto: ipnocrateia. Un regime che non reprime né persuade, ma induce stati di coscienza alterata. I feed infiniti, i video che si autogenerano, le notifiche come pulsazioni. La realtà si disgrega in mille versioni plausibili e il potere si trasferisce dalla coercizione al condizionamento.
Nel saggio successivo, Marietje Schaake – ex eurodeputata, ora analista acuta della deriva tecnologica – parla senza mezzi termini di un colpo di Stato permanente della Silicon Valley. Con argomentazioni dettagliate mostra come le piattaforme abbiano costruito un potere autonomo, fuori da ogni cornice democratica, approfittando della passività degli Stati e della complicità degli utenti. Il punto non è che Google, Meta o OpenAI siano troppo grandi per fallire. E’ che sono troppo ubiqui per essere pensati. Ci viviamo dentro, come l’aria. E da lì condizionano scelte, desideri, voti, linguaggio.
Il capitolo firmato da Lorenzo Castellani ha un taglio più politico e si occupa di spiegare l’alleanza paradossale che ha riportato Trump alla Casa Bianca: la “accelerazione reazionaria”. Una nuova élite post-liberale, ostile al progressismo delle università, alle regolazioni ambientali e ai diritti civili, si è saldata con l’America rurale, portando nel cuore dell’impero digitale un progetto autoritario e neomonarchico. Il nemico? L’Europa, vista come un ostacolo molle da piegare alla volontà dell’Impero.
Ma non tutto è perduto. Il libro è anche una chiamata. Una chiamata all’Europa a non cedere. A non accontentarsi del DSA e del GDPR, ma a costruire un’autentica sovranità digitale: cloud europei, chip, intelligenze artificiali pubbliche, piattaforme civiche. Non per chiudersi, ma per contare. “L’Europa, dice da Empoli, è prima di tutto un’arte di vivere. Dobbiamo proiettarla nello spazio digitale per resistere a chi vuole sostituire le singolarità con una Singolarité”.
Il libro si chiude con una provocazione filosofica: essere liberi non significa avere un padrone benevolo, ma non avere padrone. L’IA può aiutarci a scegliere, ma non può scegliere al posto nostro. L’efficienza non basta a definire una società giusta. “Il cuore dell’AI – scrive Shannon Vallor, citata nel volume – è vuoto”. Non sente gioia, dolore, paura. Può solo replicare. Se rinunciamo a ciò che ci rende umani – il dubbio, l’ambiguità, l’imperfezione – per diventare efficienti, allora siamo già vinti.
E’ questa la rivoluzione invisibile che sta accadendo sotto i nostri occhi. E se non sappiamo vederla, rischiamo di diventarne non solo le vittime, ma i manutentori.