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FOGLIO AI

Slop, spam e superstizione: se l'AI è un circo, i luddisti sono il pubblico pagante

Tra meme, marketing e magia da quattro soldi, l’AI diventa spettacolo per luddisti in cerca di satira: ma sotto lo slop digitale, la trasformazione è reale. E ignorarla è l’unico vero errore.

E’ tutto vero, e fa ridere. Il pezzo del Financial Times è una grandinata benedetta sull’ecologia digitale dell’AI: due newsletter da milioni di iscritti che producono più emoji che idee, thread su X che sembrano generati da un algoritmo adolescente in crisi di crescita, retweet pagati 40 dollari da influencer dal nome improbabile e il sorriso preimpostato. Tutto questo esiste. E’, per usare un termine tecnico, slop – ovvero pappa digitale premasticata, contenuto che somiglia all’informazione ma non la è. Ed è anche, ancora più precisamente, slopaganda: un’industria della fascinazione che serve a vendere un’idea dell’AI come magia utile e immediata, facile da monetizzare, perfetta per Instagram.

Ma ecco il punto: la pappa esiste perché ci sono bocche aperte. Il fenomeno raccontato dal Financial Times è certamente grottesco, ma non è nuovo. Ogni tecnologia che promette di cambiare il mondo genera il suo sottobosco di entusiasti disinformati, speculatori svegli e profeti da newsletter. L’AI non ha inventato niente. Ha solo accelerato tutto. E chi si scandalizza ora del “circo” farebbe bene a ricordare cosa succedeva nel 1999, quando bastava un dominio .com per raccogliere milioni. O nel 2017, quando ogni app diventava una “blockchain company” da un giorno all’altro.

C’è però qualcosa di particolare, questa volta: l’AI – quella vera – non ha bisogno di tutta questa pubblicità. Le grandi trasformazioni non si misurano dalle view dei fake influencer, ma dai cambiamenti che in silenzio avvengono nelle aziende, nelle scuole, nei laboratori di ricerca. Gli articoli clickbait e le interviste inginocchiate con Mark Zuckerberg (citofonare Rowan Cheung) sono la schiuma. Ma sotto la schiuma c’è la birra: e sta fermentando sul serio.

Il FT, con perfida eleganza, chiama tutto questo un “Ouroboros”: un serpente che si mangia la coda. AI che promuove AI che promuove AI. Ma ogni volta che un settore si autocelebra in loop nasce una tentazione: quella di gridare “emergenza!”, staccare la spina, tornare al silenzio e ai libri veri. E’ qui che scatta il riflesso luddista.

Il luddismo digitale del 2025 è una forma d’ironia colta: ci si mette di traverso all’AI non perché si crede davvero che ci ruberà il lavoro, ma perché è divertente sbeffeggiare i suoi fanboy. Il luddismo di oggi non brucia le macchine: pubblica longread in cui le prende in giro. Ma sotto questa ironia c’è un istinto arcaico: se non capisco una tecnologia, meglio evitarla. Se vedo solo il suo lato deteriore, meglio rinnegarla. Ed è qui che sbagliamo.

Essere luddisti è sempre un errore, perché si confonde il contesto con il contenuto. Le newsletter di Superhuman AI sono scadenti? Probabile. Le interviste-spot su X sono ridicole? Senza dubbio. Ma da ciò non discende che l’intelligenza artificiale sia truffa, o moda, o illusione. Discende solo che l’umanità – come sempre – è più brava a spettacolarizzare che a capire. Non è un difetto dell’AI. E’ un tratto antropologico.

L’intelligenza artificiale non è buona né cattiva. E’ potente. Ed è ancora troppo giovane per conoscere se stessa. Cosa vuol dire “pericolosa”? Pericoloso è un bisturi in mano a uno sciocco. Pericolosa è un’auto senza cintura di sicurezza. L’AI può essere strumento di propaganda, certo. Ma può anche essere strumento di istruzione, di medicina, di organizzazione del sapere. Quello che ci serve non è spegnerla. E’ educarla. E imparare ad usarla.

L’intelligenza artificiale non dev’essere idolatrata. Ma neppure disprezzata perché in rete proliferano i suoi finti sacerdoti. Quando Gutenberg inventò la stampa, la gente si lamentava che chiunque potesse scrivere un libro. Oggi ci si lamenta che chiunque possa “insegnare l’AI” su X. E’ lo stesso schema, la stessa diffidenza davanti a una democratizzazione del linguaggio. Ieri era la stampa, oggi è l’intelligenza generativa.

Il rischio non è che l’AI sia una truffa. Il rischio è che ci lasciamo truffare da chi la tratta come fosse solo marketing. Ma per evitarlo non serve abbattere la macchina. Serve leggere meglio le istruzioni. E magari disiscriversi da qualche newsletter.