Un Foglio internazionale
Liberale non è una parolaccia
Un pensiero politico, una passione nata negli anni della Thatcher. Parla Vargas Llosa
Questo articolo è stato pubblicato su Un Foglio internazionale, l'inserto con le segnalazioni dalla stampa estera ogni lunedì sul Foglio
Premio Nobel per la letteratura nel 2010, lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa ha deciso, alla soglia dei suoi 85 anni, di redigere una sorta di testamento politico-filosofico: “L’Appel de la tribu”. Qui è a colloquio con il Figaro Magazine.
Ne “Le Poisson dans l’eau”, lei ha raccontato gli episodi della sua vita. “L’Appel de la tribu”, consacrato a sette geni del pensiero liberale da lei venerati, è più un’antologia che un’autobiografia. Perché ha scelto questa forma per questo secondo tomo? “Ci tenevo molto a scrivere fino a che punto il pensiero liberale mi è caro. Quando sono andato via da Parigi per stabilirmi a Londra, vivevo nella delusione del mio passato politico. Ero stato socialista, comunista, castrista. L’evoluzione di Cuba, e in seguito la mia visita in Urss, hanno fatto di me un disilluso del marxismo. E sono diventato un ardente difensore della democrazia. Ma è vivendo a Londra che ho aderito al liberalismo, quando la Signora Thatcher dirigeva il governo. Ciò che è accaduto mi ha entusiasmato. Ho cominciato a leggere e studiare i pensatori liberali di cui parlo in questo libro. Ho voluto lasciare una testimonianza di questa evoluzione. Tra l’altro, la Francia si è evoluta nella stessa direzione. Durante i miei anni a Parigi, il pensiero era dominato dalle idee di sinistra. Oggi, si è molto meno intolleranti nei confronti di un pensiero non-goscista. All’epoca, una persona come Jean-François Revel era completamente marginalizzata come se si trattasse di un giornalista di second’ordine. Ora, è riconosciuto come un pensatore originale e di qualità. Soltanto Raymond Aron aveva uno po’ di spazio. A Parigi, nonostante fossi socialista, acquistavo Le Figaro per leggere i suoi articoli. Se all’epoca fosse stato insegnato maggiormente questo pensiero liberale, la Francia oggi avrebbe meno problemi!”.
Il titolo della sua opera, “L’Appel de la tribu”, fa riferimento alla denuncia del “tribalismo” da parte di sir Karl Popper, teorico della società aperta. La nostra epoca è nuovamente sensibile a questo appello? “Purtroppo sì. Ciò spiega, un po’ ovunque, la comparsa di movimenti nazionalisti. Il nazionalismo è l’idea di tribù. E’ una fantasia. Non è mai esistita nella forma che i nazionalisti evocano: una società perfettamente integrata, dove si parla la stessa lingua e dove si crede nello stesso dio. Secondo l’antropologia, la tribù era un mondo di terrore e di violenza. Quelli che propugnano il nazionalismo fantasticano su una società perfetta come i comunisti. Un mondo il cui dominatore sarebbe uguale per tutti. Ciò non è mai esistito e mai esisterà. La moderazione è incompatibile con il nazionalismo. Se si va più in profondità in questa idea, appare la violenza. Cos’è il nazionalismo? E’ l’idea razzista secondo cui essere nato in un luogo particolare è un privilegio. E’ un’idiozia che non ha alcuna giustificazione né storica, né morale, né filosofica. E’ un partito preso, è un atto di fede. Tra l’altro questa riemersione è curiosa, perché si verifica in un’epoca in cui si potrebbe pensare che il nazionalismo sia stato eliminato dalla Storia, come nel caso del comunismo. Il nazionalismo è stato la causa della Seconda guerra mondiale. Ha provocato milioni di vittime. Eppure eccolo riapparire. E’ un’aberrazione. Ma in fondo, non credo che avrà la meglio. E’ incarnato da minoranze molto attive e molto violente. Il suo futuro è ostruito. Tuttavia, bisogna essere coscienti del pericolo che esso rappresenta. Penso in particolare al rischio che fa correre all’Unione europea. Sarebbe una catastrofe se quest’ultima si sfasciasse e lasciasse alla Cina e agli Stati Uniti la responsabilità della ripartizione del mondo.
