Lo slow motion è una ricreazione del mondo
Dal “calcio del reazionario” di Fabro alla capriola di Munari. Rallentare il tempo. La bellezza sperimentale della tecnologia
Camera fissa: si vede il muro bianco, probabilmente quello del suo studio e quel poco di pavimento necessario all’azione, l’ambiente è spoglio, radicale e funzionale.
Il soggetto del video è Luciano Fabro, dopo due secondi entra in scena camminando con passi decisi, allungati poco più del normale. Al terzo passo che affonda nello spazio inizia lo slow motion e il piede che rimane indietro nella camminata volutamente calcia il piede che spingeva il corpo in avanti, facendolo cadere a terra.
Fabro si rialza immediatamente ed esce dall’inquadratura con la stessa determinazione dell’inizio.
Sul muro bianco di sfondo, ormai diventato dispositivo di visualizzazione, compare la scritta in stampatello:
IL MOTO DEL REAZIONARIO
SE IL TUO PIEDE SINISTRO STA SPOSTANDOSI IN
AVANTI, ANTICIPALO, CALCIANDOLO CON IL DESTRO.
LA PIROETTA CHE FARAI SARA’ LA DANZA DEI
VALORI ETERNI DELLA SPECIE.
Sono passati 23 secondi, il video è finito e quella che è la registrazione di una azione a me sembra la messa in pratica di un concetto la cui esistenza in natura viene legittimata dalla forza di gravità. Causa-effetto mimano la ripetizione della storia, rappresentata come un fenomeno fisico o come lo sgambetto a se stesso.
“Tempo nel tempo”: Bruno Munari filma nel 1964, il salto mortale all’indietro di un atleta.
3.000 fotogrammi di pellicola al secondo descrivono in tre minuti di slow motion, il suo distacco da un cubo rosa e l’atterraggio poco più indietro.
La camera è fissa e riprende l’esercizio di profilo, i movimenti dell’atleta sono perfetti, il suo corpo perde peso e diventa la lancetta di un orologio.
Il rallentamento rappresenta la bellezza sperimentale della tecnologia di quegli anni, e si esprime nella ricchezza dei dettagli di un corpo in rotazione nello spazio. Siamo di fronte alla decisione di saltare, quindi i movimenti che si faranno possono essere anticipati col pensiero: appena i piedi lasciano il piedistallo si innesca un processo irreversibile fino al momento dell’atterraggio e lo slow motion renderà visibili le imperfezioni del movimento calcolato.
Questo video è stato realizzato come una pubblicità per Tissot e Munari afferma di averlo fatto “perché faceva vedere che la ditta conosceva il tempo e quindi sapeva fare bene gli orologi”.
La natura del tempo coesiste con la sua versione rallentata, ed è come una scrittura visiva in cui il tempo ci aiuta a concepire la propria struttura.
“Clapping music” di Steve Reich, 1972, è un brano minimalista suonato solo con le mani da un numero variabile di persone.
Steve Reich usa la tecnica di “phasing”, inteso come sfasamento temporale tra due strumenti: le mani, che poi gradatamente si riallineano e che possono avere come base una o più combinazioni musicali uguali o anche diverse.
Anche in questo caso si innesca un processo che, nonostante l’automatismo del ritmo, produce sequenze inaspettate.
Egli afferma più volte che per lui la ripetizione è natura; lo scorrere di un fiume può essere inteso come un flusso ritmico e asimmetrico.
Il valore musicale è un piccolo disordine causato dalla progressiva rottura della combinazione ritmica, nel quale si può nuotare e respirare, per poi tornare al punto di partenza.
Parigi. Verosimilmente anni ’50. Un tizio sale sull’autobus, assiste a un litigio tra due passeggeri, uno dei quali scende. Qualche ora più tardi il narratore lo rivede in un altro punto della città mentre parla con un conoscente.
Raymond Queneau, questa scena di semplice vita quotidiana, nel suo “Exercices de style”, 1947, la reinterpreta riscrivendola 99 volte in mondo diverso.
Concepito come una serie di varianti sullo stesso tema, il libro privilegia il meccanismo di formulazione del racconto invece della trama.
L’opera prende forma nelle differenti possibilità di rivelare lo stesso avvenimento e nella ripetizione intesa come un ampliamento dei fatti reali.
L’attenzione del lettore si concentra sulle architetture di parole e sulle variazioni, che sono il senso e la materia di cui è composto il libro.
Le parole sono in moto come particelle addette alla ricomposizione di un fenomeno che si ripete.
E’ come un periodo di rivoluzione: il tempo che impiega un corpo gravitante per compiere un’orbita completa e poi ricominciare da capo il suo percorso.
Il piede destro, una volta calciato quello sinistro, interrompe l’equilibrio del moto attivandone uno nuovo, riorganizzando le forze che lo compongono in una specie di improvvisazione del presente, per limitare i danni della caduta.
Quella del reazionario non è un salto ma una dolosa perdita di equilibrio. L’ordine imposto al piede destro di calciare quello sinistro è come buttare un secchio di acqua in un barile di benzina: crea un apparente disordine nella mescola tra le due sostanze incompatibili per poi tornare allo stato di quiete.
E’ proprio in quella misura del disordine e ripetizione che ho concentrato i miei pensieri, nell’atto di raccontare l’evidenza ricreando il fenomeno; in un certo senso è proprio rimettendo in scena il delitto che possiamo scoprire l’assassino, il suo motivo e la sua audacia.
*Diego Perrone, artista, vive a Milano