fauna d'arte

L'arte di Edoardo Manzoni, tra caccia e seduzione, uomini e animali

Francesco Stocchi e Gabriele Sassone

"Sono sempre stato fin da piccolo un creativo compulsivo. Però il mio primo incontro con l’arte contemporanea fu al liceo. La mia giornata ideale? colazione fuori e lunghe passeggiate". Noi e la natura. E i ricordi impressi in un’immagine, nella materia, nei corpi

Fauna d'arte è una ricognizione intergenerazionale sugli artisti attivi in Italia. Ci facciamo guidare nei loro studi per conoscere dalla loro voce le opere e i modi di lavorare e per capire i loro sguardi sull’attualità. Il titolo si ispira a una sezione di Weekend Postmoderno (1990), il romanzo critico con cui Pier Vittorio Tondelli ha documentato un decennio di cultura e società italiana. A differenza del giornalismo e della saggistica di settore, grazie a “Fauna d’arte”, Tondelli proponeva uno sguardo sull’arte contemporanea accessibile e aperto, interessato a raccontare non solo le opere ma anche le persone, il loro modo di vivere dentro l’arte.

    

Oggi questo approccio ci permette ancora di parlare degli artisti, ma in futuro anche delle altre figure professionali come critici e curatori, galleristi e collezionisti, con lo scopo di restituire la complessità di un sistema attraverso frammenti di realtà individuali.


 

Nome: Edoardo Manzoni

Luogo e data di nascita: Crema, 05/12/1993

Sito web e contatti social:

Instagram

sito web

   

L'intervista

Intervista realizzata in collaborazione con Anna Setola

  

Qual è la funzione dell’arte oggi?

È di essere funzionale al Potere, non essendo più in grado di contrastarlo. Credo che l’artista abbia bisogno di tornare a essere “incatturabile”, mutevole, per provare a sfuggire agli algoritmi e ai capricci dell’establishment. Per educare il grande pubblico a opporsi al mondo che ci viene presentato. Tutto questo è molto complesso quando l’arte è la tua professione.

 

Che rapporto c’è tra l’umano e l’animale nella tua ricerca?

È un rapporto di sguardi ancestrale, è un confrontarsi e rispecchiarsi costantemente con un’alterità. L’uomo, con i suoi processi di apprendimento imitativi, ha sempre fatto riferimento al mondo animale. Spinti dalla fame ci siamo fatti cacciatori, camuffandoci da animale per avvicinarci a esso, seducendo per ucciderlo.

Sedurre non è da considerarsi banalmente come una conquista erotica, ma di una raffinata capacità di attrarre, di condurre chi viene sedotto fuori dal proprio cammino. In tutto ciò l’uso dell’ornamento gioca un ruolo chiave.

Nello stesso mondo animale, ma anche vegetale, l’ornamento viene usato come arma di difesa o seduzione. Come nella caccia, gran parte delle mie opere, attraverso un gioco di nascondimenti, attese e disvelamenti, indagano il rapporto implicito tra preda e predatore, mettendone in luce la reversibilità dei ruoli.

Gli animali o gli esseri umani nei miei lavori sono latenti, o meglio “rimossi”. Ciò che metto in scena sono gli strumenti di relazione tra questi due mondi, spesso sono delle trappole o dei richiami. In altri casi cerco un punto di incontro tra le convenzioni culturali umane e il mondo non-umano, creando oggetti estetici che portano con sé l'idea di corpo come ornamento, come nel caso della mia ricerca sugli uccelli del paradiso.

  

Che cos’è per te lo studio d’artista?

Ho la fortuna di poter dire di avere tre studi: il primo è la cascina dove sono cresciuto, e dove tutt’ora vive e lavora la mia famiglia, è un luogo antico e stratificato che mi permette di rimanere in contatto con il mondo rurale. Il secondo è lo studio che ho in condivisione a Milano, dove ho la possibilità di accumulare e far sedimentare le cose che raccolgo, è anche il luogo dove sperimentare e confrontarsi costantemente con le persone. Il terzo è la casa dove vivo, il posto ideale per isolarsi e fare ricerca, leggere e lavorare al computer.

  

   

Quali sono i tuoi riferimenti visivi e teorici?

Di riferimenti visivi ne ho tantissimi sull’arte contemporanea e moderna, così tanti che mi mandano in crisi. Alla fine trovo conforto e ispirazione più nell’arte antica, nell'archeologia, mi aiuta a pulirmi gli occhi e mi dà molta energia.

Per la ricerca artistica degli ultimi anni, tra i vari riferimenti mi vengono in mente: Roberto Calasso, Donna Haraway, Paul Shepard, Baptiste Morizot, Richard O. Prum e Nicolas Bourriaud.

  

In che modo il naturale diventa artificiale nei tuoi lavori?

Ho sempre cercato nei miei lavori di mettere in dubbio questa dicotomia. Il mio interesse è quello di creare oggetti che suggeriscano una sintesi di forme vegetali, animali e umane, ma che tutto sommato riguardano una natura antropizzata, a volte digitale. Bisogna considerare anche il contesto dove ho vissuto e dove vivo oggi. Sono cresciuto in una piccola azienda agricola nella Pianura Padana, dove il confine tra campagna e industria è molto labile. Ora sono a Milano da più di dieci anni e la maggior parte dei miei lavori prendono ispirazione da piante e animali che non ho mai visto e che cerco di ricreare con gli strumenti che ho a disposizione.

  

A che cosa stai lavorando?

Sempre rispetto al tema dell’ornamento e della seduzione, sto guardano più alla relazione tra insetti e vegetali. Per esempio a come certi animali imitano il corpo dei fiori per mimetizzarsi, o di come certi fiori si siano modificati in funzione degli insetti per attirarli verso di sé.

