il foglio arte
Arte, passione, mercato: la voce dei collezionisti
Per rinchiudere l'universo in un armadio
Riservati o narcisisti, spesso generosi, contribuiscono allo sviluppo e all’arricchimento del patrimonio culturale
Collezionare è un’attività che inizia dall’infanzia e caratterizza il periodo della scoperta del mondo attraverso gli oggetti, per proseguire, e svilupparsi, in una ricerca che dura tutta la vita. Si sa dell’importanza dell’oggetto transizionale nei bambini. Benché collezionare sia generalmente percepito come un’occupazione privata, il collezionismo nasce e mantiene la sua influenza come fenomeno pubblico che trae le sue origini in Grecia, dove l’esposizione di materiale artistico veniva collocata nei diversi spazi comuni, come l’agorà, il foro, l’interno di templi o strutture private aristocratiche. Se nella sua dimensione privata il collezionismo sostiene l’artista consentendogli di proseguire con la sua ricerca (e qui si può parlare di mecenatismo), nella dimensione pubblica contribuisce in modo determinante allo sviluppo e all’arricchimento del patrimonio culturale. A margine della recente ricerca “Arte: Il valore dell’industry in Italia”, di cui ci siamo occupati il mese scorso, è emersa l’assenza del collezionismo privato quale riconosciuto interlocutore del dibattito culturale con le istituzioni pubbliche.
In questo numero si dà voce a un numero di collezionisti italiani per capire meglio quali siano le problematiche, gli auspici e le disillusioni che accompagnano un’attività rispettata, celebrata, anche invidiata benché malinconica nella sua utopia di rinchiudere l’universo in un armadio. Gli interlocutori sono stati selezionati in modo da restituire l’immagine eterogenea di una figura poliedrica e complessa: intellettuali, imprenditori, studiosi e appassionati, collezionisti riservati, narcisisti e generosi, alcuni attenti al mercato, altri irrazionali, chi si definisce “piccolo”, chi è riservato e invisibile come appartenesse a una specie notturna. Una raccolta di pensieri inediti, liberi e stimolanti che intende aggiornare il dibattito sul rapporto tra privati e istituzioni, tesoro fondante della nostra identità culturale.
Francesco Stocchi
Non credo che lo Stato debba attivamente incoraggiare il collezionismo privato, né che debba agevolarlo fiscalmente. I collezionisti traggono piacere dall’acquisto, dal maniacale desiderio di possesso e di aggiunta. Soffrono per i buchi. Soffrono perché non hanno acquistato al momento giusto e non possono più farlo o costa troppo. I collezionisti danno anche un occhio al patrimonio e anche quando non vendono sono felici per il plusvalore latente.
Lo Stato dovrebbe però non frapporre ostacoli al collezionismo, evitando sì di impegnare risorse da destinare a fini maggiormente utili, ma non danneggiando chi colleziona. Il maggiore ostacolo, il terrore di tutti, è l’esercizio della notifica. Le soprintendenze ne fanno purtroppo largo uso anche su opere di artisti del ‘900. Negli Stati più avanzati il divieto all’esportazione è legato all’esercizio del diritto di prelazione. Se uno Stato vuole bloccare un’opera la deve acquistare. In Italia non è così. Qualsiasi soprintendenza può decidere che un’opera è di interesse artistico, storico e storico relazionale particolarmente importante e vincolarla. E’ una scelta senza costi le cui conseguenze sono nefaste: i collezionisti preferiscono non esporre in pubblico opere più vecchie di 70 anni e le spostano all’estero prima che i 70 anni siano compiuti. La norma fu creata dal Ministro Bottai nel 1939 per difendere i tesori nazionali dalla minaccia che il Ministro percepiva nell’allora alleato dell’Italia, la Germania di Hitler e Göring. E ben fece, grazie al la sua lungimiranza tanti lavori rientrarono in Italia dopo il 1945.
Utilizzarla ora per impedire a qualcuno di vendere un lavoro in asta a Londra o New York, ostacola il collezionismo, a fronte di ben miseri vantaggi. Sarebbe meglio vedere opere di artisti italiani nelle sale del MoMA o della Tate Modern, invece che bloccati nelle abitazioni private o nei depositi italiani.
Andrea Accornero
Collezione Accornero
Nel nostro paese il collezionismo è un fenomeno tradizionalmente ampio e radicato, sia per qualità che per quantità. Collezionisti italiani di tutte le età si contraddistinguono a livello europeo per il coraggio delle proprie scelte e per la raffinatezza delle loro collezioni, a volte superiori a quelle di molti musei pubblici internazionali.
L’aspetto però più interessante del collezionismo in Italia è quello legato al mecenatismo, anch’esso di antichissima tradizione: la promozione di nuove produzioni e il sostegno ai giovani artisti. È soprattutto per questo motivo che ho aperto la mia Fondazione a Bolzano: uno spazio pubblico, un punto di incontro per la comunità del territorio, un laboratorio per la creatività. E quindi culla di nuove esperienze e nuove idee.
Le fondazioni private si trovano così a svolgere felicemente una funzione complementare rispetto alle istituzioni pubbliche; il pubblico tutela e valorizza il patrimonio dell’arte moderna e contemporanea che appartiene a tutti noi, mentre il privato può osare in sperimentazioni più attuali e di ricerca.
Il privato può diventare così l’anello mancante nel panorama italiano dell’arte contemporanea, andando a meritarsi anche quel riconoscimento istituzionale che ad oggi tarda ad arrivare (e non solo in termini di agevolazioni fiscali). Sarebbe un bel sogno. In parte è già realtà.
