
fauna d'arte
Arte libera tutti. Il dolce naufragar di Adelaide Cioni
"Ho cominciato a fare l’artista per la felicità di farlo, o per paura dell’infelicità di non farlo". Dalla disciplina della traduzione alla gioia della creazione. E il mare come metafora del fallimento eroico, comico e poetico. "Le mie opere sono strumenti di liberazione e il gioco ne è un elemento fondamentale"
Nome: Adelaide Cioni
Luogo e anno di nascita: Bologna 1976
Galleria di riferimento e contatti social:
P420, Bologna e The Approach, Londra
L'intervista
Intervista realizzata in collaborazione con Anna Setola
Qual è la funzione dell’arte oggi?
L’arte è un libera tutti. Questa è la sua funzione. Cioè libera l’anima, che è il primo passo per liberare il resto.
Che cos’è per te lo studio d’artista?
Lo studio è il primo luogo in cui le cose passano attraverso di me e prendono forma nel mondo. È anche uno spazio che determina l’opera. La forma e le caratteristiche fisiche dello studio avranno un’influenza sulle opere e sul pensiero. Mi accorgo col tempo che voglio sempre di più che lo studio coincida con la casa. Sicuramente per pigrizia, ma forse anche perché è il posto dove sono più felice.
In che modo l’esperienza professionale da traduttrice letteraria ha influenzato la tua pratica artistica?
In molti modi. Il primo è la disciplina, il sapere che un pezzo per volta si arriva a fare cose enormi. Che l’importante è la costanza, reggere, stare lì, andare avanti. Ultimamente mi sono accorta che faccio cose che richiedono tempi lunghissimi di lavorazione, con gesti ripetitivi da matti. Mi ritrovo a pensare a quelle fiabe in cui la protagonista deve contare una montagna di chicchi di riso o di pagliuzze. La traduzione mi ha insegnato a stare lì, ad affrontare il lavoro e a sapere che solo alla fine vedrò davvero che cosa ho fatto per ore e ore. Mi ha insegnato anche ad accettare l’approssimazione, e a vederla come un valore, in quanto condizione umana, ma questo è un discorso un po’ più complicato, lo facciamo un’altra volta.
A che cosa stai lavorando?
A una grande mostra che si terrà vicino Parigi, in una stalla del Seicento che sembra una cattedrale. Sono tutti lavori nuovi e ci saranno anche delle sedute, delle panche. Sarà per pigrizia, anche qui, ma io quando vado alle mostre vorrei sempre mettermi a sedere, però raramente te lo lasciano fare. Allora ho pensato che per questa mostra me le faccio io le sedute. Così che io per prima e poi anche tutta la gente che verrà si possa fermare un attimo più a lungo, se vuole, a guardare i lavori, a stare nello spazio.
Quali sono i tuoi riferimenti visivi e teorici?
Ce ne sono a decine, per dirne qualcuno: Don Chisciotte, Aby Warburg, gli scritti e i disegni di Gastone Novelli, Pino Pascali, la libertà e la forza di Georgia O’Keeffe, gli scritti e le opere di Philip Guston, l’architettura giapponese, gli animali e le piante.
In che modo hai iniziato a fare l’artista?
Ho iniziato che volevo farlo da sempre, ho avuto la chiarezza assoluta due volte, a sedici anni e a ventidue, quando vivevo negli Stati Uniti, poi tornavo a Bologna e rientravo nel solco delle cose. Poi a un certo punto mentre traducevo letteratura americana già da anni ho avuto una crisi di vita e ho deciso che me lo dovevo, di provare a diventare artista. Allora mi sono iscritta in accademia, perché non sapevo in che altro modo si potesse fare. Avevo 32 anni quando mi sono iscritta, e l’ho fatto così, mezzo scherzando, intanto traducevo, finché un bel giorno mi sono accorta che l’arte mi aveva tirata troppo dentro, che non potevo più tornare indietro ed essere felice. Così ho cominciato a fare l’artista, per la felicità di farlo, o per paura dell’infelicità di non farlo.
