fauna d'arte

Entrare nelle trame delle città con le fotografie di Vincenzo Castella

Francesco Stocchi e Gabriele Sassone

"Non riesco a isolare l’Urbano come categoria distinta, quando guardo la Natura penso a disegni dell’Architettura, quando lavoro su una Città la vedo principalmente attraverso le connessioni, le marginalità, le cerniere e le trame"

Nome: Vincenzo Castella

Luogo e data di nascita: Napoli 21 aprile 1952

Galleria di riferimento e contatti social:

Studio la Città, Verona – Building, Milano – Galeria F2, Madrid

sito web

Instagram

  

Intervista

Intervista realizzata in collaborazione con Anna Setola

 

Che differenza c’è tra una fotografia e una fotografia d’autore?

Difficile definire il confine: il modo in cui ci avviciniamo alle cose è cambiato profondamente. I presupposti concettuali possono influenzare notevolmente il risultato finale, poiché è cambiato il modo in cui guardiamo. La ricerca artistica si muove su un terreno ben definito, ma scivoloso. I confini possono essere ridefiniti da un momento all'altro, come accadeva durante la lunga guerra tra Iran e Iraq, dove le linee di demarcazione si comprendevano solo attraverso le immagini satellitari. Questo mi ricorda il memorabile lavoro di Peter Fend, Richard Prince, Jenny Holzer e Peter Nadin.

   

Com’è organizzata la tua giornata?

La mia giornata non è scandita e ritmata come vorrei. Dai momenti più semplici e lineari del quotidiano alle scelte definitive che riguardano la produzione dei lavori, tutto ha importanza. Anche i momenti apparentemente marginali, come il primo caffè del mattino, sono fondamentali. Il mio obiettivo principale è fare ogni cosa con la stessa intensità.

 

Che cos’è per te lo studio d’artista?

Ho sempre avuto un solo spazio dove vivere e lavorare. In realtà, l'area privata è ridotta rispetto a quella più tecnica del lavoro, che però è altrettanto privata fino a quando il lavoro non lascia il cosiddetto studio. Per me, lo studio è uno o più luoghi; non è che un artista lavori solo in un unico spazio. Non ci sono cartellini da vidimare. Il mio studio è un passaggio virtuale, e controllare e selezionare il retro-pensiero tra le due aree è impegnativo, a volte quasi ossessivo. Anche la cucina fa parte dello studio, cerco di riprodurre l’equilibrio e la misura che cerco nei miei lavori. Questa misura porta a essere generativi in tutte le manifestazioni della giornata.

  

     

Quali sono i tuoi riferimenti visivi e teorici?

Gerhard Richter, James Joyce, Charles Sheeler, Paul Strand, Jan Vermeer, Art Sinsabaugh, Carel Fabritius, Robert Bresson e molti altri.

 

In relazione alla tua pratica fotografica, che cosa rappresenta per te l’urbano?

Sono nato in una città e ho sempre vissuto nelle città, per me le architetture e le trame e percorsi sono parte del mio modo di essere. Non riesco a isolare l’Urbano come categoria distinta, quando guardo la Natura penso a disegni dell’Architettura, quando lavoro su una Città la vedo principalmente attraverso le connessioni, le marginalità, le cerniere e le trame.

  

A che cosa stai lavorando?

Sto lavorando sull'immagine delle città europee, sulle Cronache Urbane e sulle diverse interpretazioni della Natura, che sono per me capitoli importanti e che intendo continuare. A questi si aggiungono ricerche ed esperimenti di immagine, ma i miei soggetti principali rimangono invariati. Inoltre, sto preparando una nuova mostra a Milano.

  

Con quale concetto di tempo approcci la fotografia?

Si tratta di intuire, modellare o cancellare significati che si acquisiscono nel processo di lavoro attraverso le inquadrature. Per me, si creano fasi distinte: sottrattiva o additiva. Nella seconda fase, ci sono movimenti imprevedibili, in cui l'accelerazione e l'accumulo di elementi visivi possono portare a un sostanziale rallentamento del tempo, fino a creare una latenza di significati che si svelano solo in seguito. “Correggi il reale aggiungendo più reale”, diceva Robert Bresson.

