Nagorno-Karabakh, l'esercito azero entra a Kalbajar (LaPresse) 

Un Foglio internazionale

La Francia, unica alleata degli armeni

Emmanuel Macron è stato il solo leader europeo a schierarsi in favore del Karabakh

Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere, a cura di Giulio Meotti


 

"Per le strade dell’Artsakh (Nagorno Karabakh), nei caffè senza gioia di Erevan, quando si viene a sapere che arrivi dalla Francia, si illuminano gli occhi”, scrive Valérie Toranian sulla Revue des Deux Mondes. “La Francia è con noi. Il presidente Macron è l’unico ad aver detto qualcosa…”. Dopo l’aggressione del Nagorno Karabakh da parte della coalizione turco-azera e i suoi jihadisti, si è levata una sola voce nel silenzio assordante delle nazioni. Quella di Emmanuel Macron. Ha designato l’aggressore e denunciato le mire espansionistiche di Erdogan. Certo, niente invio di truppe, niente aiuto militare agli armeni. Nessuna mozione europea. E nessuna iniziativa del gruppo di Minsk, dove la Francia siede da ventisei anni accanto agli Stati Uniti e alla Russia, per portare a termine il processo di pace nel Nagorno Karabakh.

  

La Francia, quante divisioni? Il capo del Cremlino ha bloccato l’assalto finale delle forze turco-azere e inviato le sue forze di interposizione. Le dichiarazioni di principio e le testimonianze di simpatia sono poca cosa quando si muore sotto una tempesta di fuoco. Ma nello stato di desolazione in cui si trovano gli armeni dalla firma del cessate il fuoco con l’Azerbaijan il 10 novembre, una bella parola della Francia è comunque meglio di nessuna parola. “Conosco bene la Francia, ho letto Alexandre Dumas, ‘I Tre Moschettieri’!”, dice Vahak, di una sessantina d’anni, con un volto scolpito dal tempo e un corpo massiccio. Ama anche Franz Werfel e Jean Marais. Nella città disastrata di Stepanakert, dove ci incontriamo, uno dei rari negozi rimasti aperti pochi giorni dopo la fine dei combattimenti, tiene a mandare un messaggio solenne a Macron e alla “grande civiltà francese”. “La Francia deve riconoscere la Repubblica indipendente dell’Artsakh. Non potrà mai accettare di essere governata dalla dittatura barbara di Aliyev. E se la Francia riconosce la nostra repubblica, altri stati la seguiranno”.

   

Riconoscere la Repubblica dell’Artsakh sarebbe non solo una posizione simbolica forte, ma permetterebbe anche di rilanciare il processo di pace introducendovi una discussione giuridica sullo stato della piccola Repubblica. Nei nove punti del cessate il fuoco, i russi hanno volontariamente ignorato la questione dello statuto dell’Artsakh. La Francia, nel quadro del gruppo di Minsk, con i russi e gli americani, potrebbe battersi per rimettere sul tavolo questa questione cruciale per il futuro delle popolazioni armene nel Nagorno Karabakh. I pericoli fisici, le minacce che pesano sul patrimonio armeno, il vandalismo già in corso, le profanazioni dei luoghi di culto e dei cimiteri, ecco tanti motivi concreti tali da giustificare che gli armeni del Nagorno Karabakh debbano avere uno statuto riconosciuto e inquadrato da leggi internazionali.

 

L’Unesco ha appena lanciato una missione d’osservazione. Ma nel 2004, la stessa Unesco, vai a sapere perché, aveva anche accordato alla moglie del presidente azero, Mehriban Aliyeva, il titolo di ambasciatrice di buona volontà dell’Unesco. La moglie del dittatore (nonché vice presidente del paese!) non ha mai smesso di invocare la “risoluzione militare” della questione del Karabakh, in violazione di tutti i principi pacifici dell’Unesco. Gli armeni sono perplessi. L’Azerbaijan, attraverso la sua diplomazia del caviar, finanzia numerose istituzioni.

