Il Foglio arte
Il museo, il cielo e gli astri di un universo post sovietico
Un artista nel pieno della maturità. L’estone Jaanus Samma negli spazi espositivi milanesi del magazine Cfa
In Italia, Jaanus Samma aveva mostrato tracce del suo percorso già nel 2015: in rappresentanza dell’Estonia alla Biennale di Venezia, indagò le vicende dell’anonimo direttore di una fattoria collettiva (kolkhoz) implicato in un’indagine per attività omoerotiche – illecite negli anni Sessanta – che gli costeranno la carriera politica oltre all’umiliante estromissione dal consesso sociale. Samma illuminò un frammento di storia Lgbt del proprio paese, mostrando come la memoria collettiva si fabbrichi nella collisione tra “ufficiale” e “privato”, ma anche fenomeni di desovietizzazione che – al fine di segnare l’avvento di una società nuova – esiliavano in un passato totalitario fenomeni d’intolleranza che lo precedevano e gli sono sopravvissuti. Tra i nomi di punta dell’eccellente galleria Teminikova & Kasela (Tallin), l’artista s’ispira alla (complessa) ricerca sulla storia queer nei paesi dell’est, all’analisi delle istituzioni museali e a temi folklorici.
Museum Display, organizzata negli spazi espositivi milanesi del magazine Cfa, è policentrica e sposa questi nodi con la chiarezza di sguardo da artista che entra nella piena maturità. I lavori che danno il titolo alla mostra appaiano – in doppie cornici lignee arcuate come laptop aperti – tre acquerelli di cieli stellati con altrettante foto che mostrano tappeti, cinture e utensili per la lavorazione del latte prelevate da archivi museali: uno dei possibili suggerimenti è la maniera in cui l’indicizzazione e la presentazione museale di “usi e costumi” sia funzionale a romanticizzare idee d’identità nazionale, approssimando il medesimo senso di naturale continuità della volta celeste.
Ad arricchire questa lettura, il trittico è fronteggiato dalla stilizzazione geometrica di un gruppo di astri; una deliziosa stampa del 1977 realizzata di Tonis Vint: artista e anfitrione di convivi intergenerazionali tra colleghi che, grazie a un approccio quasi-mistico, rifuggì l’imperante dogma del realismo socialista. L’immagine in mostra, difatti, svela l’interesse di Vint per motivi ricorrenti in varie culture antiche, che riconduceva a una comune ispirazione cosmica. Come le composizioni ricorsive che adornano le tradizionali cinture nazionali: Samma ne dispone un buon numero — al modo della foto incontrata in uno dei Museum Display — in Reconstructed Histories. Belts (2019): qui sormontano un tessuto dalla fantasia geometrica anni Settanta prodotta da una fabbrica estone che, in èra sovietica, serviva l’ampio mercato Urss.
Nel lavoro successivo, Samma scende sotto la cintura: Pieces of Antiquity sono tre peni in marmo, appesi ad altezza congrua se fossero stati parti di figure scultoree. Le estremità, solitamente tra le porzioni della statua che si perdono nei secoli, sono metonimiche — una parte per il tutto — e affiancate da un’incisione settecentesca di una foglia di fico: il “bianchetto” tradizionale per occultare pudenda di personaggi storici o mitologici disinvoltamente in mostra. Le politiche della visibilità, il ruolo dei musei storici aperti al pubblico sorti in vari paesi Europei nel Diciottesimo secolo sono, di nuovo, al centro degli ultimi due lavori in mostra: due incisioni di metà Ottocento riproducono eleganti saloni espositivi. La distanza imposta dalla prospettiva e la didascalia nascosta da Samma sotto il passepartout della cornice, però, rendono impossibile risalire alla collocazione geografica e alla natura degli oggetti custoditi.