fauna d'arte
In bilico con Lucia Cristiani
"L’arte è una possibilità, è una domanda e forse è anche la scelta di accogliere quella domanda, e poi farne un’altra"
Fauna d'arte è una ricognizione intergenerazionale sugli artisti attivi in Italia. Ci facciamo guidare nei loro studi per conoscere dalla loro voce le opere e i modi di lavorare e per capire i loro sguardi sull’attualità. Il titolo si ispira a una sezione di Weekend Postmoderno (1990), il romanzo critico con cui Pier Vittorio Tondelli ha documentato un decennio di cultura e società italiana. A differenza del giornalismo e della saggistica di settore, grazie a “Fauna d’arte”, Tondelli proponeva uno sguardo sull’arte contemporanea accessibile e aperto, interessato a raccontare non solo le opere ma anche le persone, il loro modo di vivere dentro l’arte.
Oggi questo approccio ci permette ancora di parlare degli artisti, ma in futuro anche delle altre figure professionali come critici e curatori, galleristi e collezionisti, con lo scopo di restituire la complessità di un sistema attraverso frammenti di realtà individuali.
Nome: Lucia Cristiani
Luogo e data di nascita: Milano, 1991
Galleria di riferimento e contatti social:
https://www.instagram.com/luciacristiani_/
L'intervista
Intervista realizzata in collaborazione con Giulia Bianchi
Quali sono i tuoi riferimenti visivi e teorici?
I miei riferimenti hanno molte nature diverse, spesso il mio lavoro nasce da vissuti anche molto prolungati nel tempo, in cui gradualmente si sedimentano dialoghi, testi e immagini.
Ultimamente ho sentito vicine le parole di Hanna Black, le poesie di Wisława Szymborska che hanno questo sguardo così privo di censura sia nel descrivere la realtà cruda che l’umana leggerezza trasformativa, le poesie di Adrienne Rich, Miguel Benassayag per il suo sguardo sul fallimento e il conflitto, Jean-Luc Nancy per la sua concezione dell’esistenza come singolare e allo stesso tempo plurale.
Negli ultimi giorni ho rivisto Before the Rain di Milcho Manchevski, questo è un film che guardo quando ho la nostalgia di alcune mie amiche.
Studio molto il lavoro di artiste e artisti a me contemporanei. Le loro opere spesso sento che mi parlano, che condividono con me un sentimento, uno sguardo sulle cose.
Che cos’è per te lo studio d’artista?
Per me lo studio è l’insieme di tante cose. Lo studio è un momento di solitaria concentrazione, altre volte il confronto con gli altri, la vita insieme, altre volte un blocco di fogli. Mi è capitato per settimane che lo studio fosse l’auto di un amico.
Lo studio deve essere un luogo in cui mi sento a casa, in cui il fare sia svincolato il più possibile dal dover essere performante.
Il mio attuale studio a Milano, l’ho desiderato tanto, è un seminterrato che ho risistemato per mesi e che ora ospita anche altri artisti. Volevo che fosse un luogo per me intimo ma che fosse anche aperto ad altre persone. Per me è molto importante riuscire ad attivare pratiche di condivisione nel luogo in cui porto avanti la mia ricerca.
Com’è organizzata la tua giornata di lavoro?
Le mie giornate sono tutte diverse, in bilico fra necessità pratica e desiderio. Alla fine, dopo diverse negoziazioni, tento sempre di far vince il desiderio.
In che modo esplori la connessione tra l’individuo e l’ambiente sociale circostante?
In bilico. In una posizione precaria, incerta e transitoria. Questo mi consente di poter strabordare, perdere l’equilibrio, fare esperienza consapevole della caduta e, a partire da ciò, potermi mettere in dialogo con persone che condividono con me questo stesso modo di essere nel mondo. Questa caduta non è per me paralizzante, o sintomo sconfitta, ma è un punto di partenza per poter uscire dall’isolamento a cui la perdita espone ciascuno e ciascuna, per ridefinire collettivamente i termini per riunirsi in una comunità che sia politica, ed escogitare insieme nuove modalità di stare al mondo. Assumendo questa postura instabile, mi colloco in uno spazio interstiziale di raccordi fra narrazioni e identità differenti. Ricerco uno sguardo divergente che renda possibile riconoscere la contraddizione, lo scarto, l’opportunità di riscrittura del presente, condividendo lo sforzo di ricostruire mantenendomi in uno stato di precarietà.
Qual è l’approccio nella selezione dei materiali per le tue opere, e in che modo questa scelta contribuisce alla narrazione dei temi della tua ricerca?
Le forme e i materiali dei miei lavori sono sempre legati alla narrazione intrinseca nell’opera, non sono mai scelti solo in base all’estetica. Il materiale è una parte importante del processo costitutivo dell’opera su molti livelli. Ad esempio quando utilizzo le galvanizzazioni e ricopro di rame o argento semi e fiori per me è un modo di fissate un istante, di creare come una capsula del tempo attorno a questi materiali organici in modo da poterli conservare e restituirgli, attraverso il metallo, il loro significato simbolico.
Ad esempio Dove ogni cosa resta (Radici) è una serie di sculture legate al Vilsonovo šetalište, storico viale alberato di Sarajevo con 480 tigli centenari, sopravvissuti al conflitto e con cui le persone che abitano nella capitale bosniaca hanno sviluppato un forte legame. La scultura si compone di radici che ho raccolto lungo fiumi italiani sulle quali poggiano semi di tiglio galvanizzati in rame, raccolti nel viale Vilsonovo. Attraverso il processo di galvanizzazione, i semi di questi alberi cosi cari alla città e dal valore simbolico, assumono una forma preziosa che li conserverà per sempre.
