Il giornale Charlie Hebdo proiettato su un palazzo nel centro di Montpellier (Ansa)

Un Foglio internazionale

Cari laici, la laicità è il contrario dell'integralismo secolarista

La filososa Catherine Kintzler difende la scuola dalle aggressioni islamiste, ma anche l’umanesimo da un certo relativismo. Scrive la Revue des Deux Mondes (19/3) 

Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere, a cura di Giulio Meotti


 

Trent’anni dopo l’appello sul Nouvel Obs che metteva in guardia contro la pressione islamica a scuola, le dighe repubblicane, purtroppo, hanno ceduto soprattutto a scuola. Un sussulto è ancora possibile? A quali condizioni? L’appello “Lettera aperta a Lionel Jospin”, noto con il titolo “Professori, non capitoliamo!”, non si limitava a denunciare l’introduzione del momento religioso nella scuola pubblica come dichiarazione identitaria che marchia gli allievi a seconda delle loro presunte appartenenze. La analizzava collegandola all’interferenza deliberata tra scuola e società, tra scuola e ambiente familiare, religioso, sociale ed economico di ogni studente. Mi permetto di citarne un estratto: “I sostenitori della ‘nuova laicità", al rango dei quali lei (Jospin, ndr) si piazza, predicano una tolleranza indistinta. Vogliono una scuola aperta alle pressioni comunitariste, religiose, economiche, una scuola in cui ogni professore deve piegarsi all’ambiente sociale, una scuola dove ogni studente è costantemente restituito ai suoi genitori, ricondotto alla sua condizione, inchiodato alle sue ‘radici’: è una scuola della predestinazione sociale”.

 

La legge del 2004 (divieto dell’ostentazione dei simboli religiosi da parte degli allievi nelle scuole pubbliche) ha messo un blocco alla legittimazione del momento comunitario e religioso nella scuola pubblica (…). Non si sottolinea mai abbastanza il valore educativo di questa legge. Essa dà una rappresentazione concreta e quasi rituale della distinzione degli spazi: l’allievo sa che deve abbandonare l’ostentazione dei simboli religiosi entrando in un istituto scolastico pubblico, ma sa che può tornare a farlo uscendo da esso. Ciò gli fa vivere il contrario di ciò che richiederebbe un integralismo, che impone l’uniformità. Questa “diga repubblicana”, tuttavia, è stata costruita quindici anni dopo l’affaire di Creil (…). È lecito chiedersi se queste tergiversazioni non fossero legate a una mentalità generalizzata di “accomodamento” con una concezione comunitarizzata dell’associazione politica, che ha conosciuto il suo apice con il “Rapport Tuot” sulla “rifondazione delle politiche di integrazione” richiesto dall’ex primo ministro Jean-Marc Ayrault nel 2013. Incoraggiate da questa mentalità, le pressioni sulla scuola continuano a essere esercitate. Da quarant’anni a questa parte, la politica scolastica, sia quella portata avanti dalla sinistra sia quella portata avanti dalla destra, organizza l’interferenza di cui ho parlato. La scuola è costantemente intimata di adattarsi alla domanda sociale e alle esigenze del mercato, i saperi sono relativizzati come “elitari” a beneficio del “saper-essere” e delle “competenze”.

 

Gli studenti e i genitori, coperti e sostenuti dall’istituzione, si sentono autorizzati a sconfessare i professori. Sono così marginalizzati gli elementi che dovrebbero al contrario costituire il fulcro di qualsiasi scuola repubblicana emancipatrice: la liberalità del sapere, quella degli spiriti che lo producono o se ne appropriano, la costituzione di uno spazio critico dove le uniche autorità sono la ragione e l’esperienza, dove il bambino, diventando studente, è considerato per ciò che è e non come “originario di…” o “appartenente a…”. La difesa della laicità, che è il leitmotiv del discorso repubblicano, è sufficiente per combattere contro l’islam politico? Il regime laico ha dei grandi vantaggi. Deve storicamente la sua nascita all’esperienza secolare di scontro con una grande religione egemonica che controllava l’ordine politico e l’insieme degli atti civili. Oggi siamo nuovamente di fronte a delle pretese religiose di fare la legge e di imporsi in tutti i settori.

 

Opporsi a tale pretese – nella fattispecie combattere contro l’islam politico e con esso il risveglio opportunistico di altre pretese particolaristiche – è per definizione una battaglia laica (…). Fino a quando i cittadini resteranno lucidi sulla potenza liberatrice della laicità, saranno pronti a difenderla. Gli attacchi contro il Bataclan e più recentemente a Vienna provano che non è la Francia laica, la Francia delle caricature a essere il bersaglio, bensì i valori occidentali. Oltre alla République non bisogna anche difendere la cultura e la civiltà francese? È la cultura critica umanistica, e con essa il momento di appropriazione e di esportazione che bisogna curare e difendere. L’occidente ha sviluppato questo movimento inventando il dialogo filosofico, perpetuando le grandi opere dell’Antichità, procedendo all’esame razionale dei testi, fondando la scienza moderna, sviluppando i Lumi e l’universalismo politico-giuridico, abolendo la schiavitù.

 

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