Un Foglio Internazionale
La “tirannia del merito" è una delle cause dell'ascesa del populismo
L’implicazione è che chi non riesce a crescere deve dare la colpa solo a se stesso. Michael Sandel sul Guardian controcorrente gela una generazione di progressisti
Questo articolo è stato pubblicato su Un Foglio internazionale, l'inserto a cura di Giulio Meotti con le segnalazioni dalla stampa estera in edicola ogni lunedì
"Michael Sandel aveva 18 anni quando ha ricevuto il primo insegnamento nell’arte della politica”. Così inizia l’intervista di Julian Coman al docente di Harvard Michael Sandel sul Guardian: “Il futuro filosofo era il rappresentante di istituto al liceo di Palisades, California, quando Ronald Reagan, l’allora governatore dello stato, viveva nella stessa città. Nel 1971 Sandel lo aveva invitato a confrontarsi davanti a 2.400 adolescenti di sinistra. Eravamo all’apice della guerra in Vietnam, che aveva radicalizzato una generazione, e i campus universitari erano un terreno ostile per un conservatore. Sorprendentemente Reagan raccolse il guanto di sfida e si recò al liceo con una limousine nera. Il confronto andò diversamente da come se lo aspettava Sandel.
‘Avevo preparato una lunga lista di quelle che ritenevo essere delle domande molto difficili su diversi argomenti, dal Vietnam alla sicurezza sociale’, spiega Sandel, che oggi ha 67 anni: ‘Lui ha risposto in modo geniale, cortese e rispettoso. Dopo un’ora ho capito che non avevo vinto il dibattito. Avevo perso. Reagan ci aveva conquistato pur senza persuaderci con i suoi argomenti. Nove anni dopo sarebbe stato eletto alla Casa Bianca nello stesso modo’ (…). Il libro ‘What Money Can’t Buy’ ha reso Sandel uno dei più formidabili critici dell’ortodossia neoliberista nel mondo anglosassone. Ma il suo nuovo libro spiega come riportare alcuni valori civici nella società americana.
Il filosofo si domanda come si può ritornare a una vita pubblica meno rancorosa, meno polarizzante e più generosa. Il punto di partenza sembra essere il falò delle vanità che hanno animato una generazione di progressisti. ‘The Tyranny of Merit’ è la risposta di Sandel alla Brexit e all’elezione di Donald Trump. Non sarà una lettura piacevole per alcuni personaggi tra cui Barack Obama, Hillary Clinton, Tony Blair e Gordon Brown. Sostenendo che ‘un’epoca del merito’ potesse risolvere i problemi della globalizzazione, la diseguaglianza e la deindustrializzazione, il Partito democratico e i suoi corrispettivi europei hanno abbandonato la working class occidentale e i propri valori. Questo ha avuto delle conseguenze disastrose per il bene comune.
‘La soluzione ai problemi della globalizzazione e della diseguaglianza – e lo abbiamo sentito su entrambe le sponde dell’Atlantico – è che chiunque lavora duramente e rispetta le regole dovrebbe crescere fino al punto in cui lo porteranno i suoi sforzi e il suo talento’. Questo è quello che nel libro chiamo la ‘retorica della crescita’. È diventata un atto di fede, uno slogan accettato da tutti. Il centrosinistra aveva promesso di dare a tutti le stesse opportunità. In questo modo, chiunque crescerà grazie ai propri sforzi, talento e forza di volontà meriterà il proprio posto, se lo sarà guadagnato’. Il modo migliore per ‘crescere’ è quello di conseguire una laurea all’università. Sandal ricorda lo slogan blairiano – ‘Education, education, education’ – oltre a un discorso agli studenti del 2013 in cui l’allora presidente americano Barack Obama avvertiva che ‘se non avrete una buona laurea sarà difficile trovare un lavoro che retribuisce più della paga minima’.
Sandel solleva due grandi obiezioni a questo approccio. Innanzitutto, la parità di opportunità resta una chimera. Nonostante i suoi studenti a Harvard siano sempre più convinti che il proprio successo sia il risultato dei propri sforzi, due terzi di loro provengono dal 20 per cento più ricco della società. Questa stessa tendenza si verifica in tutte le migliori università. Il rapporto tra la classe sociale e il risultato dei Sat (che corrisponde grosso modo agli esami di maturità, ndr) è stato dimostrato più volte. Nel frattempo la mobilità sociale è ferma da decenni. ‘Gli americani nati da genitori poveri tendono a restare poveri da adulti’.
Ma l’obiettivo del libro di Sandel è un altro: l’autore vuole aggredire l’egemonia liberal che ha regnato per gli ultimi trent’anni. ‘Il libro cerca di dimostrare che c’è un lato oscuro e demoralizzante’, spiega Sandel: ‘L’implicazione è che chi non riesce a crescere deve dare la colpa solo a se stesso’. I partiti progressisti hanno sostenuto che in un mondo globalizzato la scelta non fosse più tra ‘destra e sinistra’ ma tra ‘apertura e chiusura’. L’apertura significa la libera circolazione di capitali, beni, e persone da un paese all’altro. Chiunque non era d’accordo veniva etichettato come provinciale, diffidente e ostile alla cultura cosmopolita’ (…). I progressisti hanno invitato la working class a ‘migliorarsi’ oppure convivere con il proprio fallimento. Molti si sono sentiti traditi e hanno votato per altri partiti.
‘L’ascesa dei populisti negli ultimi anni è stata una rivolta contro la tirannia del merito, eseguita da coloro che si sentono umiliati dalla meritocrazia e dal suo progetto politico’. Sandel non ha alcuna simpatia per Donald Trump ma condivide alcune delle istanze dei suoi elettori. ‘Tra le tante menzogne raccontate dal presidente, l’unica cosa autentica è il suo risentimento viscerale verso le élite che a suo dire lo hanno snobbato per tutta la sua vita’. Sandel è molto duro con i democratici, che considera tra i responsabili dell’ascesa di Trump. ‘Il partito deve cambiare la propria missione e prestare maggiore attenzione al risentimento e al malessere delle persone comuni’. Questa è la diagnosi.
Ma secondo Sandel l’unico modo per uscire dalla crisi è ripudiare i princìpi meritocratici che hanno creato una società di vincitori e perdenti. ‘Bisogna ripensare al ruolo delle università come unica fonte di opportunità (…) Dobbiamo investire maggiormente nelle scuole professionali affinché anche le persone senza laurea possano prosperare’. Sandel è convinto che le professioni tecniche esigano maggiore rispetto e allo stesso tempo i vincitori del sistema meritocratico debbano essere più umili. ‘L’umiltà è una virtù essenziale in questo momento – dice il filosofo parlando dei suoi studenti a Harvard – è un antidoto necessario all’hubris meritocratica che ci ha divisi’”.
(Traduzione di Gregorio Sorgi)
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