fauna d'arte
Rachele Maistrello e la fotografia che trasforma i margini in luoghi del sogno
L’arte non conosce compromessi né vertigini, svela verità inimmaginabili. Dai cortocircuiti visivi ai progetti futuri, la riflessione su traumi, paesaggi e trasformazioni
Nome: Rachele Maistrello
Luogo e data di nascita: Vittorio Veneto, 1986
Galleria di riferimento e contatti social: Artopia, Milano
Instagram: @rachelemai
L'intervista
Intervista realizzata in collaborazione con Anna Setola
Quali sono i tuoi riferimenti visivi e teorici?
Mi piace pensare piuttosto a dei momenti tra me e qualcosa che ha creato un cortocircuito. I riferimenti cambiano sempre, mentre gli incontri si legano a un momento preciso della vita, sedimentano una frattura.
Un esempio: ho diciannove anni, Guido Guidi ci fa prendere l’autobus per andare in mezzo al nulla, camminiamo in queste superstrade grigie per fotografare con estrema dovizia marciapiedi, muretti anonimi.
Siamo una ventina di ragazzi appena usciti dal liceo, ci sembra tutto davvero insolito, sappiamo però anche che non lo è, io sento che c’è qualcosa di commovente in ciò che stiamo facendo e a cui, all’epoca, non so dare un nome.
Adesso so che compone l’artista che sono oggi. Riguarda la fotografia e la sua capacità di trasformare i margini, elevare l’evidenza senza decori.
Credo che abbia a che fare anche con il bisogno di esprimere il paesaggio in cui sono cresciuta, la provincia veneta, un luogo tagliente, malinconico, che incide profondamente l’inconscio.
Negli anni altri incontri sono stati il film El Sur, il Decalogo, frequentare lo studio di Annette Messager, artisti che prima di tutto sono persone che mi hanno fatta crescere: Giorgio Agamben, Adrian Paci, Stefano Graziani, Armin Linke, Beat Streuli, Joan Jonas, i miei amici che sono artisti e anche quelli che non sanno di esserlo; come Nicola che, a Pennabilli, coltiva il suo orto dove ogni cosa, mentre vive e mentre muore, rigenera sempre qualcos’altro. Ancora, il santuario dei pensieri di Tonino Guerra, i buchi bianchi, la fisica quantistica, “Lettera a una professoressa” della scuola di Barbiana, Natalia Ginzburg, le notti di Pechino vissute in solitudine fino all’alba, i saggi sulla fantasia italiana di Celati. Le notizie di terz’ordine sui quotidiani.
Nel tuo lavoro esplori spesso il confine tra realtà e finzione. Come pensi che la fotografia possa contribuire a ridefinire ciò che consideriamo "vero" o "falso"?
Nel 2020 ho iniziato un ciclo di lavori. Raccontano di Gao Yue, la migliore ginnasta della scuola nazionale di arte acrobatica di Pechino, che verso la fine degli anni Novanta viene assunta da una fabbrica, la Green Diamond di Jinghai Road.
Le sue doti fisiche le permettono di testare con grande abilità dei prototipi di microchip realizzati in segreto dall’azienda. Capaci di indurre delle sensazione fisiche legate al mondo naturale, come sentire il calore dell’aria estiva nella pelle, o il vento tra i capelli, questi sensori riescono a indurre esperienze sempre più forti sensorialmente, tanto da indurre Gao Yue a isolarsi sempre di più, in un mondo artificiale sempre più totalizzante.
Tra la fine del 1995 e il 1998 Gao intrattiene una storia d’amore con un operaio della sua azienda, Li Jian Ping, che nel 1999, come regalo d’anniversario, le dona un cofanetto contenente le conversazioni e le immagini legate alla loro relazione, ma anche scontrini e documenti di lavoro che attestano tanto la loro immatricolazione quanto l’antefatto del loro amore. Questa raccolta fisica di documenti, di fotografie analogiche, così come le tabelle e gli scontrini, sono adesso conservate in collezione presso il museo Maxxi di Roma. Dunque dovrebbero essere delle opere d’arte, ma sono anche dei reperti. Ci si chiede dunque se Green Diamond sia esistita davvero o se sia il prodotto di una congettura.
Green Diamond, così come Blue e Black Diamond, non sono dei film, non sono archivi storici, né racconti. Fuggono da definizioni e si specchiano in un presente che vivo tutti i giorni, fatto di informazioni vere o presunte, ping-pong di dati letti di fretta, teorie vere che sembrano fantascienza e teorie complottiste che sembrano invece assolutamente reali.