  

Tenente dell’esercito armeno, Meri Avakian assomiglia a quelle guerriere curde che hanno combattuto contro lo Stato islamico in Siria. La morte non le fa paura: conserva per lei la sua ultima pallottola. La incrociamo a Martuni, città abbondantemente distrutta dai bombardamenti, di fronte alla statua di Monte Melkonian, eroe nazionale della prima guerra del Karabakh, armeno originario della California morto in combattimento nel 1993. “All’epoca i soldati non attaccavano al grido di Allah Akbar”, dice.

  

I deliri espansionistici di Erdogan, la sua volontà di ricostituire un impero neo ottomano, la sua potenza militare, il suo appello al jihadismo per eliminare gli armeni: tanti fattori che preoccupano terribilmente lo stato maggiore armeno. Sono i carri armati turco-azeri che si insediano in Azerbaijan, nelle regioni abbandonate dalle forze armene, alla frontiera con l’Armenia. “Erdogan fa paura, anche ai russi, perché è imprevedibile e capace di tutto”, sottolinea il politologo Saro Saroyan.

    

I russi sono ancora potenti come vent’anni fa? A Erevan, ci si interroga. Circola la voce di imminenti dimissioni di Putin, a causa di forti dissensi all’interno del Cremlino. L’instabilità russa alimenta le angosce. La minaccia turca non è una “fantasia” di armeni traumatizzati dal genocidio del 1915. Il neosultano esorta i jihadisti a stabilirsi con le loro famiglie nelle regioni frontaliere…

   

La guerra potrebbe riprendere. Chi può assicurare il contrario? Al cimitero militare di Erevan, centinaia di tombe appena scavate accolgono le spoglie ritrovate nelle zone di combattimento dopo il cessate il fuoco del 10 novembre. I morti hanno quasi tutti 19 o 20 anni. I turchi non hanno fatto prigionieri. Questa domenica, i funerali di tre soldati ai quali assistiamo si tengono con la bara chiusa, contrariamente alla tradizione: i corpi non sono in condizione di essere esposti. Sono stati torturati, mutilati, decapitati? Artak Beglaryan, responsabile dei diritti umani nell’Artsakh, ha pubblicato alla vigilia dei funerali un rapporto che parlava di corpi mutilati di armeni ritrovati nei dintorni di Susa, la città conquistata dalle forze turco-azere. Su internet circolano video insostenibili. Teste mozzate, corpi torturati, la testa di un uomo incastrata nelle budella di un maiale sventrato. Esseri umani trattati come “maiali”, come “cani”, secondo le parole di Aliyev.

   

La comunità internazionale ha lasciato morire gli armeni, bastione della nostra civiltà nel Caucaso. Sacrificati in prima linea dinanzi al panturchismo islamista. Potrebbe almeno cercare di riscattarsi riconoscendo l’indipendenza dell’Artsakh. Come ricordato dal progetto di risoluzione che sarà sottoposto al voto dei senatori martedì 24 novembre, “le popolazioni armene, a cui il nostro paese è legato da un’amicizia secolare, sono nuovamente martirizzate nel Nagorno Karabakh. La Francia non può più ignorare che soltanto la piena indipendenza della Repubblica del Nagorno Karabakh sarà il loro primo scudo. Città come Parigi, Marsiglia (compresa la sua metropoli), Saint-Étienne, le regioni Paca, Île-de-France, Hauts-de-France, Auvergne-Rhône-Alpes, e alcuni dipartimenti (Hauts-de-Seine, Isère, Bouches-du-Rhône) hanno già votato mozioni di riconoscimento.

   

Presidente Macron, dopo la sua dichiarazione bella e coraggiosa, è giunto il momento di un vero e proprio impegno! La Francia è stata il primo stato a riconoscere ufficialmente il genocidio armeno nel 2001. Deve essere la prima nazione a riconoscere la Repubblica dell’Artsakh e il suo diritto di vivere in pace nel 2020. Prima che riprendano i crimini di Erdogan e dei suoi alleati.

 

(Traduzione di Mauro Zanon)