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FOGLIO AI

Perché il prossimo Papa interessa anche a chi non crede

 Non riguarda solo la fede ma il modo in cui intendiamo libertà e futuro. Un dialogo tra due pensatori laici

Anna Feldman (filosofa politica):  Non sono mai stata credente. Ma non posso negare che la Chiesa cattolica resti una delle poche istituzioni capaci di pensare l’umano non solo in termini di efficienza o utilità. Per questo guardo al prossimo conclave con un’attenzione che non è solo curiosità. Se il prossimo Papa sarà in continuità con Bergoglio, o se sceglierà la rottura, cambierà anche il modo in cui il mondo laico potrà pensare se stesso.

Julien Moreau (storico): E’ vero. E aggiungerei: Francesco ha proposto una figura di Chiesa molto particolare, più ospitale che dottrinale, più missionaria che giudicante. Una Chiesa che si inginocchia prima di parlare. Se la continuità prevarrà, vedremo ancora questo stile: prossimità, attenzione alle periferie, un pensiero sociale molto presente. Se invece si opterà per una discontinuità, sarà un segnale forte di ritorno all’identità, alla differenza, forse a una maggiore distanza dal mondo contemporaneo.

Feldman: E tutto questo, anche per noi laici, ha conseguenze. Una Chiesa che continua a investire su apertura e misericordia resta un argine contro il cinismo culturale. Resta un luogo dove la vulnerabilità non è una colpa. In un'epoca che tende a selezionare, ad accelerare, ad escludere chi non tiene il passo, è una posizione politica prima ancora che religiosa.

Moreau: Ma non sottovalutiamo il bisogno di identità. La crisi di attrattività della Chiesa, specie in Europa e Nord America, è anche figlia di un’eccessiva somiglianza ai discorsi laici: inclusività, ecologia, diritti. Se la Chiesa appare come una Ong spirituale, perde il suo peso. Per molti, un cambio di rotta – una discontinuità – sarebbe il tentativo di riaffermare una differenza radicale: Dio contro il mercato, eternità contro immediatezza, comunità contro individualismo.

Feldman: Capisco. Ma ho paura che una Chiesa troppo concentrata su sé stessa finisca per essere irrilevante. Una cittadella assediata, incapace di parlare ai conflitti veri della contemporaneità. L’eredità migliore di Francesco, a mio avviso, è aver ricordato che il cristianesimo è una relazione, non una regola. E che la verità non è un bastione da difendere, ma un incontro da proporre.

Moreau: E tuttavia la proposta cristiana è, o dovrebbe essere, scandalosa. Non può diventare una conferma dei valori correnti. Quando la Chiesa sfida il mondo, paradossalmente, è più fedele a se stessa. Anche chi non crede percepisce il valore di una voce che non si allinea. Il rischio di una Chiesa troppo in continuità con Francesco è, per alcuni, quello di una Chiesa che confonda compassione con complicità, accoglienza con resa.

Feldman: Forse. Ma c’è anche un’altra questione: il mondo oggi è pieno di muri, di identità chiuse, di nazionalismi religiosi e culturali. Se la Chiesa scegliesse di alzare muri invece di costruire ponti, non farebbe altro che rafforzare quella logica. La grande forza della Chiesa bergogliana è stata proporre una terza via: né dissoluzione, né chiusura. Una comunità che non cancella le differenze, ma le assume.

Moreau: Ma questo modello richiede una maturità che pochi hanno. E’  più facile trovare conforto in un’identità forte che vivere l’incertezza della relazione. E’ più semplice dire ‘noi’ contro ‘loro’ che camminare con chi è diverso. Forse la discontinuità attirerà proprio per questo: per il bisogno di chiarezza, di protezione.

Feldman: Allora la vera domanda è: che tipo di umano vogliamo favorire? Un umano che si definisce per esclusione, o un umano che rischia il legame? Il prossimo Papa non sceglierà solo una linea ecclesiale: contribuirà a orientare il nostro immaginario civile. Continuità o discontinuità significa scegliere tra due idee diverse di libertà: libertà come difesa di sé, o libertà come dono di sé.

Moreau: Mi colpisce che siamo d’accordo, pur partendo da percorsi diversi. Personalmente non credo in Dio, ma credo nel valore di un’istituzione che ricorda agli uomini che non sono soli. Una Chiesa che ripiega su di sé sarebbe più debole, più insignificante. Una Chiesa che continua a rischiare l’apertura – anche al prezzo dell’ambiguità – sarebbe più fedele alla sua vocazione universale.

Feldman: Esatto. Anche se questo comporta accettare il rischio della complessità, dell’incompletezza. Una Chiesa in continuità con Francesco continuerà a essere una provocazione: contro la logica del merito, contro la dittatura del presente, contro l’idea che si possa vivere senza comunità. Una Chiesa in discontinuità, invece, potrebbe essere un rifugio per chi ha paura di perdere sé stesso in un mondo fluido.

Moreau: Ecco perché anche noi laici dovremmo interessarci a questo conclave. Non solo per vedere chi sarà eletto, ma per capire quale tipo di mondo spirituale si sta preparando. Perché, volenti o nolenti, la Chiesa resta una delle poche realtà capaci di dire qualcosa di radicale sull’umano.

Feldman: Non serve essere credenti per capire che ogni società ha bisogno di luoghi che ricordino che l’essere umano non si esaurisce nel consumo, nella tecnica, nella performance. E la Chiesa, anche imperfettamente, è uno di quei luoghi.

Moreau: Per questo motivo, qualunque sia il prossimo Papa, la domanda centrale resterà la stessa: sarà capace di parlare non solo ai fedeli, ma anche a chi, come noi, cerca ancora un senso nel frammento?

Feldman: Forse non troveremo una risposta chiara. Ma sapere che qualcuno continua a porre la domanda, anche questo, è già una speranza.


La conversazione finisce, ma l’eco delle loro parole rimane. Non si tratta solo di scegliere un Papa. Si tratta di scegliere che tipo di mondo vogliamo abitare.