L'irresponsabilità della Germania dopo le elezioni
I politici tedeschi non vogliono fare i conti con le proprie sconfitte elettorali: “Nessuno se ne è assunto la responsabilità”, scrive Alexander Kissler sul mensile tedesco Cicero
Guardate alle elezioni in Germania e scordatevi quello che avete appreso su Max Weber e l’etica della responsabilità. Perché il risultato del voto del 24 settembre è stato “disonorevole” per la Cdu della cancelliera Angela Merkel, per la Csu del suo alleato bavarese Horst Seehofer e per la Spd di Martin Schulz, eppure “nessuno se ne è assunto la responsabilità”, scrive Alexander Kissler sul mensile tedesco Cicero. Il meccanismo delle Volksparteien – partiti non solo di larga maggioranza e trasversali ai ceti ma vere e proprie macchine per la partecipazione alla vita politica, per la selezione della classe dirigente e la socializzazione dei processi decisionali – è andato in frantumi e tuttavia “i pezzi rotti sono stati nascosti sotto al tappeto della normalità, in modo rapido e molto professionale”.
Nella maggior parte dei casi lo schiaffone elettorale sarà analizzato a porte chiuse fra la fine di novembre e Capodanno, osserva l’autore, e tutto sarà fatto al riparo da sguardi indiscreti, nel corso di vertici fra dirigenti. Il messaggio trasversale ai tre partiti usciti scornati dal conteggio delle schede è “pulire la bocca, raddrizzare la corona e andare avanti senza mai guardare indietro”. Kissler è duro con tutti. Ce l’ha con Angela Merkel, “che fa una faccia fra la lesa maestà e la Republikflucht”, la “diserzione della Repubblica” di cui il regime della Ddr accusava i cittadini che abbandonavano il socialismo reale per scappare all’ovest. Di Schulz, responsabile di un disastro di proporzioni storiche, dice che è ancora inebriato dalla tensione elettorale al punto da non aver ancora messo a fuoco l’ampiezza della sconfitta subita. Seehofer, poi, non ha ritenuto necessario imboccare la via del cambiamento, limitandosi a dichiarare dopo lo spoglio di “non vedere alcuna ragione per cambiare strada”.
Quel che è peggio, continua Kissler, è che la latitanza dell’etica della responsabilità non riguarda solo l’ultima tornata elettorale ma sembra essere diventata la regola della politica tedesca. “Spendiamo miliardi per un aeroporto che chiaramente non sarà mai aperto?”, scrive riferendosi al fallimentare progetto del nuovo aeroporto di Berlino la cui inaugurazione era attesa a giugno del 2012, “eppure nessun governatore regionale, ministro, sindaco o membro di un cda si è mai assunto l’onere di questo fallimento”. Lo stesso dicasi per la strage jihadista del 19 dicembre al mercatino di Natale di Breitscheidplatz a Berlino con fuga in Italia dello stragista. “Quasi nessuno è disposto a farsi carico di questa responsabilità”. Il politico come si deve, conclude Kissler citando Habermas, sa di dover rispondere a tre istanze: quella di chi è venuto prima di lui, quella dei suoi contemporanei e quella delle generazioni future. Se i politici avessero questa consapevolezza, nessuno si laverebbe le mani dopo una débâcle elettorale, un disastro ingegneristico o un fallimento investigativo. “Se invece nessuno è mai responsabile, allora nulla ha mai importanza”.
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