Un altro esempio il cui il materiale è fondamentale nella costruzione del lavoro è l’opera The Toothless’ Club, formata da scheletrati, protesi dentali parziali mobili che seguendo la forma della bocca, sorreggono denti in ceramica, palliativi dei denti mancanti. Perdere i denti è come per un animale perdere le proprie zanne. La manifestazione di tale accadimento nella forma del sogno, corrisponde spesso alla paura di non sentirsi in grado di imporsi, di esercitare sugli altri timore ed autorità. The Toothless’ Club si interroga su questo bisogno e sulla sua possibile ridefinizione. La scultura è composta da una serie di scheletrati odontoiatrici, privati dei denti artificiali che ne definiscono la funzione. L’intento è quello di creare una forma organica, dove i singoli elementi costitutivi, protesi deboli ed inefficienti, trovano una nuova struttura all’interno di una dimensione di fragilità condivisa, un club di sdentati.
A che cosa stai lavorando?
In questo momento sto lavorando a molte nuove produzioni. Sto intraprendendo un nuovo filone della mia ricerca legato al concetto di orientamento, nostalgia e alla memoria collettiva. Parte di questi lavori saranno presenti in due progetti site-specific che saranno parte della prossima Cremona Contemporanea - Art Week che inaugurerà a maggio a cura di Rossella Farinotti e che si collegheranno a dei nuovi progetti che sto preparando per l’anno prossimo.
Qual è il ruolo degli oggetti nell’analisi sulla percezione del sé individuale e collettivo?
Il legame, il valore simbolico e narrativo che attribuiamo agli oggetti, le nostre proiezioni di identità, come singoli e come comunità. Indago i legami fra le persone e con le cose, oppure cerco di crearne di possibili, per poi farli emergere.
Oggi qual è la funzione dell’arte?
Non credo che serva pensare all’arte in termini di funzione ma di possibilità. L’arte è una possibilità, è una domanda e forse è anche la scelta di accogliere quella domanda, e poi farne un’altra.
Quando hai capito di essere un artista?
Credo di aver sempre sentito questo desiderio, questa necessità di voler capire le cose attorno a me per sentirle anche mie.
La mia prima mostra l’ho allestita con mio nonno da bambina nella sua cucina, è rimasta lì per anni a ricordarmi chi fossi.
Le opere
“[…] E grazie a te io ritrovo la parte migliore di me
Lucia Cristiani, Single Stem, 2022, fiori di campo galvanizzati in argento, ferro, 220x72x40 cm e 200x72x60 cm, Courtesy l’artista, Foto di Mattia Pastore
Rinasco e mi espando
Lucia Cristiani, Maida (Arazzo), 2022 - Fiori di campo galvanizzati in argento, rete di acciaio, barra di ferro, filo di ferro, filo di ottone, catenine in argento, acciaio, rame e ottone, 290x150x10 cm, installation view presso Fondazione ICA, Milano, Courtesy l’artista e Fondazione ICA, Milano, Foto di Mattia Pastore
Sento di avere una forma
Lucia Cristiani, Maida, 2022 - Fiori di campo galvanizzati in argento, catenine in acciaio e ottone, 350x20x15 cm, veduta presso Fondazione La Quadriennale di Roma, Courtesy l’artista e Fondazione La Quadriennale di Roma, Foto di Mattia Pastore
La costruisco insieme a te
Lucia Cristiani, Maida (Lame), 2022 - Fiori di campo galvanizzati in argento, lame in ferro battuto, 15x50x25 cm, veduta presso Fondazione ICA, Milano, Courtesy l’artista e Fondazione ICA, Milano, Foto di Mattia Pastore
Una forma irregolare
Lucia Cristiani, The Toothless’ Club, 2022 - Scheletrati odontoiatrici in lega stellite di cromo, cobalto e molibdeno saldati a laser, dimensioni variabili, veduta presso Toast Project Space, Manifattura Tabacchi, Firenze, Courtesy l’artista e Toast Project Space, Foto di Mattia Pastore
Decadente
Lucia Cristiani, The Toothless’ Club, 2022 - Scheletrati odontoiatrici in lega stellite di cromo, cobalto e molibdeno saldati a laser, dimensioni variabili, veduta presso Toast Project Space, Manifattura Tabacchi, Firenze, Courtesy l’artista e Toast Project Space, Foto di Mattia Pastore
e viva
Lucia Cristiani, Zanne Fragili (performance), 2022 - Denti provvisori policarbonati galvanizzati in argento, 5x12x20 cm, performer: Rebecca Mari – presso Toast Project Space, Manifattura Tabacchi, Firenze, Courtesy l’artista e Toast Project Space, Foto di Mattia Pastore
Cava
Lucia Cristiani, Dove ogni cosa resta (radici), 2021- Radici, semi di tiglio galvanizzati in rame, dimensioni variabili, Courtesy l’artista, Foto di Mattia Pastore
e piena
Lucia Cristiani, Dove ogni cosa resta (diffusori), 2021- Diffusore di essenze, essenza di fiori di tiglio, paralumi di lampade ad olio in vetro, dimensioni variabili, Courtesy l’artista, Foto di Mattia Pastore
Una forma che sento vibrare, mutare, con la tua […]”
(Lucia Cristiani, Cerco sempre te, 2021)
Lucia Cristiani, How far should I go to explode? Act 2, 2019 - Opel Ascona, fuochi d’artificio outdoor, effetti scenici indoor, performance 15’, presso House of Displacement, promosso da Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e con il supporto di Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, Torino, Courtesy, l’artista, CampoBase , Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Foto di Mattia Pastore