un foglio internazionale
Se Netflix si dà alla politica
Il gigante dello streaming ormai non sa che farsene del proprio potere Scrive lo Spectator (28/12)
"Nel 2010 chiesero a Jeff Bewkes, l’allora ceo di Time Warner, se ci fossero delle possibilità che Netflix potesse dominare Hollywood in futuro”, scrive Will Lloyd sullo Spectator: “La sua risposta sarcastica merita di essere ricordata come una delle previsioni più stupide di sempre. Bewkes non aveva preso sul serio Netflix: ‘L’esercito albanese dominerà il mondo?’. E’ passato un decennio e Netflix non è l’Albania. E’ la Spagna imperiale durante El Siglo de Oro. Gigante, implacabilmente mercantilista e spietatamente espansionista, Netflix si è diffuso in tutto mondo ed è diventato uno degli imperi mediatici più grandi di sempre. Il 2020 sembra avere consolidato il trionfo di Netflix. La pandemia ha significato 15 milioni di abbonati in più e un grande aumento nelle azioni della piattaforma streaming. E’ stato un grande successo. Fino ad agosto. In quel mese, Netflix ha presentato il film francese Cuties che racconta la storia di una ragazza musulmana che diventa amica della sua vicina emancipata, Angelica, che gli fa scoprire l’hip hop. Il manifesto promozionale di Netflix ritrae due bambine che indossano degli abiti attillati e sgargianti. Il film non era fatto per pedofili, ma probabilmente non c’era un pedofilo al mondo a cui non è piaciuto. Il ceo di Netflix, Ted Sarandos, ha difeso il film dicendo in soldoni: non mi interessa se i bacchettoni americani di provincia non capiscono l’arte; sono un manager globale e quando governi un impero avrai sempre qualche problema con i nativi”.
Secondo lo Spectator, Netflix è un’azienda di intrattenimento che produce contenuti per una parte - dal 2010 non c’è più alcun confine tra intrattenimento e notizie. Netflix ha prodotto tanti documentari socio-politici, tra cui Get Me Roger Stone (2017), RBG (2018), Knock Down the House (2019), The Great Hack (2019). Ognuno di questi film trae ispirazione dagli stessi valori. Si tratta della reazione ultraliberal all’èra Trump, alla paura di russi, repubblicani e degli algoritmi.
Il vero problema di Netflix – conclude lo Spectator – è che non sa cosa fare con il proprio potere. I contenuti che trattano di temi politici e sociali - come l’ingiustizia razziale, la parità di genere e l’attivismo ambientalista - si rivolgono a dei buonisti immaginari, non a un pubblico reale. E’ importante notare che i programmi di maggiore successo di Netflix – Friends e The Office – sono stati prodotti nell’epoca politicamente più tranquilla che ha preceduto Trump. Dopo il fiasco di Cuties, c’è stato un aumento pirotecnico dell’800 per cento nelle cancellazioni degli abbonamenti a Netflix e la concorrenza ne ha approfittato. Netflix oggi ha così tanti rivali che offrono un gran numero di contenuti a disposizione che l’intero modello dello streaming sembra l’ennesima bolla tecnologica. Può darsi che la politica di Netflix lo proteggerà dalla tempesta in arrivo? Cinque giorni prima delle elezioni americane, l’account Twitter di Joe Biden ha criticato Netflix perché paga meno tasse dell’americano medio. E’ stato un altro brutto segno in un anno che doveva essere trionfale”.
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