I puritani che purgano l'arte
Il paternalismo culturale è grottesco e pericoloso, scrive Spiked
La Manchester Art Gallery, con la sua rinomata collezione d’arte vittoriana, è diventata la traditrice della causa dell’arte la scorsa settimana. Ha rimosso dall’esibizione un’opera preraffaellita – “Hylas e le Ninfe” di John William Waterhouse – perché mostra delle ragazze nude che seducono un ragazzo nudo. Nell’attuale clima dell’isteria di #MeToo, sembra che avere un tale dipinto equivalga, per l’opinione pubblica, a sostenere l’abuso”. Così il magazine libertario Spiked, che parte dal caso del celebre dipinto temporaneamente rimosso dalla grande collezione artistica di Manchester al fine di “favorire la discussione” dopo le denunce di #MeToo. Ira pure sui social. “Avete appena comunicato a milioni di donne che devono vergognarsi del proprio corpo. Cosa vi fumate? Non meritate Waterhouse. Burqa per tutti. I totalitarismi e l’arte non vanno d’accordo. Il politicamente corretto è solo un’altra forma di fascismo”. “Il pubblico ha espresso la sua indignazione per questo atto di censura senza mezzi termini e così la galleria, per salvare la faccia, ha rapidamente fatto marcia indietro e rimesso in mostra il dipinto. Ma questo incidente non è semplicemente una questione di cattivo giudizio da parte dei curatori. Dopotutto, questo non era un esempio isolato di censura nelle arti. Gli attivisti femministi e antirazzisti stanno sempre più prendendo di mira le arti per favorire le loro cause, e le istituzioni artistiche stanno capitolando alle loro richieste – o, peggio ancora, per prevenirle si impegnano nella autocensura. Negli Stati Uniti, diverse gallerie sono state prese di mira. Quello che sarebbe stato impensabile solo pochi anni fa è ora visto come un modo giustificabile per aprire il dibattito, facendoci ripensare a ciò che le gallerie dovrebbero mostrare. Non è male rivalutare le opere d’arte. I gusti e le idee cambiano. Ma il dibattito aperto dalle istituzioni artistiche che vogliono ‘discutere’ è profondamente ostile all’arte. Questo perché le questioni coinvolte non sono artistiche: sono sociopolitiche. Questo dimostra disprezzo non solo per l’arte ma per il pubblico. I curatori non si fidano di noi per guardare all’arte. Ma l’arte non ha alcuna responsabilità nei confronti della società. L’unico dovere di un artista è quello di cercare di fare l’arte migliore che lui o lei possa fare. E la responsabilità principale di un curatore è quella di prendersi cura dell’arte. Le sezioni del mondo dell’arte sembrano dimenticare questo importante compito. Invece, gli artisti vogliono produrre una critica sociale e i curatori contemporanei vogliono plasmare le nostre risposte all’arte. I curatori e gli artisti che pensano di poter controllare gli atteggiamenti pubblici dovrebbero stare attenti: rischiano di alienarsi un pubblico che chiaramente si preoccupa più dell’arte che di loro”.
Il Foglio internazionale