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"L'immaginazione non si può censurare, è la massima forma di resistenza". Parla Ruth Beraha

Francesco Stocchi e Gabriele Sassone

"Spesso il mio lavoro assume forma testuale, narrativa, in qualche caso in assenza dell’immagine provo a ricrearne una che sia mutante, mai uguale a se stessa"

Nome: Ruth Beraha

Luogo e data di nascita: Milano, 4/8/1986

Galleria di riferimento e contatti social: Ncontemporary Milano,

Instagram@ruthberaha, #ruthberaha

  

L'intervista

L'intervista è realizzata in collaborazione con Anna Setola

    

In che modo hai iniziato a fare l’artista?

Non ricordo un momento in cui non avessi già questo in testa e un pessimo carattere. I miei raccontano di me sempre assorta e con la matita in mano, a disegnare su qualsiasi superficie mi capitasse a tiro. Qualche anno fa mia madre ha svuotato un vecchio mobile e ha trovato un disegno sul fondo di un cassetto. Era un orsetto stilizzato, avrò avuto forse due anni quando l’ho disegnato. Ho iniziato tardi a farlo per vivere. Fino a trentuno anni ho lavorato in altri ambiti, poi ho capito che non mi sarei mai perdonata se non ci avessi provato e mi sono licenziata. Dal giorno dopo mi sono costruita e mi sto costruendo una carriera, anche grazie a una serie di incontri fortunati.

 

Spesso fai riferimento al concetto di “iconoclastia”. Che significato assume in relazione alla tua pratica artistica?

L’assenza di immagini mi interessa perché dà spazio all’immaginazione: fino a quando un’immagine non è fissata ha un potenziale infinito. Io lavoro spesso con il potenziale, con il non detto, con l’immaginato. L’iconoclastia mi interessa anche come forma di violenza e forzatura, se pensiamo all’iconoclastia storica e religiosa è più chiaro. C’è un filone dei visual studies che si occupa della violenza delle immagini – e anche di violenza rispetto all’assenza o censura delle immagini, e di iconoclastia come potenziale: laddove – come nei libri rispetto ai film, per capirci – non c’è l’immagine ma esiste un’indicazione per immaginarla, lì potenzialmente si genera tutto. Da un certo punto di vista è come dire che l’immaginazione non si possa censurare: è la massima forma di resistenza. Ma l’iconoclastia ha anche una valenza più intima, per me. Ha a che fare con la voglia di essere vista e la paura di essere guardata.

  

Com’è organizzata la tua giornata?

Difficilmente un giorno è uguale all’altro. Gli elementi che tengo in equilibrio sono: mia figlia, la relazione con la mia compagna, il lavoro in studio, le produzioni – molte delle quali non vengono finite in studio ma da vari fornitori in giro per l’Italia, quindi si traducono in molti chilometri macinati in auto – le camminate a San Luca e le ore davanti al computer. Cerco di cucinare per tutta la famiglia e di leggere a letto.

  

Che cos’è per te lo studio d’artista?

Lo spazio della tranquillità, del silenzio e dell’ascolto di podcast e audiolibri. Anche musica, ma solo quando voglio ascoltare una cosa specifica, mai come musica di sottofondo. Considero il mio studio anche il tempo e lo spazio di quando vado a camminare, quasi sempre, anche lì, con qualcuno nelle orecchie. Considero poi il mio studio anche la lettura in generale, quindi immagino qualsiasi letto, divano, poltrona, sdraio, sedile di treno o di aereo, sedia di sala d’aspetto.

   

     

Quali sono i tuoi riferimenti visivi e teorici?

Ho una formazione da storica dell’arte e per questo sono molto legata all’immaginario dell’arte antica e rinascimentale, così come i visual studies a cui accennavo prima. Ho studiato da pittrice e poi ho litigato con la pittura - ultimamente ho ripreso a frequentarla ma con molta cautela. Ho amato l’arte concettuale e il suo superamento. C’è molta letteratura, penso a Butler, Asimov, Kafka, Carrère, Morrison, Poe, Le Guin, Dick, Potok, O’Connor, solo per citare qualche autore. Il mio lavoro affonda anche le radici nell’immaginario legato alla cultura popolare, dal cinema allo sport.

  

C’è una tra le tue opere a cui sei particolarmente legata o che reputi la più eloquente rispetto alle tematiche che indaghi?

A seconda di quando mi fanno questa domanda rispondo sempre con l’ultimo lavoro che ho fatto, in questo caso è Fortune’s always hiding, I’ve looked everywhere. Una serie di uccellini di ceramica dipinta con la testa infilata nel muro, che è in mostra alla nona edizione della Biennale Gherdëina insieme a un altro lavoro intitolato Il cielo è dei violenti (fino al 1 settembre). Sono molto legata al primo lavoro della mia carriera, che ho esposto in Pirelli Hangar Bicocca a inizio 2018, Pensiero stupendo (self-portrait).

   

Ci descrivi l’uso che fai della dimensione sonora?

Mi ricollego alla risposta sull’iconoclastia, spesso il mio lavoro assume forma testuale, narrativa, in qualche caso in assenza dell’immagine provo a ricrearne una che sia mutante, mai uguale a se stessa, e questo spesso avviene attraverso il testo ma non solo, anche altri suoni hanno un connotato evocativo e un potenziale immaginifico. È come se avessi bisogno di entrambe le dimensioni, quella dell’immagine e quella della sua assenza.

  

Qual è la funzione dell’arte oggi?

Quella che aveva anche ieri, salvare il mondo senza avere nessuna utilità.

A che cosa stai lavorando?

A un capolavoro.

 

Le opere

  

Fortune’s always hiding, I’ve looked everywhere, 2024

Ceramica dipinta

Installation view Biennale Gherdëina

Ph. Tiberio Sorvillo

 

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Us (self-portrait), 2018

Acquario, piranha, terracotta

Installation view Mambo

Ph. Carlo Favero

 

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Visionarie, 2021

Ceramica dipinta

Installation view Ncontemporary

Ph. Ela Bialkowska OKNO studio

 

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L’altra, 2022

Vetro

Ph. Carlo Favero

 

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Run Home (self-portrait), 2018

Vetro soffiato

 

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I’ll tell you the story I know, 2021

Alluminio, specchio-spia, cuffie, ecopelle, traccia audio, lettore mp3

Installation view Macro

Ph. Simon d’Exéa

 

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R.U.? (self-portrait), 2022

Acciaio, speakers, traccia audio

Installation view GAMeC

Ph. Antonio Maniscalco

  

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A me gli occhi, 2021

Scritta al neon


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Viktor (dalla serie Goodfellas), 2024

Inchiostro su carta

Installation view Fondazione Nicola Trussardi

Ph. Marco De Scalzi

 
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Non sarai mai solo, 2019

Performance

Installation view Museo della città di Livorno

Ph. Ela Bialkowska OKNO studio

 
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