Le tue opere evocano spesso l'infanzia e una visione ludica del mondo. Che cosa significano per te?
Le opere non significano niente. Le opere sono degli esseri, dei corpi/spazio che instaurano delle relazioni con chi le guarda, che agiscono su di noi e con noi. Sono delle porte tramite le quali accediamo ad altre dimensioni, sia reali che mentali, emotive, mnemoniche. Allargano il mondo e le possibilità. In queste dimensioni incontriamo anche altre persone, a volte parti di noi stessi. Sono soprattutto strumenti di liberazione. Il gioco è un elemento fondamentale di tutto questo, è l’unica dimensione in cui vorrei stare. Il gioco è la capacità di portare le cose a un livello di leggerezza che le rende affrontabili.
Cosa ti affascina del mare e cosa ti permette di esprimere nei tuoi lavori?
Il mare mi sconcerta, è terrificante nella sua infinitezza, è inarrivabile. Per questo mi piace lavorarci, perché so in partenza che fallirò. Non ho dubbi. Non potrò mai fare un lavoro che veramente rispecchia il mare. Quindi lavorarci è anche un gesto ironico. Quando intitoli un’opera “Il mare” come faceva Pascali, e cerchi di rifare il mare, alla lettera, c’è dentro un atteggiamento donchisciottesco, un andare ciechi verso una meta inarrivabile, fermamente votati al fallimento. È un tentativo inutilmente eroico, e perciò anche comico e poetico. Stai giocando, stai facendo del teatro. Il teatro è quella cosa dove giochi a ricreare il mondo. E quindi dentro c’è una totale libertà. Lavorare sul mare mi piace perché è come mettere sul tavolo tutti i propri limiti, e giocarci, e offrirli a tutti senza vergogna.
Com’è organizzata la tua giornata?
Io vorrei, tantissimo, poter rispondere a questa domanda con una risposta netta, semplice, organizzata. Cioè, io credo nelle abitudini, invidio gli abitudinari veri, credo abbiano accesso a una serenità che a me non è data. Ecco io riesco ad avere delle abitudini quando sono sotto stress. Lì in qualche modo me le impongo, mi do dei punti fermi. La colazione. Una passeggiata quando sento che sto per fondere. Il mio gatto Cosimo mi sta insegnando l’importanza di prendermi un attimo sul divano a godere di tutto, della luce, del caldo, dei rumori. Vado a letto presto, questo sì, o almeno ci provo. Faccio una vita abbastanza noiosa a pensarci, ma non me ne accorgo mica mentre ci sono dentro.
Le opere
A. Cioni, Four orange ones, 2025, lana cucita su tela-wool stitched on canvas, cm.167x167, ph.C.Favero.
A. Cioni, Piccolo mare, 2023, acrilici e inchiostro di china su tavola-acrylic and Indian ink on wood, cm.18x24 ph. C. Favero.
A. Cioni, Song for the Sea, 2023, china e colori vinilici su carta-Indian ink and vinyl paint on paper, cm.42x59,5 ph. C. Favero.
A. Cioni, Stella nera, 2025, lana cucita su tela-wool stitched on canvas, cm.167x167 (ph. C. Favero).
Adelaide Cioni - Five Geometric Songs_Ph Team99.
Adelaide Cioni, Drawings for Myself, 2024, installation view, courtesy the artist and P420, Bologna, ph. Carlo Favero.
Adelaide Cioni, Song for the fire, 2023, acrylic on handwoven linen, courtesy P420, Bologna and The Approach, London.
Adelaide Cioni, You Are My True Form IV, 2024, gesso and acrylics on canvas, courtesy the artist and The Approach, London, ph. Michal Brzezinski.
Adelaide Cioni, Rhythm in space, 2023, courtesy the artist and Mimosa House, London, ph. Lewis Ronald, courtesy P420 Bologna nd The Approach, London.
Adelaide Cioni, Song for a Square, a Circle, a Triangle, Mimosa House, London, 2023, ph. Tim Smyth, courtesy P420 Bologna and The Approach, London.