fauna d'arte

"La mia arte nasce da epifanie inaspettate e meraviglie nascoste". La versione di Alessandra Spranzi

Francesco Stocchi e Gabriele Sassone

L'esplorazione del lato nascosto e irrazionale delle cose comuni, la loro trasformazione e la delicatezza della manipolazione artistica. "Le immagini mi chiamano, come se mi aspettassero"

Nome: Alessandra Spranzi

Luogo e data di nascita: Milano, 5 gennaio 1962

Galleria di riferimento: p420, Bologna

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L'intervista

L'intervista è realizzata in collaborazione con Anna Setola

 

Il tuo lavoro spesso esplora il lato nascosto e irrazionale delle cose comuni. C'è un momento specifico della tua vita in cui hai iniziato a vedere questo potenziale nascosto?

Non mi pare che ci sia stato un momento in cui ho iniziato a guardare le cose in altro modo.

C’è stato un lento avvicinamento alle cose, alla loro naturale capacità di essere complesse, immense, oscure. E di trasformarsi. Ho iniziato a spostarle, girarle, avvicinarle, sospenderle, farne altri usi. Fare esperimenti. Spostando una cosa se ne muovono altre. O se ne vedono altre. E ne accadono. Questi accadimenti sono come epifanie inaspettate, meraviglie.

Sono stata una bambina miope, le cose cambiavano, se mi avvicinavo o allontanavo, se le prendevo in mano, come le guardavo, con gli occhiali o senza. Spesso le fraintendevo, le confondevo. Un’attenzione alle cose e alla realtà incerta, distratta. Che cos’è quella cosa?

 

A che cosa stai lavorando?

Mi è sempre piaciuto guardare alle cose, alle cose che sono animate in modo naturale ma vagamente imprevisto. Cose spinte un po’ più in là, a volte agli estremi. Mi interessa raccoglierle, qualsiasi forma possa prendere questa raccolta. Così continuo ora.

Porto avanti più lavori, alcuni hanno tempi lunghi, anni, altri si esauriscono velocemente.

In questi mesi continuo con una serie discontinua: Esercizi. Si tratta di fotografie di piccolo formato a colori, di soggetti diversi che per qualche ragione mi colpiscono, mi trattengono - due sedie appoggiate su un tavolo, degli agrumi su un piano d’argilla, delle palle di pétanque, un equilibrista su un filo, due tappeti stesi, dei bicchieri in bilico…

Sono fotografie analogiche, i tempi sono lunghi, c’è un’attesa. Come sarà?

Lo stesso con dei video che raccolgono qualcosa che appare, inaspettato.

L’ultimo, per esempio: due ragazzine in un cortile che si esercitano a pallavolo, loro due sole, con una stessa tuta da ginnastica gialla e blu. Si tirano la palla e fanno giravolte, come dervisci rotanti, finché perdono l’equilibrio, ondeggiano, tirano la palla nel vuoto e si lasciano cadere sull’erba.

Recentemente sono stata invitata dall’Istituto Centrale della Grafica a entrare e a fotografare nei depositi del Museo Nazionale Romano. Lì altre cose: reperti, frammenti, che non conoscevo. Oggetti meravigliosi, arcaici, che hanno una densità di tempo e storia particolari. Sonnolenti negli scaffali. Questi sì, oggetti nascosti sottoterra o nel mare per secoli.

Ancora oggetti, sempre diversi.

   

Come decidi quale mezzo utilizzare per un determinato progetto e come interagiscono tra loro queste diverse forme espressive nel tuo corpus artistico?

Sono le cose che decidono come vanno toccate, maneggiate. Io seguo, faccio, prendo in mano.

Le reazioni, i modi di maneggiare e di pensare sempre diversi, da inventare, come mondi che stanno uno a lato dell’altro.

C’è uno strano movimento, quando lavoro e forse nella vita, fra lasciar fare, accadere e fare, prendere decisioni. È come una danza, quando funziona.

