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Un Foglio internazionale

“Cosa sarebbe successo se un bianco avesse defenestrato un'immigrata maliana?”

Alain Finkielkraut: “L’idea della ‘tenaglia identitaria’, il doppio pericolo dell’estrema destra e della sinistra identitaria, è falsa” scrive Le Figaro (25/4)

La domenica successiva alla sentenza della Corte di cassazione, la trasmissione ‘C politique (ment correct)’ su France 5 non ha nemmeno menzionato il fatto nella sua rassegna stampa della settimana. E nessuno dei presenti in studio ha rimediato a questa mostruosa dimenticanza. Immaginatevi cosa sarebbe successo se l’uccisore sotto effetto di droghe fosse stato bianco e avesse gridato ‘la Francia ai francesi!’ gettando dal terzo piano Sarah Halimi o un’immigrata maliana in situazione irregolare. La stampa che denuncia senza sosta le discriminazioni avrebbe invitato tutti a scendere in campo, gli stessi che raccolgono con ossequio le parole del procuratore generale della Corte di cassazione gli avrebbero chiesto solennemente dei conti, e la sinistra, oggi così indifferente e discreta, avrebbe fustigato un verdetto scellerato e invocato una grande manifestazione nazionale. Ci si mobilita senza problemi contro l’antisemitismo residuale della ‘Francia ammuffita’ di estrema destra, ma quando questo antisemitismo è praticato dalle vittime ufficiali del razzismo e della stigmatizzazione, non c’è più nessuno, quantomeno a sinistra”, commenta Alain Finkielkraut, prima di aggiungere: “L’odio moribondo è ardentemente combattuto; l’odio vivente si diffonde senza ostacoli. Ed è persino incoraggiato dall’analogia insistente tra la vecchia giudeofobia e l’islamofobia contemporanea.

 

Certo Manuel Valls non molla, resiste. Ma le due sinistre irriconciliabili, in fin dei conti, sono Valls da una parte e tutte le altre sinistre dall’altra. Perché l’islamogoscismo è un calcolo prima di essere un pensiero. Tra 700 mila ebrei e 7-8 milioni di musulmani, la scelta è rapidamente presa. Insomma, non sono gli ebrei che hanno virato a destra, come affermava Daniel Lindenberg nel suo libro ‘Rappel à l’ordre’ (…), ma è la sinistra che in maggioranza ha voltato le spalle agli ebrei e oggi domanda loro di non confondere giustizia e vendetta”. Nel 2013, Finkielkraut ha consacrato un libro alla questione dell’identità, “L’identité malheureuse”. Oggi, la sinistra razzialista dei “woke” promuove la “politica delle identità”, ma secondo il filosofo è ben diversa dall’“identità nazionale”. “L’identità nazionale è una storia, una lingua, è fatta di costumi, di paesaggi, è un patrimonio letterario e artistico, è, secondo l’espressione di Renan, ‘un’eredità di gloria e di rimpianti’ che tutti i cittadini francesi sono invitati a condividere a prescindere dalla loro origine. Per dirla con Lévinas, si può ‘appartenere alla nazione con il cuore e con lo spirito con la stessa forza con cui lo si sarebbe stati per nascita’. Come testimoniato dalla critica a trecentosessanta gradi dell’appropriazione culturale, le identità sventolate contro l’egemonia dell’uomo bianco non si condividono.

 

È la stessa parola, ma non è affatto la stessa cosa”, spiega Finkielkraut. Alcuni parlano di “tenaglia identitaria” per qualificare il doppio pericolo dell’estrema destra e della sinistra identitaria. Secondo Finkielkraut, “l’estrema destra non è morta. Si può persino dire che il movimento dei ‘gilet gialli’ e la pandemia hanno dato una nuova giovinezza al suo anti intellettualismo, al suo odio dell’élite e al suo complottismo. Dinanzi a questi fenomeni inquietanti, è d’obbligo la vigilanza. Ma l’idea di tenaglia identitaria è falsa. Essa cerca di mettere sullo stesso piano quelli che, perdendo il loro statuto di riferimento culturale sotto l’effetto dell’immigrazione massiva, si sentono ‘stranieri nel loro paese’ e quelli che, in nome della loro identità, reale o immaginata, promuovono il separatismo, se non addirittura la conquista. Per quanto mi riguarda, ho scoperto la nozione di identità nel bellissimo testo di Milan Kundera pubblicato nel 1983 dalla rivista Le Débat, ‘Un occident kidnappé. La tragédie de l’Europe centrale’. Kundera mostra che i cechi, i polacchi e gli ungheresi non si battevano solamente per la democrazia ma anche per la loro identità, indissolubilmente nazionale e europea, la loro identità, ossia la cultura di cui erano portatori. Essendo questa cultura minacciata ora in Francia, come lo era nella piccola nazione di Kundera, si può dire che la difesa dell’identità francese sta non nel ripiegamento su se stessi e nella paura dell’altro, ma in ciò che Simone Weil chiamava il patriottismo di compassione: ‘La tenerezza per una cosa bella, fragile, preziosa e peritura (…)’. Il pensiero della debolezza può accendere quello dell’amore come quello della forza, ma la purezza della fiamma è ben diversa. La compassione per la fragilità è sempre legata all’amore per la vera bellezza, perché sentiamo intensamente che alle cose veramente belle dovrebbe essere assicurata un’esistenza eterna e che così non è”.

 

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