C’è un tipo di orchidea che mi ha molto colpito, si chiama Vesparia (ophrys apifera), che deve il suo nome al fatto che ha assunto le sembianze di un'ape femmina durante la stagione degli accoppiamenti, in modo da attirare il maschio per l’impollinazione. Tuttavia il tipo di ape che cerca di imitare si è estinta centinaia di anni fa, costringendo la pianta a continuare a riprodursi con l'autoimpollinazione, finché non sarà destinata anch’essa a scomparire. Trovo interessante il fatto che abbiamo scoperto questa specie di ape solo attraverso la sua immagine impressa nella forma del fiore. E quando questa orchidea non ci sarà più saranno le sue fotografie a permetterci di ricordarla.

Ne parlo perché credo che il mio lavoro stia andando in questa direzione, verso il tema del ricordo, un ricordo impresso in un’immagine, nella materia, nei corpi. Un ricordo che confonde l’ordine temporale.

  

Che tipo d’impatto vorresti avere sul tuo pubblico?

Trovo già speciale avere un pubblico che accolga il mio sguardo sul mondo, qualsiasi cosa faccia, senza pretendere nulla.

 

In che modo hai iniziato a fare l’artista?

Sono sempre stato fin da piccolo un creativo compulsivo. Però il mio primo incontro con l’arte contemporanea fu al liceo. Durante una consueta lezione di disegno, scoprimmo che il nostro insegnante Gianni Macalli fuori da scuola era un artista concettuale, poliedrico. Quando vidi i suoi progetti, le sue mostre, ho pensato: voglio fare anche io questa cosa qui. Ricordo una Fiat 500 totalmente ricoperta da un patchwork di Peluche multicolor, rimasi flashato.

 

Com’è organizzata la tua giornata?

È divisa tra lavoro artistico, lavoro stipendiato e vita privata, sono giornate sempre piene. La mia giornata ideale, colazione fuori e lunghe passeggiate.

  
Le opere

   

È un oggetto ambiguo, che rimanda ironicamente a un design di lusso dal gusto esotico.

  

Edoardo Manzoni, Manga, 2023, bambù artificiale, spine, vernice, ventagli, 200x50x3cm, Courtesy l’artista e Lunetta11, Foto di Edoardo Manzoni.

  

Ho visto questo ramo secco, mi ricordava un corpo animale, poi è diventato un teatrino di forme, poi si è fatto paesaggio.

  

Edoardo Manzoni, Fioritura, 2023, alluminio, 115x250x58 cm, Courtesy l’Artista e Lunetta11, foto di Edoardo Manzoni.

  

Come nelle nature morte di Morandi, l’oggetto funzionale viene svuotato della sua identità specifica per poter diventare un’entità plastica da riempire ogni volta con nuovi significati.

 

Edoardo Manzoni, Natura Morta, 2020, legno, laccatura, ferro ramato, vetro, 155x150x150 cm, Courtesy l’Artista e The Address, foto di Alberto Petrò.

  

L’obiettivo è quello di innescare una tensione tra l’oggetto e lo spettatore, data da sentimenti di attrazione, seduzione e respingimento.

  

Edoardo Manzoni, Senza titolo (Fame), 2019, legno, spine, filo, bacche, vernice, 16x40cm, Courtesy l’Artista e Fondazione La Quadriennale di Roma, foto di Carlo Romano.

  

L’espressione “specchietto per le allodole” deriva da una trappola usata in passato per cacciare.

  

Edoardo Manzoni, Allodoliere, 2022, Legno, laccatura, specchi, 140x70x10cm, Courtesy l’Artista e Lunetta11, foto di Edoardo Manzoni.

 

Queste opere evidenziano come il senso del bello possa contrapporsi alla legge della lotta e al dominio del più forte.

  

  

Edoardo Manzoni, Paradiso Minore, 2023, legno, carta, corda, capelli sintetici, 22x10x7 cm. Courtesy l’Artista e Renata Fabbri, Milano, foto di Mattia Mognetti.

  

Abitano lo spazio espositivo in una coreografia apparentemente statica, ma sempre sul punto di prendere forma.

  

Edoardo Manzoni, Sei Fiori, 2023, legno, acciaio inossidabile, fiori secchi, 20x10x3 cm. Courtesy l’Artista e Renata Fabbri, foto di Mattia Mognetti.

  

Nelle scene di caccia il cane appare sempre fiero, al culmine delle sue potenzialità: su di esso viene proiettata la rappresentazione ideale del cacciatore.

 

Edoardo Manzoni, Senza titolo (scena), 2023 stampa UV su plexiglass specchiato, 40x40 cm, Courtesy l’Artista e Renata Fabbri, foto di Mattia Mognetti.

  

l’Argo Maggiore per corteggiare, si inchina aprendo le proprie ali in avanti come un grande ventaglio, ho ritrovato questo gesto, questo cambio di forma improvviso, in un ombrello ribaltato dal vento e nelle tende veneziane che si incastrano fino a rompersi.

  

Edoardo Manzoni, Colpo di vento (Argo Maggiore), 2021, stampa su tende veneziane, manico di ombrello, corde, 140x70x93, Courtesy l’Artista e ArtNoble, foto di Studio Mare.

  

Una volta un bambino è entrato in mostra, ha indicato quest’opera è senza esitare ha detto: è una trappola!

   

Edoardo Manzoni, Senza titolo (Fame), 2022, alluminio, bacche, vernice spray, filo di ferro, chiodi, 50x50x24 cm, Courtesy l’Artista e Galleria Ramo, foto di Galleria Ramo.

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