Altrimenti chiudo, lascio andare. Cade tutto, sgraziatamente. Prendersi il rischio.

 

Quali sono i tuoi riferimenti visivi e teorici?

Difficile riassumere. Cambiano, si muovono, a seconda di quello che cerco o che mi viene incontro.

Alcuni nomi che forse indicano dei punti, degli astri, più che un universo completo: Sigmar Polke, Ad Reinhardt, Fischli and Weiss, Giotto, Francis Alÿs, Franco Vimercati, Manet, Paul Nougé, Giandomenico Tiepolo, Markus Raetz, Richard Wentworth, molta fotografia anonima e manuali, riviste, libri, Chardin, la pittura e la scultura romana ed etrusca. E poi, Franz Kafka, Charles Baudelaire.

  

Qual è la funzione dell’arte oggi?

Rallentare? Confondere? Sovvertire? Sospendere? Differire? Fare ricominciare le cose in altri modi? Massimi sforzi sproporzionati?

 

La tua pratica artistica include il riuso e la manipolazione di scatti altrui. Come scegli le immagini da riutilizzare e cosa cerchi di comunicare attraverso questa rielaborazione?

Le immagini sono delle materie prime, come tante altre. Vanno lavorate, toccate, tagliate, riposizionate, riguardate. A volte semplicemente additate, cioè rifotografate. Altre volte travisate o sradicate. Mi piace stare dentro alle immagini. Alcune non si esauriscono, anzi, ripartono, come svegliate finalmente. Come fare un innesto su una pianta. Nascono altri frutti.

Il più delle volte mi sembra che siano le immagini, o i libri e le riviste così come succede con le cose, a chiamarmi, come se, per qualche ragione, mi aspettassero. Necessità? Appuntamenti?

 

In che modo hai iniziato a fare l’artista?

Ho amato l’arte fin da bambina, o da ragazzina, senza avere chiaro cosa fosse, cosa volesse dire o dove sarei andata. È un tempo lontano l’infanzia, so che ero caparbia pur non facendo nulla di particolare: non disegnavo, non dipingevo, non facevo sculture né altro. Volevo diventare un’artista, ma mi pare che non facessi nulla per preparami, aspettavo, non so cosa.

La fotografia, verso i trent’anni, è diventata per me interessante, una possibilità ricca, semplice, diretta. Una scoperta. Un avvicinamento imprevisto. Non ci avevo fatto caso prima.

Era lì, accessibile. Così, ho iniziato. Ufficialmente nel 1997, con la collettiva Vertigo alla galleria Emi Fontana, con cui ho lavorato poi per anni. In quest’occasione ho esposto Tornando a casa. Non era la prima mostra, ma mi è sembrato l’inizio.

 

Com’è organizzata la tua giornata?

Sono mattiniera, inizio presto. Ma le mie giornate sono diverse, non c’è una vera routine.

Passo molto tempo in studio, o cerco di farlo. Anche come passo il tempo in studio cambia, dipende da quello di cui mi sto occupando. Giornate piene e produttive, altre di piccoli inutili movimenti, spostamenti di cose, pagine, pensieri; di pulizie, che preparano a volte l’inizio o la conclusione di qualcosa.

Dal 2009 insegno all’accademia di Brera, al Biennio di Specializzazione di Fotografia. Giorni di lezione.

  

Che cos’è per te lo studio d’artista?

Tanti lavori iniziano e finiscono lì. Ma molte cose, cioè intuizioni o lavori, iniziano altrove, fuori, lontano. Lì, in studio, sono ripuliti, ordinati, ripensati, scartati. Dimenticati spesso.

Nello studio è come se ricomponessi una pratica che è sfaccettata, e dispersa. È un posto dove sto bene, tiene insieme i tempi delle cose.

