fauna d'arte
L'esperienza del paesaggio, secondo Vittorio Corsini
La poetica dei materiali e le loro corrispondenze: "Sbagliarli è come sbagliare strada". Le opere che tentano di ridefinire e spostare il confine di "casa", i legami tra le cose e l'arte come strumento per entrare nei meccanismi di definizione del mondo
Fauna d'arte è una ricognizione intergenerazionale sugli artisti attivi in Italia. Ci facciamo guidare nei loro studi per conoscere dalla loro voce le opere e i modi di lavorare e per capire i loro sguardi sull’attualità. Il titolo si ispira a una sezione di Weekend Postmoderno (1990), il romanzo critico con cui Pier Vittorio Tondelli ha documentato un decennio di cultura e società italiana. A differenza del giornalismo e della saggistica di settore, grazie a “Fauna d’arte”, Tondelli proponeva uno sguardo sull’arte contemporanea accessibile e aperto, interessato a raccontare non solo le opere ma anche le persone, il loro modo di vivere dentro l’arte.
Oggi questo approccio ci permette ancora di parlare degli artisti, ma in futuro anche delle altre figure professionali come critici e curatori, galleristi e collezionisti, con lo scopo di restituire la complessità di un sistema attraverso frammenti di realtà individuali.
Nome: Vittorio Corsini
Luogo e data di nascita: Cecina, 10 gennaio 1956
Galleria di riferimento e contatti social: vittoriocorsini.com
Claudio Poleschi Arte Contemporanea IS: vittorio.corsini1
L'intervista
Intervista realizzata in collaborazione con Giulia Bianchi
Nella tua pratica artistica che cosa rappresenta il paesaggio?
L’ultima opera realizzata, circa un mese fa, è una scritta al neon che recita: “Nel paesaggio bisogna farsi ciechi” con la grafia di Fabio Gori ed è installata sulle mura di Radicondoli, un borgo immerso nelle colline della Toscana. Come è facilmente intuibile il paesaggio è quindi un’esperienza, qualcosa che non si guarda come una cartolina ma si percepisce, si vive, si attraversa.
Con che tipologia di materiali preferisci lavorare?
I materiali non sono per me delle scatole vuote, ma ognuno ha una poetica, una tendenza, un’inclinazione, o meglio ha delle corrispondenze, per cui pensando ad un lavoro è immediatamente manifesto il materiale che sottende, la corrispondenza: acciaio, cristallo, marmo, neon, persone, acrilico, luce, hanno ognuno una propria identità, una capacità di innestare risonanze: sbagliare materiale è come sbagliare strada.
Quali sono i tuoi riferimenti teorici e visivi?
Ho una formazione piuttosto classica nata dalla frequentazione di libri e biblioteche, musei e chiese, oratori piuttosto che internet e i social. I riferimenti sono gli scultori del ‘400 pisano o fiorentino tipo Lupo di Francesco o Desiderio da Settignano; i pittori manieristi come Pontormo o Rosso Fiorentino, i minimalisti americani come Robert Morris o Walter de Maria. La teoria, lo sviluppo del pensiero è invece più legato ai poeti e ai filosofi: Paul Celan, Micheal Foucault, Roland Barthes, Chandra Candiani, Walter Benjamin, Wislawa Szymborska. Questi riferimenti mi hanno sempre dato la possibilità di spaziare senza preclusioni trovando ogni volta il fondamento dell’agire, insomma non mi sono mai interessate le teorie del ‘900, le ho sempre vissute come limitanti, come dimostrative di qualcosa, ho sempre preferito trovare i legami tra le cose non le differenze o divisioni.
In che modo i concetti di casa e di abitare uno spazio trovano forma nelle tue opere?
La casa occupa un posto particolare nella nostra vita, nel concepire le nostre giornate, nell’ordinare i nostri spostamenti; organizza, se possiamo dire, il paesaggio della nostra mente e il tentativo è sempre quello di renderla più mobile. Alcuni anni fa ho fatto un viaggio nel deserto con “Bambini nel deserto”. Tra i vari incontri ricordo una famiglia padre, madre e una figlia di 14 anni. Nomadi che traversavano il deserto, la loro casa erano 4 sacchetti posati sulla sabbia tra le stoppie, una definizione se vuoi insensata visto il luogo, ma assolutamente necessaria per la costituzione della famiglia. Casa che ogni giorno si ridefiniva, si riformava. Qualcosa che somiglia a quando andiamo sulla spiaggia al mare e stendiamo l’asciugamano. Le opere-casa che ho realizzato sono ogni volta il tentativo di ridefinire e spostare questo confine di casa.
