Il Foglio Innovazione
Le crisi dell'umanità sono una rinascita tecnologica
Le epidemie, le guerre, i grandi disastri: da sempre gli uomini tirano fuori le innovazioni migliori dai momenti di peggiore difficoltà, e pongono le basi per ricominciare più forti di prima. Storie da cui prendere spunto
Nel quartiere di Soho, a Londra, al centro di un marciapiede bianco, la riproduzione di un’antica pompa per la distribuzione dell’acqua marca un luogo storico. Il monumento è intitolato a John Snow, uno che non ha nulla a che fare con il Jon di Grande Inverno, “Il Trono di Spade” e le serie tv. Quando nel 1854 a Londra scoppiò un’epidemia di colera, il medico Snow si rese conto di come la malattia colpisse l’intestino: i sintomi, dedusse, erano legati a quanto ingerito dai pazienti. Appassionato di dati, una mappa della città alla mano, si accorse che i malati avevano in comune la stessa fonte di approvvigionamento dell’acqua: la pompa di Broad Street, oggi Broadwick Street. La scoperta di Snow portò alla temporanea chiusura di quella fontana e all’indebolimento dell’epidemia.
Come la maggior parte delle capitali europee, Londra era allora una città dove l’immondizia si accumulava per strada, non esisteva un sistema di drenaggio delle acque nere come quelli che conosciamo oggi. Le osservazioni rivoluzionarie del medico, però, innescarono trasformazioni legate al trattamento dei rifiuti, alla distribuzione dell’acqua e alla costruzione, negli anni immediatamente successivi, di moderne fognature per la metropoli. E fu nello stesso periodo che, in una Parigi sovrappopolata, sporca e reduce da epidemie di tifo e colera, Napoleone III affidò al barone Georges-Eugène Haussmann un visionario piano urbanistico che aveva come obiettivo, tra gli altri, quello di rendere più salubre la città. L’intuizione di John Snow racconta come crisi, tragedie o pandemie che hanno colpito l’umanità, portando morte e distruzione, abbiano innescato anche, per spirito di adattamento o semplice caso, innovazioni tecnologiche, sociali, culturali capaci di trasformare il corso della storia.
Dallo smart-working all’apprendimento online, dalle riflessioni su una mobilità adattata ai tempi e una trasformazione dello spazio pubblico, anche questi giorni di coronavirus sembrano aver già messo le basi per un ripensamento scientifico, medico, sociale, economico del mondo come lo abbiamo conosciuto finora. “Dovrebbe aprirsi una stagione di innovazioni, perché in tutta evidenza il modello che stiamo seguendo da qualche decennio non funziona – dice al Foglio Innovazione Bernardino Fantini, professore emerito di Storia della medicina e della salute all’Università di Ginevra – Ci sarà per esempio da ripensare tutto il sistema sanitario”. E’ quanto accadde anche negli anni Trenta del XIV secolo, quando l’Europa fu colpita da un’epidemia che uccise un terzo della sua popolazione. Allora non si poteva certo parlare di sistema sanitario, ma la peste nera, spiega Fantini, “ha introdotto, per merito delle città italiane, le quarantene, i lazzaretti, i cordoni sanitari”. Ragusa, in Dalmazia, oggi Dubrovnik, isolò per prima i malati fuori dalle mura. Venezia costruì un lazzaretto e introdusse nella lingua, nel suo dialetto, il termine quarantena. “Erano tempi in cui morì tra il 30 e 60 per cento della manodopera – dice ancora Fantini – Si era all’origine della manifattura moderna e le città prendevano operai dalle campagne. Questo processo diede il colpo finale alla servitù della gleba, accelerando il crollo del feudalesimo e mettendo le basi per il Rinascimento: proprio la parola che si usa in questi giorni, che è sviluppo, età moderna”.
In un mondo in cui a causa della morte il lavoro manuale era sempre più prezioso, prezioso divenne anche il tempo. E “la prima nuova tecnologia degli anni della peste furono meccanismi per il conteggio del tempo e clessidre”, ha spiegato nel suo un programma radiofonico John H. Lienhard, professore emerito di Ingegneria meccanica e storia all’Università di Houston.
