Un foglio internazionale
Kissinger teme l'intelligenza artificiale e un'Europa nelle braccia della Cina
Profondo e indecifrabile, a 95 anni l’oracolo della geopolitica è ancora molto attivo, gira il mondo e scrive libri (con lodi alla Thatcher)
Non è stato difficile convincere Henry Kissinger a incontrarmi per pranzo”, ha scritto Edward Luce sul Financial Times. “Nonostante abbia 95 anni e si muova molto lentamente, il gran consigliere della diplomazia americana interloquisce volentieri. Salta su e giù da aerei per incontrare gente di rango di tutto il mondo, come il presidente russo Vladimir Putin o quello cinese cinese Xi Jinping, con lo stesso zelo di quando giocava a scacchi sulla scena globale in quanto maestro diplomatico di Richard Nixon. Ama essere immerso negli avvenimenti. Convincerlo a dire quel che pensa davvero, però, è un’altra questione. Kissinger sta alla chiarezza geopolitica come Alan Greenspan stava alla comunicazione monetaria: un oracolo la cui profondità di pensiero va di pari passo con la sua indecifrabilità”.
La missione che si è dato Edward Luce è “spingerlo fuori dalla sua comfort zone. Voglio sapere cosa pensa davvero di Donald Trump. Il tempismo è perfetto. Stiamo pranzando il giorno dopo che Trump e Putin si sono incontrati a Helsinki: un summit che l’establishment della politica estera di Washington crede passerà alla storia come un punto basso della diplomazia americana. Trump ha fatto l’impensabile, appoggiando le proteste di innocenza di Putin per quanto riguarda il sabotaggio elettorale tramite il mondo delle agenzie d’intelligence americane. Più tardi, quello stesso giorno, Trump tenterà senza troppo successo di correggere quanto detto a Helsinki, insistendo che intendeva dire ‘wouldn’t’ anziché ‘would’. Ma è troppo tardi. Il New York Daily News ha il seguente titolo, in prima: ‘Alto tradimento’ di fianco a una vignetta di Trump che spara alla tempia dello zio Sam mentre tiene Putin per mano. Non potrebbe esserci momento migliore per spronare Kissinger a dare il suo responso delfico.
Arrivo con un minuto o due d’anticipo. Kissinger è già seduto. Sembra molto piccolo, all’angolo di un tavolo in una sala semideserta. Accanto al muro c’è un grosso cane da passeggio (Kissinger si è rotto un legamento qualche anno fa). ‘Perdonami se non mi alzo’ dice Kissinger, nel suo roco accento tedesco. Siamo al Jubilee, un accogliente ristorante francese dietro l’angolo dall’appartamento di Kissinger, a Midtown Manhattan. Siamo anche a un paio di isolati dalla Kissinger Associates, la società di consulenza di geopolitica che fa pagare parcelle salate ai suoi clienti per dir loro quello che, credo, sono i suoi pensieri senza verniciature di sorta. Quest’anno Kissinger ha scritto un pezzo spaventosissimo sull’intelligenza artificiale per l’Atlantic Monthly, in cui paragona l’umanità di oggi agli Incas prima dell’arrivo della scarlattina e degli spagnoli. Ha insistito perché fosse istituita una commissione presidenziale sull’intelligenza artificiale. ‘Se non cominciamo presto, scopriremo che abbiamo cominciato troppo tardi’, conclude. Quest’estate Kissinger sta lavorando da casa a un libro dedicato a grandi statisti e statiste (c’è un capitolo dedicato a Margaret Thatcher). Ha appena finito il capitolo su Nixon, il presidente che ha servito – in maniera unica – sia come segretario di stato sia come consigliere per la sicurezza nazionale. E’ lungo 25 mila parole e Kissinger sta pensando di pubblicarlo separatamente sotto forma di libro breve. Teme che avrà delle conseguenze. ‘Potrebbe far uscire di nuovo tutti i contestatori dalle loro buche di volpe’, ha detto. Intende che potrebbe portare a paragoni tra il Watergate e l’indagine sul rapporto tra Trump e la Russia? ‘E’ quel che temo’, la sua risposta.
Prima che riesca a incalzarlo, Kissinger passa alla Thatcher. ‘E’ stata una partner magnifica’, dice, ‘Io credo nella special relationship perché credo che all’America serva un equilibrio psicologico e che questo ne sia un esempio naturale, fondato sulla storia, non solo sui contributi’. Non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che Kissinger stia provando a dirmi qualcosa che non riesco a interpretare. Come un arciere cieco, provo una serie di tiri diversi. Che cosa ne sarebbe della Germania se Trump tirasse l’America fuori dalla Nato? A Kissinger piace la domanda, ma rifiuta di quantificare le probabilità che questo accada. ‘Negli anni Quaranta i leader europei avevano un senso chiaro di direzione’ dice. ‘In questo momento, invece, vogliono soltanto evitare i problemi’. Non stanno facendo un gran lavoro, lo interrompo, ‘E’ vero’, dice Kissinger con un sorriso criptico. Di recente un eminente tedesco mi ha detto di aver sempre cercato di tradurre la tensione con l’America in modo da allontanarsene, ma ora si ritrova a temere un mondo senza di essa’. Quindi Trump sta scioccando il resto dell’occidente inducendolo a reggersi sulle proprie gambe, chiedo. ‘Sarebbe ironico che ciò fosse la conseguenza dell’era Trump’, risponde Kissinger, ‘ma non è impossibile’. L’alternativa, aggiunge Kissinger, non è allettante. Un Atlantico diviso trasformerebbe l’Europa in una ‘appendice dell’Eurasia’ alla berlina della Cina, che vuole restaurare il suo storico ruolo di Terra di mezzo ed essere ‘il principale consigliere dell’umanità’. Sembra che Kissinger creda che la Cina sia sul punto di raggiungere il suo obiettivo. L’America, nel frattempo, vuole diventare un’isola geopolitica, circondata da due enormi oceani e senza un ordine mondiale istituzionalizzato da preservare. Un’America siffatta dovrebbe imitare la Gran Bretagna vittoriana, ma senza l’abitudine di accapigliarsi per mantenere il resto del mondo diviso, come faceva Londra con l’Europa continentale”.
Kissinger, conclude Luce, “ è più preoccupato dall’intelligenza artificiale. E’ una materia, concede, con cui non è ancora riuscito a prendere confidenza. E’ particolarmente perplesso dalle sconosciute conseguenze della guerra tra automi e da un mondo in cui si richiederà alle macchina di prendere decisioni etiche. ‘Tutto quel che posso fare, nei pochi anni che mi rimangono, è porre domande su certe questioni’, dice, ‘ma non pretendo certo di avere le risposte’”.