“Onu, senti l'allarme rosso in Israele?”
Un ragazzo israeliano che vive al confine con la striscia di Gaza scrive al segretario generale Guterres e descrive la sua vita sotto la continua minaccia dei razzi palestinesi
Uriah Hatzroni, 15enne israeliano che abita nel moshav Yated, vicino al confine con la striscia di Gaza, ha scritto una lettera personale al segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, nella quale descrive la sua vita sotto la continua minaccia dei razzi palestinesi. “Ora siamo nel periodo delle vacanze estive – scrive Uriah – quando i ragazzini come me dovrebbero potersi divertire e stare con gli amici, e invece siamo costretti in casa o nei rifugi, con la paura di uscire nel caso vi siano lanci contro di noi di razzi o aquiloni incendiari. Signor Segretario Generale, i ragazzini dovrebbero avere il diritto di stare fuori a giocare, e non nei rifugi antiaerei. Negli ultimi mesi, io e la mia famiglia non abbiamo avuto un solo giorno tranquillo, una sola notte tranquilla. Sempre e solo allarme rosso. Signor segretario generale, ha mai sentito parlare dell’allarme rosso? E’ la sirena che ci avverte quando ci sparano addosso razzi e colpi di mortaio. Lo sapeva che, quando suona l’allarme, abbiamo 15 secondi di tempo (!!), a volte anche meno, per metterci al riparo: quindici secondi che separano la vita dalla morte?”. Nella lettera, inviata in occasione della Giornata della gioventù che l’Onu celebra il 12 agosto, Uriah aggiunge: “I miei amici e io, migliaia di bambini e adolescenti che abitano nelle comunità attorno alla striscia di Gaza, viviamo da anni in aree protette. Non quelle a cui si riferisce la risoluzione delle Nazioni Unite, ma quelle che hanno lo scopo di proteggermi e salvare la mia vita da attacchi di razzi e proiettili di mortaio, dai tunnel per infiltrazioni terroristiche e ultimamente da palloni e ordigni incendiari lanciati da Gaza, che è controllata da Hamas, un’organizzazione riconosciuta come terroristica a livello internazionale. Spesso lo spazio protetto che dovrebbe farti sentire al sicuro diventa proprio il luogo dove aleggiano l’ansia e le paure più profonde. Mentre te ne stai rannicchiato con la tua famiglia o con gli amici nello spazio protetto, tendendo le orecchie al suono terrificante dei colpi di razzo e alla sirena che divampa nell’aria, la tua mente non può smettere di andare agli altri tuoi famigliari e amici che potrebbero non aver trovato in tempo un nascondiglio ed essere in pericolo, e ti chiedi cosa potrà distruggere il missile quando si abbatterà al suolo, e preghi con tutto il cuore per la buona sorte”.
“Signor segretario generale nei mesi scorsi, in realtà negli anni scorsi, questa è diventata la routine per migliaia di ragazzini come me che vivono nel sud di Israele, con la terribile paura che in qualsiasi momento il silenzio venga rotto dal bombardamento. Il senso di ansia e profonda insicurezza pervade anche il più forte di noi. E ciò che non fa meno male è il fatto che noi, figli d’Israele, sentiamo che il mondo, compresa l’Onu, ci ha abbandonati come se i nostri diritti, il nostro futuro, fossero in qualche modo meno degni o meno importanti”. Uriah Hatzroni conclude la sua lettera esprimendo la speranza in un futuro migliore. “I miei amici e io – scrive – continueremo a credere e sognare che verrà il giorno in cui i muri dell’odio diventeranno ponti di amicizia e convivenza, in cui i figli dell’intera regione, israeliani e palestinesi, vivranno una fanciullezza bella, buona e al sicuro”.