La ‘cancel culture’ viene ormai praticata liberamente nel nostro paese” scrive Valérie Toranian, direttrice della Revue des Deux Mondes. “Importata dagli Stati Uniti, consiste nell’annullare, denunciare, boicottare, escludere dal dibattito, dallo spazio pubblico o professionale qualsiasi persona giudicata infrequentabile per le sue opinioni, il suo comportamento o semplicemente considerata refrattaria alla morale dei tempi nuovi. Si tratta di esercitare una vigilanza costante (woke) per denunciare i crimini della ‘bianchezza’ eterosessuale capitalistica e normativa. Il suo trampolino: i social network. Questi ultimi possono letteralmente decretare la morte sociale di un individuo, di un’istituzione. La loro influenza sui media, sulla cultura e all’interno dell’università continua a espandersi. Negli Stati Uniti, la cancel culture fa e disfa le carriere. Bret Weinstein, professore all’Evergreen State (Washington), si è dovuto dimettere dalla sua carica dopo una campagna sui social, perché si era opposto all’organizzazione di un giorno ‘senza bianchi’ all’università. Il linciaggio, talvolta, porta alla morte: Mike Adams, insegnante presso l’Università della Carolina del Nord, molto critico verso il movimento identitarista, perseguitato e minacciato su Twitter, si è suicidato lo scorso luglio. Altri aderiscono con entusiasmo a questa tendenza, come un’insegnante del Massachusetts, fiera di aver ritirato l’Odissea di Omero dal programma. Il curatore del Moma di San Francisco è stato allontanato lo scorso luglio per aver detto che avrebbe continuato ad acquistare opere di artisti bianchi per non perpetuare nei loro confronti ‘una discriminazione al contrario’ (…).
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