Antonio Dalle Nogare
Fondazione Antonio Dalle Nogare
Dalla lettura del comunicato stampa sulla ricerca “Arte: Il valore dell’industry in Italia”, realizzata dall’Osservatorio Nomisma e promossa dal Gruppo Apollo, balza subito all’occhio il mancato coinvolgimento dei collezionisti che al contrario sarebbe stato auspicabile. Da ciò emerge che in Italia il collezionismo privato non viene riconosciuto nel suo giusto ruolo e valore. I collezionisti costituiscono una rete che si estende in modo capillare in tutto il paese e che non è mai stata mappata in maniera precisa: il loro ruolo nel sistema dell’arte è essenziale. Sono infatti i collezionisti che oltre ad essere i principali acquirenti di opere d’arte, sostengono i musei con donazioni, prestiti temporanei per l’allestimento di mostre e depositi a lungo termine. Non dimentichiamo inoltre che alcuni di loro, attraverso fondazioni o collezioni, organizzano mostre, eventi culturali, sostengono gli artisti con premi e residenze e mettono a disposizione del pubblico le loro collezioni esponendole in spazi dedicati.
La mancata considerazione dei collezionisti comporta inoltre una sottostima del giro d’affari dell’industria dell’arte e del patrimonio artistico del nostro paese. Se infatti gli acquisti fatti presso le gallerie italiane sono stati calcolati nel fatturato delle gallerie stesse, manca totalmente l’importo riferito agli acquisti fatti nelle fiere internazionali e presso le gallerie europee ed extraeuropee con i loro costi accessori (tasse, trasporti, etc) che andrebbe a incrementare il giro d’affari complessivo di questo settore. Per quanto riguarda i problemi che affliggono il sistema dell’arte non si può non essere d’accordo con le soluzioni proposte nel comunicato: riforma dell’imposizione fiscale, semplificazione burocratica, creazione di un sistema europeo di norme condivise che garantisca regole certe e che non penalizzi il nostro paese come avviene adesso. Di queste proposte ormai si parla da anni e le soluzioni son state sempre rinviate. Per quanto riguarda infine la rappresentanza dei collezionisti penso che dovrebbe essere espressa dalla base nel modo più democratico possibile. Per arrivare a questo sarebbe auspicabile che sul territorio si formassero delle associazioni di collezionisti uniti da interessi o visioni comuni o anche solo da criteri di vicinanza territoriale. A questo proposito da alcuni anni abbiamo fondato con altri collezionisti un’associazione che si chiama Collective. Da anni esiste Acacia, l’associazione forse più conosciuta, ma certamente ce ne sono altre. Ogni gruppo dovrebbe esprimere il suo rappresentante e questi a loro volta dovrebbero nominare un comitato ristretto che per un periodo limitato si farebbe portavoce delle nostre istanze nelle sedi opportune. Evidentemente questa è solo un’idea per aprire una discussione che sarebbe auspicabile coinvolgesse il maggior numero possibile di collezionisti.
Mauro De Iorio
Collezione De Iorio
Parlare della situazione del mercato dell’arte è sicuramente complesso ma credo che siano ormai giunte a maturazione alcune dinamiche in atto da diversi anni, che non solo ci devono far riflettere sul presente e sul futuro, ma devono soprattutto innescare una serie di cambiamenti e innovazioni essenziali per la sopravvivenza del settore stesso e, insieme, del nostro Paese in quanto interlocutore del più vasto contesto internazionale. Senza dimenticare che quello dell’arte è uno degli ambiti più importanti del nostro sistema e della nostra identità nazionale in termini culturali, economici e per la crescita sociale del Paese. Quello che posso offrire è il punto di vista di un collezionista, uno dei molti in Italia che opera nel mondo dell’arte dagli anni Sessanta, apprendendo lungo il percorso e osservando il susseguirsi di diverse dinamiche, evoluzioni e involuzioni, molto spesso anche immobilismi, che sono forse i più dannosi.
Credo che gli argomenti su cui riflettere siano sostanzialmente 5. In ordine sparso e non certo di importanza: burocrazia, fisco, ruolo del collezionismo, professionalità delle parti in causa, riconoscimento e regolamentazione del lavoro degli operatori del sistema (dagli artisti ai curatori ai mediatori a tutte quelle figure che costituiscono il sistema stesso e senza le quali non esisterebbe). Partiamo dalla burocrazia. Non è un mistero: il nostro è un Paese iperburocraticizzato. La complessa, inestricabile macchina burocratica che abbiamo costruito da un lato tutela e preserva il patrimonio storico artistico, dall’altro rischia di paralizzare ogni azione possibile e disincentivare le dinamiche di mercato. Penso che vada trovata una strada intermedia, che permetta una maggiore circolazione delle opere in ambito nazionale e internazionale. Ne gioverebbe il mercato ma anche la promozione degli artisti e dell’arte italiana.
Sul fisco il dibattito è già molto acceso, sottoscrivo la richiesta di adeguamenti a livello Europeo poiché al momento risulta una differenza di aliquota IVA tra gli acquisti effettuati in Italia (22 per cento) e gli acquisti effettuati in paesi extraeuropei (10 per cento sulle importazioni in Italia), che “invoglia” ad acquistare all’estero, penalizzando il mercato dell’arte in Italia. Non solo, ma va considerato che l’aliquota, seppur ridotta del 10 per cento sulle importazioni in Italia, risulta comunque più elevata di quella prevista da altri Stati Europei, quali Regno Unito (5 per cento), Francia (5,5 per cento) e Germania (7 per cento). Contemporaneamente è prioritario incentivare il mercato interno ed è quindi auspicabile un abbassamento dell’aliquota sulle transazioni che avvengono all’interno del territorio Italiano. La Germania, per esempio, applica il 19 per cento, la Gran Bretagna il 20 per cento, così come l’Austria, per non parlare della Svizzera che applica l’8 per cento.
I tre punti successivi sono strettamente collegati tra loro. Partiamo dal riconoscimento del ruolo del collezionismo all’interno del sistema: essendo debole il supporto dello Stato, che solo negli ultimi anni si sta attivando con azioni a supporto, ma lo sta facendo in maniera ancora sporadica e asistematica, il ruolo dei collezionisti appare fondamentale per il funzionamento generale del sistema fungendo spesso da attivatore e sopperendo allo scarso mecenatismo pubblico.