  

    

Le opere

 

io, #19, 1993, fotocopia di collage, bianco e nero, cm.21x29,7 (Courtesy l‘artista e P420, Bologna)

Una fototessera, sempre la stessa, montata su pagine di riviste o libri.

Fotocopie.

Progetto un libro pop-up.

Un modo di fare qualcosa con le immagini più svariate, per tenerle e trasformarle in qualcosa d’altro. Divertimento, innocenza.

    

 

Quando la terra si disfa #10 oppure #1, 1996, fotografie bianco e nero (Courtesy l‘artista e P420, Bologna)

Quando la terra si disfa, le cose sono libere di galleggiare. Mentre noi scaviamo tane, costruiamo rifugi, nel cielo le nuvole si fanno e si disfano, dimenticandosi di piantare radici.

Guardo le cose, scopro gravità e l’oscurità intorno alle cose.

 

Quando la terra si disfa
Galleria Emi Fontana, Milano
1999
Testo di Alessandra Spranzi in italiano e inglese
32 pagine

13,5x18 cm
500 copie

  

Tornando a casa #15, 1997, fotografie a colori (Courtesy l‘artista e P420, Bologna)

Incendi domestici. Tornando a casa non aspettiamo sorprese, non le aspettiamo più. Ci basta ritrovare la casa, chiudere la porta.

Fotografie da libri o riviste di interni degli anni Cinquanta e Sessanta, che ho bruciato e rifotografato.

 

Tornando a casa
A&Mbookstore Edizioni, Milano
1997
56 pagine
22x21 cm
1000 esemplari

 

 

La donna barbuta #6, 2000, fotografie bianco e nero (Courtesy l‘artista e P420, Bologna)

Non c’è tristezza nella donna barbuta, c’è anzi una serenità selvaggia, pervasiva, una serenità inquieta, a volte una malinconia mista a pace. La donna barbuta percorre i suoi prati, i suoi sentieri, è sola, nel silenzio, lontano dal brusio, dai sorrisi sprecati. Riconosce il lontano e il vicino, le stagioni che arrivano e che vanno, le ombre della sera.

 

La donna barbuta
Galleria Emi Fontana, Milano
2000
Libro d'artista
Testo in italiano di Alessandra Spranzi
50 pagine
18,5x13,5 cm

500 copie

  

   

Cose che accadono #16, 2005, fotografie a colori (Courtesy l‘artista e P420, Bologna)

La nostra ricognizione del mondo si ferma spesso a un riconoscimento, a un ritrovare il mondo come e dove lo si era lasciato. Vedere e riconoscere come automatismo dell’occhio e del pensiero, fra pigrizia e desiderio: ma qualche volta, accadono cose che sospendono quell’automatismo.

 

Cose che accadono
Edizioni Fotografia Italiana, Milano
2005
Testi di Francesca Pasini e Alessandra Spranzi

Testi in italiano e inglese
70 pagine
22,5x19,5 cm
1000 esemplari

  

  

Sortilegio (Modern Magi För Amatörer, Bild 31, 54, 67), 3 serie diverse, 2012- 2018, fotoincisioni (Courtesy l‘artista e P420, Bologna / foto Carlo Favero) 

Modern Magi För Amatörer, 2018, fotoincisioni a colori

Le prime immagini di Sortilegio, del 2012, sono dettagli di gesti di mani che preparano il cibo e cucinano, quelle del 2014 sono invece dettagli di mani di un bricoleur. I gesti che facciamo si ripetono uguali da sempre, come i sentimenti, non ce n’è di nuovi. Isolati, sono gesti che riconosciamo, famigliari, e nello stesso tempo enigmatici, da maghi o ciarlatani.

Modern Magi För Amatörer, 3 fotoincisioni a colori, sono invece mani che si esercitano in esercizi di magia

   

    

Fiori #6 (Nascita di un'Orchidea), 2016, collage, formato cm.23x30 (Courtesy l‘artista e P420, Bologna / foto Carlo Favero)

I fiori hanno nomi belli, come anche le piante. Nomi che vengono da lontano, o da lingue lontane, dal latino e dal greco. Spesso sono nomi doppi o composti, come se uno solo non bastasse.

