Un foglio internazionale
Il potere senza responsabilità delle aziende americane del “big tech”
Buoni censori? Dicono di essere compagnie private alle quali non si applica il Primo emendamento. Ferguson non è d’accordo
Questo articolo è stato pubblicato su Un Foglio internazionale, l'inserto a cura di Giulio Meotti con le segnalazioni dalla stampa estera in edicola ogni lunedì
"Quando i giganti della Silicon Valley parlano di loro stessi spesso dicono delle cose singolari. In un incontro riservato nel marzo 2018 è stato chiesto ai dirigenti di Google di immaginare che la compagnia dovesse agire come un ‘buon censore’ per limitare l’impatto del ‘comportamento cattivo’ dei propri utenti”. Così inizia l’articolo dello storico Niall Ferguson che racconta altri episodi simili. “Se questo non vi sembra strano – se non vi ricorda un dialogo preso da qualche libro distopico di fantascienza – allora dovete leggere più libri distopici di fantascienza (iniziate con il profetico ‘Noi’ di Yevgeny Zamyatin). Non so se, come ha sostenuto il New York Post alcune settimane fa, il candidato dei democratici alle presidenziali Joe Biden abbia incontrato nel 2015 un dirigente ucraino di nome Vadym Pozharskyi che lavora nel campo dell’energia. Non so se il figlio di Biden, Hunter, che è un membro del consiglio di amministrazione dell’azienda di Pozharskyi, abbia contribuito a organizzare l’appuntamento. E ho i miei dubbi che questo incontro, se mai è avvenuto, sia stato il motivo per cui l’ex vicepresidente ha chiesto al governo ucraino di licenziare il procuratore generale, Viktor Shokin, che forse stava indagando su Burisma. Non sono contrario alla teoria secondo cui tutta questa storia è un’invenzione e le mail false, il laptop e l’hardware sono un regalo dalla Russia, con amore.
Ciò di cui sono sicuro è che se leggo l’articolo online e lo trovo convincente, dovrei essere in grado di condividerlo con i miei amici. Invece sia Facebook che Twitter hanno preso una decisione che ha annientato lo scoop del Post”. Facebook ha annunciato che avrebbe “ridotto la distribuzione” dell’articolo e Twitter ha proibito ai suoi utenti di condividerlo con i propri follower. Questo non è affatto un episodio isolato: negli ultimi mesi Google, Facebook e Twitter hanno proibito la diffusione di teorie cospirazioniste e messaggi filo trumpiani. La Silicon Valley sta avendo un ruolo molto discutibile nelle elezioni del 2020. Lo stesso è avvenuto nel 2016 ma gli americani hanno fatto finta di nulla, ignorando questo fenomeno nonostante i social nel frattempo siano diventati sempre più potenti. Le dimensioni e il fatturato della aziende tech non sono ciò che le rende importanti. Apple, Amazon, Google e Facebook hanno sfruttato il proprio potere di mercato in un modo anticoncorrenziale. Le cause all’Antitrust contro Amazon sono destinate a fallire. I consumatori amano l’azienda. Ha abbassato il prezzo di una quantità innumerevole di prodotti e reso lo shopping nei negozi un’attività obsoleta. La scorporazione di Google e Facebook è ugualmente improbabile. Sono gratis, per diamine.
Secondo Ferguson la stupidità e la venalità dei legislatori americani li ha convinti che il ricorso all’Antitrust sia la risposta giusta al problema del Big Tech. Tuttavia, è la risposta sbagliata. Il problema non è la mancanza di concorrenza ma il fatto che queste aziende ormai sono diventate lo spazio pubblico. Tutto ciò che chiamiamo media – giornali, riviste e anche la televisione – è subordinato ai social. Nel 2019 l’americano medio ha trascorso circa sei ore e trentacinque minuti al giorno usando i social network; più di radio, carta stampata e televisione messe insieme. Lo storico sostiene che il più grande problema sia la scarsa regolamentazione della Silicon Valley. La legge 230 sancisce che le piattaforme digitali non sono degli editori e dunque non sono penalmente responsabili per ciò che viene pubblicato dai loro utenti. Allo stesso tempi, i giganti del tech possono liberamente rimuovere i contenuti che considerano offensivi, eccessivamente violenti o inappropriati. Dunque si crea un meccanismo pericoloso che favorisce queste aziende. Se denunci un social per avere pubblicato un commento offensivo, gli avvocati reciteranno la legge 230: “Siamo solo una tech company, questo contenuto inappropriato non è nostro’. Ma se gli fai causa perché hanno rimosso un tuo commento ritenuto offensivo, loro reciteranno sempre la legge 230: “Siamo una compagnia privata. Il Primo emendamento non si applica a noi”.
Questa legge è diventata pericolosa negli ultimi anni, da quando le aziende tech hanno iniziato a rimuovere arbitrariamente alcuni commenti di destra. I padri fondatori della Silicon Valley hanno degli istinti libertari; molti di loro sono cresciuti con la cosiddetta “cultura dei campus”, che li ha abituati a censurare chiunque sostenesse delle opinioni ritenute inadatte. Secondo Ferguson esistono due possibili rimedi a questo problema. Innanzitutto, bisogna cancellare la legge 230 per rendere le piattaforme digitali legalmente responsabili per i contenuti che pubblicano. Secondo, dobbiamo estendere gli obblighi previsti dal Primo emendamento alle piattaforme digitali, riconoscendo che sono troppo importanti per potere definire da sole quali contenuti siano accettabili o meno. Solitamente il Big Tech si oppone a queste proposte spiegando che aumenterebbe le proprie responsabilità legali. “Certo. Questo è il punto”, dice Ferguson. Se queste piattaforme sono diventate lo spazio pubblico, allora non deve essere compito loro rimuovere i “contenuti offensivi” perché anche questi sono protetti dal Primo emendamento (a patto che non istighino alla violenza contro una persona). Ferguson prevede che questa svolta non avverrà sotto un’amministrazione democratica.
La Silicon Valley finanzia molti esponenti progressisti – tra cui Kamala Harris – che sono contenti di vedere rimossi gli scoop imbarazzanti come l’Huntergate. “Nel 1931 l’allora premier britannico Stanley Baldwin aveva accusato i principali editori dell’epoca, Lord Beaverbrook e Rothermere, di ‘mirare al… potere, e potere senza responsabilità’, ovvero la prerogativa della puttana nel corso dei secoli” – conclude Ferguson –. Quando penso al ruolo subdolo e dominante che il Big Tech continua a esercitare nel processo politico americano, non vedo dei buoni censori. Vedo piuttosto delle grosse e cattive puttane”.