Il livello di professionalità delle parti in causa è poi un tema che mi sta particolarmente a cuore e che anziché spostare il problema sullo Stato, che certamente può e deve intervenire, dovrebbe spingere gli operatori a guardarsi allo specchio e riflettere sulla propria capacità di essere competitivi e altamente professionali. Da collezionista, per esempio, noto spesso molta dovizia nelle fasi prevendita e poi un generale abbandono o scarsa professionalità nei materiali e nelle modalità di consegna: le gallerie, in particolare, fatte le debite eccezioni, potrebbero essere più precise nel fornire le opere in adeguati imballaggi e corredate di tutta la documentazione necessaria (dall’autentica alle immagini in alta definizione alle liberatorie).
Forse la redazione di un contratto nazionale obbligatorio e uguale per tutti, potrebbe essere la strada di una migliore gestione anche rispetto alle transazioni tra privati. Questo riguarda non solo il rapporto tra collezionista e galleria, ma anche quello tra galleria e artista, curatore, artdealer e tutte le figure del sistema. Non esiste una precisa forma di collaborazione tra queste parti così come non esistono precise modalità di collaborazione con gli artisti in ambito pubblico e nessuna forma di tutela di un settore che giuridicamente non trova ancora il suo corretto inquadramento. Troppo spesso gli artisti e i curatori si trovano a lavorare (perché di lavoro si tratta, non dimentichiamolo) senza certezze o garanzie, non tutelati e sempre in balia degli umori di un sistema che li condanna al precariato o peggio. Sarebbe opportuno provvedere a una regolamentazione che tuteli ogni attore di questo sistema complesso, su modello di esperienze già in atto in altri paesi. Non possiamo pretendere che le cose funzionino se siamo i primi a non riconoscere che operiamo in un contesto fatto di professionisti qualificati il cui lavoro va riconosciuto al pari di quello di qualsiasi altro professionista. Non esiste sistema e non può esistere mercato o crescita se continuiamo a operare in una zona grigia, per la speculazione di pochi, senza riconoscere il valore professionale di ogni parte in causa.
Ci sarebbe da aprire un ulteriore capitolo sul tema delle fiere ma lo lasciamo per una prossima occasione. Vorrei concludere invece con una riflessione o un desiderio: sarebbe forse il caso di smettere di parlare esclusivamente di investimento, come se stessimo trattando azioni di borsa, per parlare invece di più di sostegno alla cultura, che sul lungo periodo paga molto di più e non solo in termini economici.
Giorgio Fasol
Presidente AgiVerona Associazione culturale e AgiVerona Collection
Essere collezionista è una missione seria e piena di responsabilità, ma non so se la nostra voce può essere di peso nelle questioni che concernono burocrazia, tassazioni o esportazioni perché saremo sempre visti come coloro cercano di risparmiare su quello che erroneamente ma comprensibilmente è considerato da tutti un Lusso.
Collezionare è un impegno importante verso i miei collaboratori e non solo.
Attraverso la collezione aiutiamo artisti a sviluppare progetti , ricercatori a studiare, aiutiamo istituzioni e centri d’arte nel mondo intero con prestiti e promuoviamo artisti anche attraverso sostegni finanziari. Diamo moltissimo lavoro e l’indotto che produciamo è importante è vero, ma non mi sento nella posizione di esprimermi su quale ruolo potremmo avere per far passare “messaggi” alle più alte sfere.
Quello che mi spaventa è che il privato sorpassi l’impegno del pubblico e se deresponsabilizziamo troppo lo Stato dando sempre più spazio e visibilità al privato, in futuro, sarà persino difficile “difendere” le istituzioni pubbliche perché considerate asservite al terziario quando invece dovrebbe essere un servizio pubblico libero. Bisogna innanzitutto trasmettere al grande pubblico l’importanza delle ricerche sostenute da accademici e ricercatori, bisogna far capire alle generazioni future che il sacrificio dei “veri artisti” e “operatori culturali” permette un libero sviluppo del pensiero e questo non ha prezzo.
Concludendo credo che sia fondamentale innanzitutto una regolamentazione e istituzionalizzazione dei diversi ruoli che fanno parte dell’ecosistema Arte, poi potremo pensare a come i collezionisti possano in maniera responsabile sostenere queste regolamentazioni fungendo essi stessi da esempio rafforzando cosi’ e magari politiche culturali future un po più lungimiranti.
Silvia Fiorucci
Collezione Silvia Fiorucci Roman
Se i vizi del collezionista, come ci si augura, sono radicalità e insonnia, allora la tendenza, nel collezionare un autore o un periodo, è quella di ripristinare un intero territorio, e spesso, nel giro di poco tempo, di ritrovarsi a perlustrare terre incognite, trascurate, frettolosamente schedate, sbrigativamente catalogate , o addirittura seppellite e riposte via e con cui i conti si sarebbero già chiusi: inoltre, da un certo momento in poi, è la collezione a dettare legge e suggerire legami e dare indicazioni per ulteriori orizzonti (nomi, gruppi, sentieri interrotti, operazioni, fallimenti, radure e propositi preziosi e non considerati ancora). Il collezionista è attento a tutto e non tralascia nulla, in virtù di una adorazione del tempo della sua devozione e della percezione dell’attività creativa come forma di vita in un’integrità della visione che, di un artista o di un momento, comprende ogni aspetto, dalle pubblicazioni ai manufatti ai libri e appunti e ai documenti sugli allestimenti, senza una gerarchia e senza l’ingiustizia dei musei.
Lavoro archeologico nel riportare e ricomporre una stagione (in genere e quasi sempre tempi e luoghi di illusioni e possenti inganni) con l’individuazione di tutti i materiali poetici e l’inseguimento di tutte le fuoriuscite dell’immagine e le sue ramificazioni (non solo missioni di esplorazione, nella convinzione che tutto il 900 è ancora da scoprire e che siamo appena all’inizio, ma anche già lutto per la quantità di materiale andato perduto inesorabilmente e colpevolmente trascurato). Si tende ad un’ansia e ad una tenacia che il museo non contempla per la semplice e banale ragione che ci sono un’anima e una produzione fantasmagorica che solo lo spendere e il dissipare e il possesso producono (il collezionista, dal lato del sublime, sta sempre a fare conti e a maneggiare soldi).