Ci auguriamo oggi che la scienza metta fine al nostro isolamento attraverso il deus ex machina del vaccino, tra le scoperte mediche più innovative del XVIII secolo. Il vaiolo era allora la più diffusa e fatale malattia endemica: causava ogni anno 400mila morti in Europa. Fino a quando il medico scozzese Edward Jenner notò come le mungitrici infettate con il vaiolo bovino, una forma più leggera della malattia umana, non si ammalassero di vaiolo. Da questa constatazione, Jenner, considerato il padre dell’immunologia, arrivò nel 1796 alla creazione del primo vaccino, termine che deriva proprio dal nome della malattia bovina, variolae vaccinae.
“Crisi – dal verbo greco valutare, riflettere – porta nel suo etimo il concetto di opportunità. I periodi di crisi hanno sempre introdotto innovazioni, sottoponendo agli studiosi una richiesta di impegno massima”, dice Dario De Santis, storico della scienza presso l’Università degli studi di Udine, che ci accompagna attraverso le scoperte mediche nate da emergenze, tragedie, guerre e malattie. Come quando a metà del XIX secolo erano centinaia le donne che a Vienna morivano di febbre puerperale. Il medico ungherese Ignác Semmelweis, che lavorava presso una delle prime cliniche ostetriche, si rese conto di come i dottori che visitavano le partorienti fossero gli stessi che poco prima avevano effettuato autopsie. Impose ai colleghi una regola semplice, che ricorda questi tempi di coronavirus: il lavaggio delle mani con un disinfettante. Il numero delle morti diminuì, eppure il medico fu allontanato dalla clinica per le sue idee considerate allora bizzarre. Morì inascoltato in un manicomio, dopo aver perso il senno. Pochi anni dopo, un suo collega scozzese, il quacchero Joseph Lister, divenne il massimo assertore dell’utilizzo del fenolo per disinfettare sale operatorie e le mani del chirurgo. Nasceva così l’antisepsi, quel procedimento che ha come obiettivo la distruzione degli agenti infettivi sulla superficie delle ferite.
Crisi è certamente guerra. I due conflitti mondiali del XX secolo, oltre a tanta morte, distruzione e povertà, hanno portato alcune innovazioni nel campo della medicina militare, ci dice De Santis. Se i raggi X furono inventati nel 1896 dal fisico tedesco Wilhelm Röntgen, fino al primo conflitto mondiale ebbero un utilizzo limitato. Fu Marie Curie, grazie ad ambulanze inviate al fronte con a bordo i primi apparecchi portatili, a diffondere la nuova tecnologia, dimostrando l’utilità medica delle radiografie.
Prima della Grande guerra, fu una tragedia a svolgere un ruolo cruciale nello sviluppo di tecnologie legate agli ultrasuoni che portarono allo sviluppo dei sonar in navigazione e dell’ecografia in medicina. Il 14 aprile 1912, dopo una collisione notturna con un iceberg, colava a picco il transatlantico Titanic. L’americano Lewis Nixon lavorava allora già da tempo ai primi prototipi di apparecchi per rilevare suoni che si propagano nell’acqua, con l’obiettivo di individuare corpi sotto la superficie. Fu però soltanto poche settimane dopo il naufragio che il meteorologo Lewis Richardson depositò il brevetto per il macchinario, sviluppato poi a livello militare durante la guerra da francesi e russi. E fu sempre durante quegli anni di conflitto che padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, fu chiamato dai vertici militari a dirigere il gabinetto per le ricerche psico-fisiologiche sull’aviazione a Udine, vicino al fronte. Appassionato di aerei e studioso di psicologia, il frate iniziò a fare test sull’adattabilità dei piloti al volo, ci spiega De Santis, che a Gemelli ha dedicato una ricerca: La Filosofia del Cannone. Agostino Gemelli e la Grande Guerra: dalle trincee alla psicologia del soldato (Edizioni ETS). “Il protocollo da lui fissato ridusse gli incidenti in volo. E diede indicazioni preziose ai costruttori di aeroplani: il suo laboratorio si rese conto che i comandi dell’aereo dovevano essere più corti, che servivano parabrezza più larghi e chiusi, che anche per i destrimani era meglio pilotare con la mano sinistra, motivo per cui il comandante siede ancora oggi a sinistra e con la sinistra tiene la cloche”. Quanto appreso attraverso quelle ricerche durante l’emergenza bellica è stato poi applicato ai test su autisti di mezzi pubblici, macchinisti, tranvieri, conducenti di autobus. E in seguito trasferito al mondo delle fabbriche, per la costruzione di catene di montaggio.
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