Lo spettatore è dunque chiamato a farsi delle domande, a chiedersi perché alcune cose sembrano credibili e altre invece no. È chiamato a chiedersi perché qualcosa ci sembra più desiderabile e possibile rispetto a qualcos’altro e a porsi anche delle domande sul suo rapporto con l’altro, inteso come diverso e lontano.
La fotografia diventa vulnerabile e mostra la sua stessa contraddittorietà.
Inoltre sia in Green Diamond che in Blue Diamond, i primi capitoli del ciclo di lavori, i veri protagonisti delle immagini sono i luoghi di lavoro di Gao Yue: uffici, sale d’attesa, scrivanie, pavimenti con cavi di computer e strumenti tecnologici di tutti i giorni.
Questi luoghi si animano grazie alla presenza di immagini cartonate, ovvero sagome di immagini che prendo dal web, stampo a grandi dimensioni e inserisco nello spazio.
Si creano così dei cortocircuiti: questi luoghi anonimi si rivelano essere luoghi del sogno, del fantastico, senza perdere la loro natura.
Che cos’è per te lo studio d’artista?
Il mio studio è un rifugio domestico che accoglie tutto ciò che mi appartiene e mi è appartenuto come artista. L’archivio dei miei negativi, la camera oscura, i faldoni dei miei progetti, i miei strumenti. È dove mi perdo, mi ritrovo e dove i miei fallimenti e le mie utopie si tengono la mano. È lo spazio in cui guardo indietro fino a dimenticarmi chi sono, conquisto il presente e dove le opere acquistano fisicità.
Poi c’è un altro tipo di studio: luoghi che scelgo di “abitare”. Sono molto diversi, possono essere una fabbrica di componenti nucleari a Pechino, un ospedale nascosto nel nulla, un laboratorio di biologia marina, uno scavo in Australia a 400 metri sotto terra. Questi luoghi li frequento senza essere una giornalista, né una paziente, né una ricercatrice, sono una presenza trasversale, una figura anarchica che li vive senza un fine. Posso frequentare un luogo per un anno e non scattare neanche una fotografia, ma trarne dei testi, ad esempio. Oppure sono luoghi che possono portarmi altrove, ma per farlo devono rapirmi per un po’ di tempo.
Sono spesso perimetri che provocano in me un turbamento e che so che mi cambieranno nel profondo.
Qual è stata la sfida più grande nel progetto "Stella Maris", che ti ha permesso di trasformare gli immaginari di persone anziane in un'esperienza visiva tangibile?
“Stella Maris” è una casa di cura per anziani non più autosufficienti che si trova in un lembo di terra abbastanza remoto del lido di Venezia, la riserva degli alberoni. Ci sono finita un giorno per caso. Forse ciò che mi ha spinta lì è stato il bisogno di confrontarmi con l’idea di morte e con l’idea che esiste un momento in cui c’è molto di più dentro alla tua testa rispetto a ciò che c’è fuori di te. Queste persone abitano uno spazio vuoto, circondato dall’acqua, fuori dal tempo. Vivono nel passato, il presente è una cassa di risonanza di ciò che è stato. Mi sembrava un luogo sacro, un luogo fortemente spirituale. L’ho frequentato per molto tempo. Alcune di queste persone sono diventate mie amiche. Ho chiesto loro di farmi dei disegni: “Com’era il letto dove dormivi da bambino? Com’era la chiave della casa della tua infanzia?” i disegni affaticati e commossi che mi hanno lasciato sono stati incisi in una scultura di acciaio, come segni cifrati per accedere a un altro mondo.
Nelle nostre camminate nel parco, Nerina, Giulio e Annamaria hanno scelto dei pezzi di corteccia. Queste forme hanno ispirato delle forme di mare cartonato che ho installato nell’acqua e fotografato con una macchina fotografica di grande formato. È stato molto difficile da un punto di vista tecnico e fisico. Volevo forse che lo fosse. Hanno partecipato tutti, e nel farlo, abbiamo creato un ricordo eroico del loro nuovo presente. È stata la loro, e la mia, Stella Maris.
Com’è organizzata la tua giornata?
Le mie giornate sono sempre diverse. Ultimamente iniziano presto. Quando posso cammino molto, mi piace quando la misura del tempo diventa il mio passo, i pensieri sono più liberi.
In che modo hai iniziato a fare l’artista?
Quando ero molto piccola mi sentivo sempre fuori posto, ho sempre saputo però che questo altrove esisteva da qualche parte.
Qual è la funzione dell’arte oggi?
L’arte non vuole ottenere niente, non deve desiderare niente.