È in questa declinazione che non solo può offrire pezzi e indicazioni ma contribuire a mutare le modalità stesse dell’esposizione e le idee di mostre gerarchiche e dispendiose, in vista di un ordine immaginifico in cui tutto porti l’impronta e la dignità della ricerca senza confini e misure, e di un dovere compiuto con al centro solo i materiali.
La collezione è anche una disciplina di disubbidienza ai condizionamenti del mercato statuale ed economico. Nella ricerca autentica le opere non possiedono un destino economico né alcun prestigio nominale. La collezione è un dispositivo ideologico e un rito di ostilità ad ogni comfort.
Nelle collezioni è molto presente un modello economico casalingo in cui si ignorano la carriera e la contabilità, si eludono le graduatorie personali, le posizioni nel mercato, si convoglia ogni passione nella comunità. Uso di una economia domestica: le mostre e le esposizioni non possono essere un’offesa economica. Tutto ciò che non è opera deve costare poco: esposizioni, allestimenti, organizzazione. La mostra deve costare poco e bisogna saper risparmiare, virtù economiche che avvalorano l’impresa e non offendono vite e realtà, non implicano alcuna supponenza creativa.
Il museo deve conoscere questi territori e i collezionisti, in primo luogo come produzione onirica del suo stesso operare, dell’operare stesso del museo: si tratta di mappare l’imprevedibilità dei propri riflessi e conoscere i cittadini anche come sognatori, e in cui si sono depositate sollecitudine, ansia di visioni e curiosità.
Certo siamo appena all’inizio, ma personalmente, in questi ultimi due anni, io e mio fratello abbiamo avuto a che fare con musei e istituzioni (il Macro di Luca Lo Pinto, il Pecci di Cristiana Perrella, il Rivoli con Andrea Viliani, il Centro d’Arte contemporanea di Ginevra di Andrea Bellini) attentissimi a questo discorso e che ho visto muoversi anche in questa direzione di libertà e di dialogo con il collezionista come risorsa, operatore civile, raccoglitore di segni e, soprattutto, indicatore di modelli di malessere e scontentezza.
Giuseppe Garrera
Collezione Gianni e Giuseppe Garrera
Coinvolto nel fare una riflessione sul ruolo del collezionista di arte contemporanea nell’attuale sistema dell’arte, ecco uno spunto sull’imposizione fiscale relativa alla realizzazione di plusvalenze nelle rivendite, plusvalenze che si realizzano sulle opere che si vendono e non contemplano le “perdite” relative alla stragrande maggioranza dei lavori delle collezioni.
Collezionare arte contemporanea, soprattutto se si ha uno sguardo alle proposte dei giovani artisti, è un’attività che sostiene il sistema, rende possibile l’attività delle gallerie, rende possibile ai giovani artisti sostenere le loro carriere, innanzitutto nella fase iniziale, e non solo; consente la produzione delle opere, e quindi la loro circolazione, nella loro fase iniziale, quando il loro mercato praticamente non esiste, seguendo le indicazioni di curatori e gallerie che fanno scouting: è la linfa del sistema, muove l’economia e consente ai giovani artisti di crescere. Si potrebbe obiettare che non tutti i collezionisti sono attivi in tal senso, ma non credo sia un argomento rilevante.
Su 10 artisti che si sostengono, può capitare che 1/2 vengano infine (e sono davvero ottimista…), dopo anni, riconosciuti dal mercato, quindi alienabili: le relative plusvalenze spesso non riescono a coprire i costi sostenuti nel tempo per acquisire opere in gran parte rimaste senza mercato, e poi per immagazzinarle, gestirle, movimentarle, renderle disponibili per mostre ed esposizioni museali.
In una economia aziendale si dovrebbe confrontare il prezzo di acquisto con il prezzo di realizzo, abbattendo però i valori di libro dei lavori “invendibili” attraverso un’operazione di svalutazione, in modo da impattare le plusvalenze realizzate con i pochi lavori venduti: questo meccanismo non è applicabile al privato collezionista che non è un’azienda.
Per restituire certezza, basterebbe applicare la stessa regola che attualmente disciplina le plusvalenze immobiliari, e cioè il tempo di possesso: per gli immobili è 5 anni, il privato che vende un immobile dopo 5 anni dall’acquisto non ha il problema dell’eventuale plusvalenza. Una regola similare, per le opere d’arte, anche con lo stesso limite temporale (nella precedente disciplina fiscale esisteva, ed era 2 anni) o, in alternativa, con una tassazione percentuale della plusvalenza a decrescere in funzione del tempo di possesso fino ad arrivare alla esenzione dopo, non so, 10 anni, restituirebbe certezza al collezionista che, nel tempo, volesse vendere uno o tutti i lavori collezionati durante una vita.
Allo stato è vero che una singola vendita non crea problemi, ma un collezionista che, per una serie di motivi svariati, si trovi ad effettuare in un ristretto periodo di tempo più di una vendita dopo qualche decina di anni di collezionismo solo in entrata, oggi è a forte rischio di accertamento fiscale su plusvalenze spesso solo teoriche se rapportate alle risorse utilizzate nel tempo per sostenere la collezione.
Un intervento legislativo in tal senso sarebbe auspicabile.
Giovanni Giuliani
Fondazione Giuliani
Quando penso alla figura del collezionista non riesco a vedere un’unica figura, ogni collezionista ha una storia e traccia percorsi diversi; molteplici possono essere le motivazioni che lo spingono e non esiste una conformità rintracciabile. Il suo ruolo resta fin troppo ai margini delle istituzioni pubbliche anche se è indubbio che molte collezioni sono state determinanti per arricchire il patrimonio artistico nazionale. Il collezionista avrebbe il diritto morale di essere rappresentato nei comitati scientifici dove si decidono le sorti dell’arte contemporanea del proprio paese. Mi chiedo se un collezionista avrebbe mai permesso, che la commissione della Biennale di Venezia deliberasse di eliminare il padiglione dell’arte italiana all’interno dei Giardini della Biennale di Venezia. Infatti il padiglione attualmente è confinato nell’ultimo spazio delle Corderie e personalmente ho scritto e mi sono battuto rivolgendomi perfino al Presidente della Repubblica affinché restituissero la dignità dovuta all’arte italiana.