 

Qual è la funzione dell’arte oggi?

L'arte è essenzialmente politica e generativa: suggerisce percorsi, crea relazioni, sovverte e modifica codici e valori. La frase di Ernesto Che Guevara “La palabra enseña, el ejemplo guía” è particolarmente calzante. Un artista può e deve tacere quando è il caso; non siamo obbligati a essere presenti con un continuo stillicidio di fastidiose e diarroiche pratiche comunicative… Perché ciò che conta davvero è che si può sempre rientrare in gioco con un nuovo lavoro. Quello che David Jocelit affermava nel 2013 si sta rivelando con grande precisione oggi: “Gli artisti hanno iniziato a pensare a un'estetica della ricerca, a quella che nel mio Dopo l'arte definisco epistemologia della ricerca, che è diventata una forma di conoscenza. Questo è ormai evidente, e volevo riflettere – con metodo critico – su cosa significhi questa nuova estetica e su tutti questi artisti che ricontestualizzano, riformattano, archiviano o aggregano immagini e oggetti esistenti”.

 

In che modo hai iniziato a fare l’artista?

Forse quando ho realizzato che i lavori che facevo mi aiutavano a stare meglio, come una medicina che poteva essere condivisa anche con altri. Poi, dal punto di vista tecnico, molto si impara col tempo, regolando i comportamenti di lavoro con l'intrigo di obblighi e codici non scritti che però devi conoscere. Quando ti rendi conto che la tua personale operazione di “riduzione” della realtà ti porta sempre a scivolare sullo stesso piano, e questo piano ha un bordo duro, capisci di essere su un percorso significativo. Quello che mi ha aiutato di più è stato conoscere le storie di vita degli artisti che amavo.

  

Le opere

  

1 - #09 Napoli 2006 - Stampa a colori 180x300

  

Niente di troppo, niente che manchi.

 

#1522 Torino 2002/2006 - Stampa a colori 120x170

 

  

Le panoramiche visibili non corrispondono ai movimenti dell’occhio. Vuol dire separare l’occhio dal corpo. (Non servirsi della macchina come una scopa).

   

10269 Ramallah 2007 - Stampa a colori 180x225

  

Un soggetto limitato può dare pretesto a combinazioni molteplici e profonde. Evita i soggetti troppo vasti o troppo lontani dove niente ti avverte quando vai fuori strada. Oppure prendine soltanto quel che potrebbe far parte della tua vita e che appartiene alla tua esperienza.

 

#5 Milano Duomo 2013 - Stampa a colori 55x70

Ripresa. Angoscia di non lasciar sfuggire nulla di quel che intravedo appena, di quel che forse ancora non vedo e potrò vedere soltanto più tardi.

 

San Siro 1989/90 – Contatto 20x25

 

  

Dell’illuminazione. Cose rese più visibili non da più luce, ma dall’angolazione nuova in cui le guardo.

 

Installazione San Siro mostra Città Oblique Triennale 2023

 

  

Non si crea aggiungendo ma levando. Sviluppare è un’altra cosa. (Non sciorinare.)

 

#01 Atene 2001 - Stampa a colori 91x115

   

  

Il reale non è drammatico. Il dramma nascerà da una certa progressione di elementi non drammatici.

 

#07 Madrid 2006 - Stampa a colori 76x95

  

È indispensabile se non vogliamo cadere nella rappresentazione, vedere esseri e cose nelle loro parti separabili. Isolare queste parti. Renderle indipendenti così da porle in una nuova dipendenza.

 

Installazione mostra Trama Senza Fissa Dimora 2018

  

  

Immagine. Riflesso e riflettore, accumulatore e conduttore.

Né bella fotografia, né belle immagini, ma immagini, fotografia necessarie.

 

Installazione “Finland” video a due canali 2018

  

    

In questa lingua delle immagini, bisogna perdere completamente la nozione di immagine, che le immagini escludano l’idea di immagine.

 

Robert Bresson, Notes sur le cinématographe, Paris, Gallimard, 1975