Glazania splendens, Glossinie, Tecoma leucoxylon, Echeveria setosa, Achillea ageratum, Iris kaempferi, Aquilegie, Jacaranda copaia, Linaria cymbararia, Agapanthus umbellatus, Salix helveti-ca, Incarvillea lavatera trimetris, Sempervivum tectorum, Stratiotes aloides, Echinops bannaticus, Arctium lappa, Ansellia africana, Centaurea dubia…

Una rosa non è solo una rosa.

In questi collages fiori e parole si raddoppiano o si ricompongono attraverso i tagli, come se una sola immagine non bastasse.

I tre volumi da cui ho preso e tagliato le pagine di questi collages si chiamano Natura viva, editore Vallardi, 1966.

  

    

L’insieme è nero 2016 -2024 (Ragazzo con prototipo, 2016), fotografie bianco e nero (Courtesy l‘artista e P420)

Rifotografo alcune immagini da vecchi libri e riviste. Le immagini sono diverse, le ragioni per cui le fotografo, anche. Quello che le accomuna è però un’impossibilità o difficoltà a sciogliere le immagini, a risolvere il loro anodino enigma, a farle parlare fino in fondo. C’è un mutismo, un silenzio che persiste anche di fronte all’ovvietà di quello che le fotografie rappresentano, uova, bottiglie, prototipi di lampade, cactus, gesti esplicati, l’orlo di vestito, e altro.

Finalmente, trovo nei Quaderni di Paul Valery il titolo che tiene insieme questa raccolta.

“Sento tutte le cose che scrivo qui – le osservazioni, gli accostamenti come un tentativo di leggere un testo e questo testo contiene degli ammassi di frammenti chiari. L’insieme è nero” (1902, Senza titolo, II, 479)

 

L’insieme è nero

Selfpublished, Milano, 2019

20 pagine

14x20

40 copie

  

Sul tavolo#5, 2012-2024, stampa a colori nero (Courtesy l‘artista e P420, Bologna)

Dal 2012 ho iniziato a raccogliere delle cose in strada, il più delle volte dei pezzi di cose, dei resti di qualcosa di buttato o di perso. Spesso è difficile capire a che cosa siano servite queste cose, è difficile anche descriverle. Le porto a casa, le metto sul tavolo per vederle meglio e le fotografo, a volte insieme a ritagli di libri o altri oggetti, con una preferenza per coltelli, forchette, cucchiai, uova, tazze, mandarini, bicchieri, cose che girano intorno. Queste cose sono delle fragili apparizioni che hanno però il peso del metallo, della porcellana, della carta, del legno, della plastica, del cartone. Il tavolo ha la forza magnetica e silenziosa della terra. Nel libro, una fotografia di Paul Nougé, da La subversion des images.

    

Uova, posate e altri oggetti

a+mbookstore edizioni, Milano, 2018
36 pagine
24x16,5 cm

480 copie
30 copie firmate e numerate, contengono una fotografia originale

   

   

Esercizi (Due sedie appoggiate su un tavolo), fotografie a colori, 2022 -2024 (Courtesy l‘artista e P420, Bologna)

 

Raccolgo cose che stanno come in una nuova postura, o poco più in là.

Penso alla metafisica, immagini che costruiscono altri mondi.

Esercitarsi delle cose e del mondo.

 

Venti esercizi presentati alla mostra “Egli rincorre i fatti come un pattinatore principiante, che per di più si esercita dove è vietato”. Franz Kafka, Quaderno in ottavo, alla galleria p420. Nel testo di Kafka c’è tutto.

 

 

Esercizi

Selfpublished

24 pagine
18x24 cm
stampato in 100 copie

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