Nel mio caso sono diventato collezionista giovanissimo, coltivando la passione per l’arte ma anche il rapporto con gli artisti e i critici. Un collezionista ha come costante l’imprevedibilità, è impossibile immaginarsi come si svilupperà con il tempo la sua collezione e quali esperienze andrà a compiere. Nel mio caso ad esempio non potevo immaginare che avrei dato inizio all’ Arte Ambientale, un connubio inscindibile tra il progetto dell’artista e lo spazio in cui si colloca. Un’esperienza che mi ha poi ispirato un profonda riflessione sulla necessità di alcuni filoni di arte contemporanea di interagire con una larga platea di pubblico al di fuori del sistema museale. Il prossimo anno saranno quarant’anni da quando la collezione di arte ambientale si è aperta gratuitamente al pubblico. Un pieno coinvolgimento che ci ha permesso inoltre di tessere una rete di relazioni con musei, accademie, università di tutto il mondo. Ci siamo sempre sostenuti interamente con le nostre risorse, svolgendo sul territorio una funzione pubblica sia attraverso la fruizione ma anche collaborando con passione a tanti progetti di ricerca (ultimo, il partenariato con l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze che da oltre otto anni ospitiamo presso di noi per un Master in conservazione e restauro dell’arte contemporanea).
Ho sempre ritenuto necessario il coinvolgimento di noi collezionisti con le istituzioni pubbliche e personalmente non mi sono mai tirato indietro, quando, sono stato invitato a prendere parte a discussioni pubbliche, tra tutte ricordo la partecipazione a Bari nel 1982 quando l’allora Ministro Scotti mi ha invitato a prendere parte alla proposta di legge 512 sul regime fiscale dei beni di rilevante interesse culturale.
Oltre a ciò negli anni ho avuto molte altre occasione in cui sono stato messo in prima linea a curare, accompagnare e promuovere interventi artistici pubblici da inserire nei contesti urbani o nei musei. In tal modo la mia esperienza è stata messa a disposizione al bene comune.
Un giorno mi è stato detto che sono un uomo che non ha messo la vita in banca , in questa affermazione mi riconosco: ho trascorso la maggior parte della mia vita spendendo molta energia e tempo per l’arte, sia come collezionista ma anche come cittadino partecipe del tessuto artistico e sociale del paese.
Giuliano Gori
Fattoria di Celle - Collezione Gori
I divani del mio salotto ruotano intorno a un tavolo basso di color verde acido, fatto di due grandi quadrati in ceramica affiancati di 1m x 1m, a firma di Giacinto Cerone. Quando più di vent’anni fa arrivarono a casa, direttamente dai forni di Faenza, li accolsi con sorpresa. “Ma come, non dovevano essere gialli?” Chiesi a Giacinto. E lui: “Così c’era scritto sul barattolo, ma l’etichetta era sbagliata.” “E gli angeli, non avevi disegnato quattro angeli ai vertici?”. “Sì, ma sono volati via, così li ho sostituiti con degli elefanti, che non hanno le ali e pesano di più”. Per farsi perdonare dei cambiamenti in corso d’opera, al centro dei due elementi aveva posizionato un mazzo di piccoli e vezzosi carciofi, a mo’ di rose. Entrambi ridemmo di gusto. Quel tavolo mi ricorda ogni giorno, ogni momento, che l’arte non mantiene promesse, non programma, non pianifica, perché fa qualcosa di più grande, meraviglia. Nella così detta Industry dell’arte italiana, il ruolo di chi ama l’arte e supporta gli artisti acquisendo le loro opere, cioè il collezionista, occupa a mio parere un posto cruciale. Per una questione prima di tutto umana. L’arte è contemporanea perché ha luogo adesso, mentre discutiamo, pensiamo, immaginiamo. E ogni opera irradia tutta la vitalità che l’ha generata. Ho desiderato una collezione libera, fresca e in movimento, intrecciata alla mia vita familiare e a quella degli artisti coinvolti. E per rimarcare questo fatto, nella casa precedente di via della Mercede il parquet conservava le tracce, spesso solchi, dei transiti decennali di incontri e persone. Scelta inaugurata e sigillata da un grande blocco di travertino che Maria Dompé volle fissare proprio sul pavimento, quando il legno era ancora intonso.
Ines Musumeci Greco
Collezione Musumeci Greco
Entrare in un museo oggi significa leggere sulle didascalie che accompagnano le opere esposte la scritta “Collezione privata”, “Courtesy of…”, “Donato da …” e altre formule atte ad evidenziare come negli anni passati grandi donne e uomini illuminati si sono ersi quali mecenati della forza culturale del nostro paese.
In passato, infatti, due, tra le altre, erano le condizioni favorevoli alla costruzione di collezioni private di qualità e alla donazione delle stesse in caso di lascito: donare significava avere la certezza che le opere venissero esposte o che, salvo complicazioni di tipo materiale, le opere avessero una corretta visibilità all’interno dell’istituzione; inoltre, e di esempi nel solo milanese sono tanti (da Boschi di Stefano a Poldi Pezzoli), erano concrete le possibilità di creare musei privati e case museo aperte al pubblico.
La seconda condizione, anch’essa fondamentale, era l’importanza e la salvifica lentezza del mercato dell’arte, un sistema che permetteva alle poche gallerie esistenti di salvaguardare negli anni, seppur con molte difficoltà, i loro artisti, difendendone il percorso, la crescita e non da ultimo, il prezzo delle loro opere.
Ad oggi i Mattioli, gli Jucker e i Cerruti contemporanei si devono improvvisare self made man verghiani pronti a districarsi tra una burocrazia farraginosa, un mercato bulimico, veloce, di record mondiali e artisti che nascono e muoiono con la velocità di un fast food e delle istituzioni legate alla promozione, alla tutela e alla divulgazione dei beni artistici che non hanno gli strumenti idonei per adempiere al loro compito. Come da tempo provo a evidenziare, è forse giunto il momento di ripensare al rapporto tra le istituzioni e i privati, aprendo le porte a questi ultimi, incentivandoli, proponendosi come Stato in prima linea nell’acquisto di opere d’arte al fine non solo di non disperderle, ma altresì di valorizzare pienamente il nostro ricco patrimonio culturale.
