La chiusura di Metro Pictures a New York, uno dei più importanti motori dell’arte contemporanea, segna un cambio d’epoca
Sono passati dodici mesi dall’inizio dell’emergenza pandemica da Covid-19. C’è chi dice che siamo a metà strada, i virus hanno durata media di due anni e gli esseri umani possono solo arginare i danni ma non eliminare del tutto l’imponderabile. Altri sono convinti che queste misure pasquali saranno le ultime, che la prossima estate sarà quella del ritorno obbligato alla spensieratezza, sovrapponendo speranze collettive a certezze scientifiche. C’è invece chi trova rifugio nella dissoluzione della ragione per sostituirla con il rancore, chiude gli occhi e si immagina di vivere costretto in un complotto mondiale e che solo ignorando il dramma quotidiano attorno a sé si può reagire (in nome della libertà!) a questa combutta planetaria. L’assenza di certezze, di previsioni e di misure condivise ci investe del ruolo di pionieri di un terreno sconosciuto e la prima volta, generalmente, destabilizza. Sono destabilizzate le persone come le istituzioni che queste persone gestiscono.
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