L’Europa è la libertà e la democrazia, che è nata in questo continente”. Perché la parola liberale è tanto denigrata in Francia? “E’ una parolaccia un po’ ovunque! Viene associata al termine reazionario. La sinistra è stata abile a fabbricare degli anticorpi. Ha concentrato i suoi attacchi contro il liberalismo perché ha visto in esso un nemico. Eppure il liberalismo è stato il motore della democrazia. E’ grazie a esso che la società si è rinnovata, creando i sindacati, accettando delle riforme sociali e spingendo il capitalismo verso una forma di progressismo. Oggi, è il solo pensiero politico rimasto nel panorama politico mondiale. Si ritrova confrontato al populismo che ha sostituito il comunismo. Ma non penso che il populismo abbia un grande futuro. Lo abbiamo visto con ciò che accaduto a Trump: una sorta di illusione che non dura”.
Molti ritengono che il populismo sia nato dagli eccessi del capitalismo finanziario e dalla globalizzazione senza regulation. Queste trasformazioni sono avvenute con Margaret Thatcher e Ronald Reagan di cui lei fa un grande elogio nel suo libro… “Ciò che Margaret Thatcher ha realizzato in Inghilterra è stato straordinario. Quando sono arrivato, era un paese in decadenza, senza dinamismo e senza spirito di iniziativa. Lei è riuscita a risollevare questo paese e a rendere l’economia della Gran Bretagna più forte di quella tedesca in un certo periodo. Sono stato il testimone di questa potente trasformazione. In merito alla sua questione sull’attuale capitalismo, le rispondo che i liberali devono essere molto critici con loro stessi. Devono diffidare degli estremisti del loro campo che pensano soltanto al mercato e sono convinti che sia la soluzione a tutto. Non è così. L’idea del liberalismo mantiene tutta la sua pertinenza, ma bisogna adattare la politica alle realtà, deve essere pragmatica. I grandi pensatori liberali che presento nel mio libro non dicono cose diverse da questa: praticano l’arte del possibile. Nessuno di essi è un fanatico del mercato. I sostenitori del capitalismo finanziario dei nostri giorni non sono amici, bensì nemici del liberalismo che vorrebbero distruggere il modello democratico”.
Papa Francesco è molto critico nei confronti del capitalismo. Qual è la sua opinione sul pontefice latinoamericano? “Ciò che sta accadendo in America latina è interessante. Non c’è più nessuna dittatura militare. Ma rimangono delle dittature ideologiche – Cuba, Venezuela, Nicaragua. Per il resto, ci sono governi eletti. Spesso i popoli votano male, scelgono le peggiori opzioni, ma lo fanno liberamente. La scomparsa delle dittature resta un progresso. I militari avevano creato dei nazionalismi ridicoli. Allo stesso tempo, è sparito anche il guerrigliero che parte in montagna con un fucile in nome dell’ideale comunista. Per quanto riguarda il Papa, dirige un cattolicesimo latinoamericano in crisi, che perde terreno. Sta tentando di riconquistarlo. Ma per farlo, sta dando ragione a tutti quelli che abbiamo combattuto per dare credito alla democrazia e alla libertà. Papa Francesco è un peronista. Perón, nel 2021, è un anacronismo. Il peronismo ha distrutto l’Argentina, che era un paese avanzato e ricco. Dunque, riprendere oggi le sue tesi è una follia”.
Il primo autore che lei mette in rilievo nel libro è Adam Smith, che è molto più di un economista come viene spesso classificato. “Era un uomo che credeva nella cultura. Era convinto che essa dovesse irrigare le istituzioni democratiche. Non era un ideologo. Si vedeva come un professore morale. Se esiste un professore flessibile e moderato, quello è proprio Adam Smith. Non ha mai voluto imporre qualcosa alla società. Per lui, le idee liberali dovevano adattarsi alla realtà e non il contrario. Fare di lui un nemico del progresso, come si sente dire da alcune parti, è semplicemente grottesco! Teneva molto all’uguaglianza delle opportunità. E teneva più di tutto alla libertà come essenza dell’organizzazione sociale. Se avessimo seguito i precetti di Adam Smith, non sarebbe mai stato creato il gulag”. Attaccato sia da sinistra sia da destra, come si può preservare secondo lei il futuro del liberalismo? “Bisogna convincere i giovani a fare politica. Oggi, i più brillanti e coloro che hanno ricevuto le migliori formazioni odiano la politica. Preferiscono consacrarsi alla creazione di un’impresa, il che è molto positivo, ma non bisogna disprezzare la vita pubblica. Dobbiamo mostrare ai giovani che la politica può cambiare le cose, che può fare dei miracoli. E dobbiamo convincerli a difendere la libertà, perché è fragile. Le istituzioni democratiche sono meno esaltanti rispetto alla rivoluzione, ma impegnarsi in queste istituzioni costituisce un progetto più solido”. (Traduzione di Mauro Zanon)
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