Credo si debba ripensare all’idea di cura, parola chiave in questo contesto. Lo stato dovrebbe aver cura del nostro patrimonio e soprattutto assicurarne la fruibilità, offrendo ai collezionisti, da sempre impegnati nella raccolta di nuclei che raccontano la storia del nostro paese, delle agevolazioni fiscali o degli indennizzi, così come già in altri paesi europei ed extraeuropei accade.
Giuseppe Iannaccone
Collezione Giuseppe Iannaccone
Sicuramente in questi ultimi 10 anni il mercato italiano dell’arte è profondamente cambiato. Si è passati dal mercato delle gallerie, delle fiere e delle aste a un nuovo scenario in cui si
sono aggiunte le vendite online e le televendite.
Almeno per l’arte contemporanea, questo è frutto di un ampliamento della domanda, passata
da un ristretto numero di appassionati degli anni 70 a un pubblico molto più vasto e trasversale.
Le gallerie sopravvissute alla “decimazione” dello scorso decennio hanno ampliato il loro giro di affari. Questo ha portato a una migliore organizzazione e alla quasi completa eliminazione delle gallerie di vecchio stampo basate su un titolare che svolgeva personalmente tutte le operazioni, dall’acquisto alla vendita. In questo senso le gallerie italiane si sono orientate sul modello americano con una organizzazione molto ben strutturata.
Dal punto di vista dei mezzi di espressione artistica bisogna tener conto dell’ingresso del digitale e delle nuove tecnologie che aprono orizzonti ancora ignoti.
Alessandro Nieri
Collezione Alessandro Nieri
Possiamo intervenire nel dibattito voluto da Francesco Stocchi, direttore dell’inserto del Quotidiano il Foglio dedicato all’Arte e avente come oggetto la recente ricerca “Arte: Il valore dell’Industry in Italia”, realizzata dall’osservatorio Nomisma, esponendo la nostra esperienza di collezionisti d’arte della Svizzera Italiana.
Il nostro progetto collezionistico parte da lontano ed è formato, in contrapposizione con le altre Collezioni di interesse pubblico del resto della Svizzera, sull’Arte moderna e contemporanea italiana che si confronta con il resto del mondo. La Collezione, in continua evoluzione, è incentrata costantemente sulle avanguardie storiche e contemporanee.
Abbiamo stipulato un accordo con la Città di Lugano e il Museo della Svizzera italiana e la sua Fondazione che prevede una promessa di donazione di circa 250 opere di grande valore e qualità che già ora sono date in usufrutto.
Con questa scelta abbiamo determinato il modello “Schaulager” adattato alla Svizzera italiana e realizzato una riforma tributaria che consente in caso di atti particolarmente importanti di mecenatismo (sponsorizzazioni, donazioni di interesse pubblico, ecc.) una deduzione sul reddito imponibile del 50 per cento, aliquota che situa la Svizzera italiana in una buona media in Svizzera sotto il profilo della competitività *.
In cambio riceviamo dalla Città di Lugano un partecipazione ai costi di gestione, lo Spazio espositivo con relativo magazzino (“Schaulager”) e una collaborazione attiva per le nostre mostre del personale messo a disposizione dal MASI ( Museo d’Arte della Svizzera Italiana) che lavora in stretta collaborazione con noi e la nostra direzione.
La Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, quindi, fa parte del circuito delle mostre del Masi.
Il nostro progetto, il nostro impegno è quello di valorizzare l’arte italiana all’estero, nell’unica Repubblica di lingua e cultura italiana fuori dall’Italia. Nonostante ciò per noi è più facile e più opportuno organizzare acquisti, prestiti e mostre in altri paesi (europei ed extra europei) che non con l’Italia a causa delle leggi ancora inadeguate sia sul piano dell’esportazione che dell’importazione delle opere.
Dopo aver letto i vostri eccellenti contributi di esperti sul mercato dell’arte italiana, ci auguriamo che avvenga una riforma più equa e flessibile che permetta la valorizzazione degli artisti italiani nel mondo, nell’assoluto rispetto nella difesa del patrimonio nazionale.
Ci auguriamo, infine, che il legislatore abbia una particolare attenzione alla valorizzazione degli scambi tra l’Italia ed il Canton Ticino.
* Si dà il caso che il massimo dell’aliquota per atti di questo tipo (100 per cento del reddito imponibile) viene dato dalla legge tributaria di Basilea Campagna, semi - cantone dove hanno sede sia lo “Schaulager” che la “Fondazione Beyeler”. Se si aggiunge il libero commercio con Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Usa, è facilmente comprensibile che le mostre fra le più belle e sontuose al mondo vengano fatte proprio da quelle istituzioni senza il contributo dell’Arte Italiana per le distorsioni della legislazione italiana dell’export.
Giancarlo e Danna Olgiati
Collezione Giancarlo e Danna Olgiata
Il collezionismo privato è indubbiamente uno dei principali attori dello sviluppo del sistema dell’arte italiano. Soprattutto se pensiamo alle numerose e attive Fondazioni d’arte che, nei limiti delle loro capacità economiche, agiscono anche a livello internazionale. Le scelte e le iniziative di questi attori, soprattutto in ambito d’arte contemporanea, sono spesso frutto di risorse autonome, nell’assenza quasi totale di sostegno da parte dello stato. Ciò nonostante sono in grado di sviluppare percorsi di ricerca culturale innovativi che si pongono fuori da logiche mainstream e/o di cassetta.
Patrizio Peterlini
Direttore Fondazione Bonotto
Ho letto l’articolo sull’ultimo inserto del Foglio e mi era subito venuto in mente un precedente articolo in cui Lei diceva che saranno i collezionisti a salvare il sistema dell’arte: ma quali?
Ignoro se il sistema sia estraneo all’osservatorio di ricerca effettuato, ma non mi sorprenderebbe il contrario, considerando che lo studio ha invitato solo gli addetti ai lavori ed escluso dalla recente discussione proprio la categoria che alimenta tale sistema miope e autoreferenziale.