Quale funzione ha l’arte nel mondo di oggi?
Credo sia quella che ha sempre avuto, chiaramente cambiando dei parametri, e cioè entrare nei meccanismi di definizione del mondo, modificare la percezione dei valori e delle cose a cui crediamo o a cui siamo sensibili: nel tempo sono stati di volta in volta valori religiosi, percettivi, formali, espressivi, sociali, politici. Nel presente lavora portando in superficie ciò che siamo anziché ciò che dovremmo essere, rendendo visibile una comunità attraverso pratiche di riconoscimento o di sostenibilità ambientale.
A che cosa stai lavorando?
In questo momento ho in cantiere vari progetti pubblici: due a Peccioli a cui tengo molto, uno a New York. Nella metropoli americana farò un intervento sulla facciata dell’Istituto Italiano di Cultura, un progetto abbastanza complesso che sarà inaugurato ai primi di febbraio 2024. A Peccioli i due progetti lavorano sull’accoglienza di chi arriva nella cittadina, dove ad accogliere il viandante saranno i ragazzi del paese visibili su tre maxi-schermi.
Com’è organizzata la tua giornata di lavoro?
Sveglia alle 7-7.30, consultazione dell’agenda con le priorità della giornata e poi studio, talvolta visita agli artigiani per prendere materiali. In studio il lavoro si divide tra disegni-studio e realizzazione delle opere. Altre volte faccio progettazione vera e propria con programmi 3D, soprattutto per le opere pubbliche dove occorre certezza di misure e materiali. Nel tardo pomeriggio quando sono a Milano spesso vado per vernissage.
Che cos’è per te lo studio?
Lo studio ha varie dimensioni, a volte è il luogo fisico dove realizzo le opere, a volte è un treno su cui corro verso una meta, a volte una città, direi quindi che è soprattutto uno stato della mia mente che si dispone verso qualcosa, che attua una sensibilizzazione, un’attenzione.
Studio (foto di Vittorio Corsini)
Studio (foto di Vittorio Corsini)
Studio per Land 51 (foto di Vittorio Corsini)
Quando e come hai capito di essere un artista?
Sostanzialmente non ricordo, è stato un progredire semplice e determinato, fin dalle elementari ho costruito, fabbricato oggetti, avevo la necessità di muovere le mani per la costruzione di cose varie, e la curiosità di capire come certi materiali potessero essere manipolati. Durante l’università ho incontrato Alberto Mugnaini e Paolo Aita con cui ho iniziato ad approfondire l’arte come teoria e come pratica, ma la vera svolta è stata alla fine degli anni ‘80 quando ho incontrato Fabio Sargentini che mi ha permesso di dedicarmi alla costruzione di sculture.
Le opere
C’è sempre da mettere a posto, da riordinare, da organizzare
Neither inside nor outside 2023, Acciaio vernici, 850x480x100 cm
Tutti insieme con la gioia del primo giorno
Lo sguardo di Peccioli. 2017, Stampa su dibond, Dimensioni ambiente
Il respiro è aurora
Esercizio 1. 2010, Metacrilato e led, 200x200x20 cm
La casa non è mai il progetto disegnato
Fabio's house, 2019, Acciaio vernici, 125x117x30 cm
Una scatola deve essere montata
Fully open rose 2017, Alluminio, 270x250x200 cm
Come scoglio in mare aperto ci dà un appiglio
I have a head 2. 2004, Alluminio, Vernici, lampada, 270x300x200 cm
Gli equilibri sono sempre precari
Il lato chiaro del diamante 11, 2015, Legno, vetro, marmo, pigmento, 114x43x46 cm
L’umore che respiriamo
Lights mood. 2017, Lampade RGB, software, connessione internet, Dimensione ambiente
Dove lo sguardo non trova pace
Nel mezzo del magenta, 2021, Acrilico su alluminio e led,100x104 cm
Quando non c’è niente da spiegare
Nel paesaggio bisogna farsi ciechi. 2023, Neon, 600x 40x 4 cm