Alcune volte riesce a prevedere certe verità inimmaginabili, proprio perché non conosce compromessi, né vertigini.
A che cosa stai lavorando?
Sto preparando la mia mostra personale presso la galleria Artopia di Milano, che inaugurerà il 21 Novembre 2024. Ci saranno opere di Blue Diamond, recentemente esposte in forma di personale presso il museo PAC di Milano e a Ville Perochon di Niort, opere di Green Diamond e opere inedite della serie Black Diamond, tra cui Darklines, un nuovo lavoro video.
In Darklines, grazie a delle registrazioni vocali di una collega di Gao Yue, si scopre un protocollo segreto di Green Diamond che prevedeva uno studio sui traumi intergenerazionali.
Il lavoro fa parte di una ricerca più ampia sul trauma e su come esso si ripercuota non solo a livello comportamentale e famigliare, bensì crei una ferita a livello biologico.
In seguito, nel 2025, grazie alla vincita della borsa di ricerca Italian Council, partirò per una residenza di ricerca presso il Narrative and Cognition Lab dell’università di Durham; sarò poi in Svezia per presentare il mio lavoro grazie a SWIT Residency Platform; in seguito nel 2025 presenterò la continuazione di Black Diamond presso Fondazione Bevilacqua La Masa, lo spazio Self Publish Be Happy e realizzerò una pubblicazione con Tria Publishing House che verrà presentata presso la House of Books di Zurigo.
In che modo la tua pratica artistica cerca di svelare connessioni nascoste o dimenticate tra l'individuo e l'ambiente circostante?
In Blue Diamond racconto una nuova fase della storia di Gao Yue, che questa volta viene assunta come ricercatrice. Green Diamond ha aperto una nuova sede di ricerca che indaga nuove forme di comunicazione tra mondi diversi, nuovi modelli per passare da un linguaggio all’altro. I cetacei e gli animali del mondo acquatico sono le specie perfette per sperimentare queste nuove indagini.
Gao Yue, grazie alle sue doti fisiche, viene chiamata per praticare l’apnea e l’indagine degli abissi. Cerca altri codici per comprendere il mondo attorno sé. Scopre che le forme che si formano dal suono, quando le onde sonore spostano la sabbia, sono identiche a certe impronte lasciate da alcuni pesci delle profondità oceaniche. Scopre che attraverso l’apnea il corpo si modifica e che l’assenza di pensiero è una forma di vitalità e trascendenza. I delfini rispondono a dei suoni per lei non udibili, ma riescono a conversare attraverso delle forme astratte che lei immerge in mare.
Tutto questo lo si può scoprire da un video e da un archivio di stampe ai sali d’argento e documenti.
Il lavoro indaga la dimensione acquea e si interroga su cosa esiste nel nulla, cosa avviene nella totale assenza di sensorialità. Cerca di rendere visibile una rete di connessioni di ciò che vediamo: forme geometriche ricorrenti, altri tempi e altri spazi. Ci chiede: come sarebbe il mondo se avessimo sensi completamente nuovi per esperirlo?
Le opere
Rachele Maistrello, Green Diamond. installation view presso Museo Maxxi, 2021. Fotografia di Luis Do Rosario, courtesy Museo Maxxi e l’artista.
Rachele Maistrello, Green Diamond, stampa a pigmento su carta Canson satin, 2021. Collezione Maxxi, courtesy Rachele Maistrello.
Rachele Maistrello, Gao Yue, stampa a pigmento su carta Canson satin, 2021. Collezione Maxxi, courtesy Rachele Maistrello.
Rachele Maistrello, Blue Diamond, installation view presso Museo Maxxi, 2022. Fotografia di Luis Do Rosario, courtesy Museo Maxxi e l'artista.
Rachele Maistrello, Gao Yue, libro d'artista, installation view presso museo PAC, 2023. Courtesy Rachele Maistrello e museo PAC.
Rachele Maistrello, Green Diamond e Gao Yue, stampe fotografiche su carta Canson satin, 2019. Courtesy Rachele Maistrello.
Rachele Maistrello, Stella Maris, 2017. Courtesy Rachele Maistrello e collezione Fondazione Bevilacqua La Masa.
Rachele Maistrello, The Hidden Shapes, installazione video, 2021. Courtesy l'artista e collezione Bresciani Corte.
Rachele Maistrello, Laboratorio #2, provino a contatto su carta Fuji Crystal Archive, datazione incerta. Courtesy Rachele Maistrello.
Rachele Maistrello, BlueDiamond, installation view presso Museo Maxxi, 2022. Courtesy Museo Maxxi e l'artista.