Mi chiedo però con quale criterio si sarebbero potuti individuare i collezionisti necessariamente da invitare, quelli veri, al di là cioè dalla moltitudine anche improvvisata ma bene informata che frequenta fiere, mostre ed aste con l’unico scopo di acquistare e rivendere opere per ricavarne un profitto immediato, posto che la qualità risulta ormai di norma per la maggioranza determinata solo dal prezzo.
Pertanto, se esistono tanti sedicenti collezionisti ben inseriti entro un mercato che dialoga da anni non so quanto involontariamente ma direttamente a ben vedere con loro, forse occorrerebbe l’onestà intellettuale di risalire alla fonte e discutere finalmente della questione relativa allo spinoso rapporto collezionismo/mercato.
Mario Peyrone
Collezione Peyrone
Parlare di collezionismo, in relazione alla mia esperienza, significa riflettere su una collezione in dialogo costante con un’istituzione: la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.
Ho iniziato a collezionare per passione nel 1992. Solo tre anni dopo ho sentito l’urgenza di dare vita a un’istituzione che rappresentasse un varco di apertura verso l’esterno. Percepivo che il desiderio di condividere le opere e la mia profonda passione per l’arte dovevano trovare sbocco in un’attività concreta: un’attività che potesse sostenere e promuovere gli artisti in Italia e nel mondo, oltre che accedere a una dimensione di fruizione pubblica.
La mia collezione è sempre stata “aperta” piuttosto che privata. Sono convinta del fatto che l’arte deve essere condivisa, a maggior ragione se parliamo di arte contemporanea, l’arte di oggi che si intreccia direttamente con il nostro tempo. La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo è nata dal desiderio e dall’intuizione di trasformare una passione privata in un’attività organizzata con professionalità, fruibile dal pubblico, dalla comunità. Non è una fondazione di impresa e non poggia su una tradizione già codificata da generazioni. Opera in modo dinamico e creativo, secondo un indirizzo basato sulla ricerca: nel campo delle mostre, dell’educazione e del rapporto con i pubblici.
Il mio collezionare è da sempre attento alla condivisione, ma anche alla commissione e alla produzione di nuove opere; lo definirei un mecenatismo contemporaneo. La parola mecenate è tornata da qualche tempo a far parte del lessico della cultura. È un fatto positivo. Immagino il collezionista come un soggetto attivo, coinvolto, con un ruolo determinante e significativo nella produzione di nuovi contenuti e di nuove opere. Il collezionista è anche chi sostiene le carriere e le pratiche degli artisti, chi fornisce loro reali opportunità di far conoscere il loro lavoro, tenendo presente che l’obiettivo finale è anche il loro successo e la completa realizzazione della loro ricerca artistica.
Per questo, sarebbe auspicabile delineare forme di collaborazione più efficaci nella sfera dei rapporti fra pubblico e privato.
L’introduzione dell’Art Bonus ha incentivato le erogazioni liberali a sostegno del patrimonio culturale pubblico. Purtroppo, ad oggi, le istituzioni private come la nostra, per quanto aperte alla fruizione pubblica, non sono ancora comprese tra gli enti beneficiari. Questo ampliamento potrebbe contribuire, in maniera sostanziale al lavoro delle istituzioni private che ogni giorno svolgono un ruolo assimilabile a quello dei musei pubblici.
Siamo tutti coscienti dell’inestimabile valore del nostro patrimonio artistico, e delle cure che richiede, ritengo però necessario cercare di porlo in una stringente relazione di continuità con il presente e con la produzione artistica contemporanea. Reputo fondamentale non leggere i nostri beni solo in un’ottica di conservazione, ma anche di continuazione e quindi di attenzione al contemporaneo.
Sostenere gli artisti contemporanei è per me un aspetto davvero fondamentale. Per questo, nel settembre 2014 ho promosso la nascita del Comitato Fondazioni Arte Contemporanea, un network composto oggi da 17 istituzioni private, la cui prima missione è stata quella di realizzare mostre e promuovere eventi in sinergia, a favore degli artisti italiani, ma soprattutto di interloquire e collaborare in modo propositivo con il Ministero della Cultura. Credo profondamente in questo tipo di lavoro e nelle progettualità condivise che ne possono scaturire.
In attesa di un riconoscimento come l’Art Bonus che potrebbe promuovere l’impegno dei privati, le Fondazioni continuano comunque a sostenere gli artisti italiani, affiancando la missione e condividendo gli obiettivi delle realtà pubbliche. Un esempio potrebbe essere la mostra che il prossimo anno porterà in una importante istituzione cinese opere di artiste e artisti italiani dalle nostre collezioni.
Mai come oggi collezionare significa creare un alfabeto, dare forma a un pensiero che ci consenta di delineare il contesto, fatto di tradizioni, di valori, ma anche di prospettive nuove, di ispirazioni eterogenee, di finestre aperte sul mondo esterno. Un contesto in cui operare in maniera consapevole e lungimirante. Per me collezionare è un’attività anticipatrice, partecipativa, con una spiccata vocazione a tracciare nuove strade. Un’attività che costruisce, un sistema di regole coerente e funzionale, un terreno di competizione propositiva. Un’opportunità per un’Italia che vuole ancora crescere.
Patrizia Sandretto Re Rebaudengo
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
Non abbiamo focalizzato un artista o un periodo in particolare, è stato un crescendo di scoperte, tanto che in collezione convivono corpus come quello dedicato ai vetri veneziani del XX secolo che includono sia i vetri di Carlo Scarpa per la M.V.M. Cappellin e per la Venini che quelli di altri 40 artisti, le ceramiche di Guido Gambone e suo figlio Bruno, Gio Ponti, Fausto Melotti e altri grandi maestri di varie discipline. La ricerca di Germano Celant e l’arte povera sono il fulcro dell’esposizione permanente di Magazzino Italian Art, ma proponiamo inoltre nel museo, con la supervision del giovane direttore irpino Vittorio Calabrese, anche altri momenti e protagonisti dell’arte italiana del dopoguerra e del XX secolo fino al contemporaneo.
Per poter realizzare tutto questo, oltre al nostro impegno personale, abbiamo avuto e abbiamo tutt’ora bisogno di aiuto. E’ fondamentale un sistema Italia che funzioni e dia delle garanzie di accessibilità e qualità delle opere.
La circolazione dei propri lavori è molto importante per il successo dell’artista e di ciò che rappresenta, quindi lo diventa anche l’arte e la cultura del paese di provenienza. Facilitare il processo di acquisizione di un’opera però non vuol dire a tutti i costi impoverire il patrimonio nazionale, in questo caso quello italiano. A nostro avviso ci sembra che sia necessario rivedere i parametri della circolazione delle opere. Il principio della tutela non deve essere messo in discussione, anzi va mantenuto e migliorato, però la modalità della notifica così come è oggi è alquanto inefficace. Invece di partire da parametri semplicistici come la datazione si dovrebbe partire da una conoscenza reale delle collezioni pubbliche italiane da parte dei funzionari, che anche se estremamente bravi e dotati di immense buona volontà, non dispongono ad oggi di un catalogo generale aggiornato delle stesse. Questo tema è dannoso e va avanti da decenni, focalizzato da Federico Zeri molto tempo fa ma mai portato a termine. Difficile stabilire senza avere piena consapevolezza di ciò che si possiede quello che può o non può lasciare il paese. Più che limitare a nostro avviso sarebbe molto più importante conoscere.
A questa necessità si affianca una percezione non proprio corretta della figura del collezionista in Italia, visto troppo spesso come un soggetto che con l’arte vuole arricchirsi o raggiungere chissà quali benefici. Collezionare non è investire, nel senso di speculare; collezionare è dedizione, è conferire economie di tempo e denaro ad una passione, è amare quello che si cerca e che si vuole proteggere. E’ ben diverso da fare affari. Molti amici in Italia o nella vicina Svizzera italiana hanno creato delle Fondazioni, esiste un comitato delle stesse che le riunisce, e per quello che possiamo vedere assolvono un ruolo e una funzione pubblica, spesso con ingresso gratuito alle attività.
Per aiutare ancor di più questo processo virtuoso e per far si che possa essere declinato ancor di più per l’arricchimento di un patrimonio condiviso è fondamentale un cambio di passo delle normative fiscali e della narrativa su chi sono e come agiscono i collezionisti. Come non ricordare che la quasi totalità delle collezioni dei piccoli ma anche dei grandi musei italiani proviene da passioni private confluite poi all’interno del patrimonio pubblico? Un grande incentivo affinché tale processo passionale possa riattivarsi è rivedere appunto la politica fiscale relativa ai beni artistici per poter sviluppare sempre più un principio fondamentale, che per noi negli USA è normale, oltreché sacrosanto, quello del give back, ossia della restituzione. Magazzino Italian Art Foundation rappresenta appieno questo principio ed il suo passaggio da espressione di una passione privata a museo pubblico determinerà per sempre la nostra volontà di condividere e restituire agli altri ma anche la fortuna di avere e credere in una grande passione, l’arte italiana.
Tutto ciò è agevolato senza dubbio dalle normative fiscali degli Stati Uniti d’America , che nonostante siano estremamente rigide, incentivano questo tipo di passaggio da privato a pubblico ed il risultato è quello visibile a tutti: Magazzino Italian Art Foundation é un’istituzione che agisce in maniera efficace e dinamica sul territorio di competenza valorizzando al massimo l’arte e gli artisti italiani negli Stati Uniti d’America.
Nancy Olnick e Giorgio Spanu
Magazzino Italian Art Foundation
È cosa ormai nota che gran parte del patrimonio di arte contemporanea italiano sia in mano ai privati. Per molti anni il valore della produzione contemporanea per essere tesaurizzata a patrimonio statale decantare per decenni, maturando il giovane e poi meno giovane produttore di manufatti, il titolo di artista. I manufatti diventavano opere d’arte e quindi dal valore riconosciuto, tanto da meritare un investimento pubblico. Ma in clamoroso ritardo e senza che il pubblico avesse aiutato il processo di crescita del sistema dell’arte. Negli ultimi anni tuttavia, grazie ad iniziative come l’Italian Council, o di alcuni musei illuminati, vengono aperte le porte alla costruzione di un patrimonio pubblico finalmente composto anche da artisti giovani. E questo è uno straordinario passo in avanti. Rimane il punto che i collezionisti privati sono una risorsa nel presente e del futuro. Dovrebbero essere infatti messi a sistema in una azione di interesse collettivo sfruttandone l’esperienza ed ereditandone in qualche modo le opere.
In Italia ci sono straordinari collezionisti ed ognuno ha trovato una formula personale per esprimersi attraverso la propria passione. Costruendosi, ad esempio, un ruolo nelle politiche dell’arte più centrale. Io ho scelto di aprire una fondazione, ho coinvolto la Regione Campania che è entrata stabilmente nel consiglio di amministrazione svolgendo un ruolo attivo nella gestione delle attività. Dopo tanti anni, si sta compiendo una evoluzione da struttura completamente privata a partecipata regionale, verso uno status di “sovrapponibile al pubblico” per citare un documento ministeriale. Da tre mesi abbiamo lanciato uno spin off della fondazione dal nome Edi Global Forum, finanziato da Regione Campania. Un progetto totalmente dedicato all’educazione che tiene insieme i dipartimenti culturali dei musei internazionali in un dialogo costante attraverso una piattaforma che porterà alla costruzione di modelli di istruzione innovativi. Anche la collezione oggi è diventata inalienabile e costituirà in futuro un patrimonio pubblico importante. Ed anno dopo anno lo sarà sempre di più, producendo lavori nuovi dei migliori artisti in attività. Con una caratteristica peculiare: essendo prodotti a Napoli, le opere hanno sempre un forte legame con il territorio, e costituiranno una raccolta che negli anni sarà uno straordinario caleidoscopico film della mia città.
Maurizio Morra Greco
Fondazione Morra Greco