Assa Traoré, emblema di “una sinistra che fa della razza la sua identità come l’estrema destra” (LaPresse) 

un foglio internazionale

Le due sinistre a confronto

Michel Onfray e Manuel Valls dialogano sulla democrazia, lo choc  di civiltà, l’antirazzismo. Molte divisioni, tanti punti in comune

Durante un incontro organizzato dall’Express, il filosofo Michel Onfray e l’ex primo ministro Manuel Valls hanno dibattuto sulla Francia, la sinistra e le civiltà. Alcuni anni fa, avevano battibeccato attraverso i media: “Onfray sta perdendo il senso dell’orientamento”, “Valls è un cretino”… Uno scontro rivelatore sia delle fratture ideologiche all’interno della gauche sia del livello qualitativo del dibattito nell’epoca dei “clashes”. Coincidenza editoriale, Valls e Onfray pubblicano entrambi dei libri sulla Francia. Con “Pas une goutte de sang français” (Grasset), l’ex premier racconta in un testo molto personale il suo percorso di figlio di immigrati diventato cantore della sinistra repubblicana e in seguito “uno degli uomini più odiati della sua epoca”. E’ la sua “lettera alla Francia” dopo l’esilio in Catalogna. Ne “L’Art d’être français” (Bouqins), l’intellettuale normanno scrive invece una lettera rivolta ai giovani francesi, un manuale per resistere all’epoca a sua detta nichilista in cui viviamo. 

 


L’Express – Avete un punto in comune: vi si chiede in continuazione se siete ancora di sinistra. Verdetto?

Manuel Valls – Sì, sono di sinistra. Quella di Camus. Faccio mia la sua formula un po’ disperata: “Nonostante la sinistra, nonostante me stesso, morirò a sinistra”. E’ così. E’ il mio punto di riferimento, la mia cultura. E’ il frutto di un impegno politico che è iniziato nel 1980 nel Partito socialista accanto a Michel Rocard, e che mi ha permesso di imparare a essere francese. 

Michel Onfray – Anche io mi definisco come un uomo di sinistra. Nel 1981, ho votato per Mitterrand e rivoterei per una persona capace di difendere quelle idee che sono le mie. Semplicemente, Manuel Valls dice spesso che ci sono “due sinistre irreconciliabili”. Ha ragione, ma ci si dimentica, forse facendo eco alla lettura marxista (Marx afferma che esiste un socialismo scientifico, il suo, e che tutti gli altri sono socialismi utopici), che ne esiste almeno un terzo, ossia il socialismo francese di cui non si parla mai e che sarebbe tuttavia interessante riabilitare. E’ quello di Leroux, di Cabet, di Proudhon, di Fourier. E’ il socialismo dei comunardi. E’ il mio. Non abbiamo lavorato abbastanza, e i socialisti in particolare, sul corpus del loro passato. Ecco ciò che bisognerebbe approfondire per far rinascere il socialismo. 

MV – Ho annotato una frase terribile di Michel Onfray: “Alla sinistra manca una Norimberga che le permetterebbe di ripartire su basi sane”. Rifiuto questo riferimento a Norimberga, ma capisco ciò che vuole dire. La sinistra francese ha vissuto degli scismi permanenti. Eppure, alla fine del Diciannovesimo secolo, gli eventi storici – la Comune, l’affaire Dreyfus – provocano degli incontri incredibili. Basta leggere lo scambio di lettere tra Georges Clemenceau e Louise Michel, in quel momento deportata in Nuova Caledonia. Tra quell’uomo e quella donna, così differenti ma che si battono per l’amnistia dei comunardi, il rispetto, l’affetto e il dialogo sono possibili. Zola, Péguy, Jaurès e anche Clemenceau difendono assieme l’onore di Dreyfus. La République esce rafforzata da quegli scontri. 

MO – Una Norimberga permetterebbe di guardare la storia della sinistra senza paraocchi, dalla Rivoluzione francese a oggi, per pensare le cose al di là dei non detti. Tengo a ricordare che nell’“Histoire de la Révolution française” di Louis Blanc, si parla di forni crematori… Un chimico repubblicano chiamato Proust lavorava a un gas che fosse in grado di sterminare i vandeani. Per non parlare del funzionamento del tribunale rivoluzionario… Perché Robespierre manda gli “Enragés”, gli Hébertisti e i Girondini alla ghigliottina? E non dimentichiamoci del Partito comunista francese, il patto Molotov-Ribbentrop…Nessuno ne parla: per due anni, il Pcf ha obbedito al Partito comunista sovietico, che era impegnato in una politica di collaborazione con Adolf Hitler. La rete televisiva “Histoire” diffonde un numero incredibile di trasmissioni su Hitler e il nazismo, ma non nella stessa proporzione sui gulag! Una parola anche sul maoismo. Com’è possibile che Alain de Benoist sia un appestato mentre quelli che sono stati maoisti e trotzkysti, che hanno difeso la Rivoluzione culturale e i suoi milioni di morti, se non addirittura Pol Pot, siano ancora invitati dappertutto? Si ritiene che Alain Badiou sia un personaggio frequentabile, bene così, io non sono per l’esclusione! Ma bisogna chiedersi per quale motivo, quando è fatto in nome della sinistra, si può decapitare, massacrare, ghigliottinare, perseguitare, vietare, imprigionare…

MV – Siamo veramente in disaccordo io e Michel Onfray, ma naturalmente non metto in discussione il diritto di essere e il suo dirsi di sinistra. E dibattiamo! Ecco qual è il dramma della sinistra, che spiega ampiamente lo stato in cui versa oggi: non dibatte più, scomunica. Non si possono escludere dalla sinistra coloro che affermano il loro attaccamento alla République, alla laicità e hanno una posizione di fermezza nei confronti dell’islam politico. Eppure, è proprio ciò che è accaduto a Elisabeth Badinter, a Caroline Fourest e a me. “Manuel Valls, lei è di sinistra?”. Non ricordo più quante volte ho dovuto rispondere a questa domanda. Mi viene in mente che Laurent Joffrin, allora direttore di Libération o dell’Obs, mi fece questa domanda con la matita tra i denti, davanti alla sua redazione, che aveva un ghigno beffardo. Questa è propria una domanda di sinistra! E ogni volta, dietro la questione, si sente spuntare il processo per tradimento. 

 

 

L’Express – Entrambi siete molto severi verso la nuova sinistra che definite “razzialista”.  Nei vostri libri c’è una critica virulenta di Assa Traoré…

MV – Nel libro di Michel Onfray, ci sono delle pagine sull’islamogoscismo che condivido dalla prima all’ultima parola. Condividiamo la stessa visione dei fatti e dei personaggi che illustrano questa deriva. Entrambi evochiamo la manifestazione di giugno 2020 davanti al palazzo di giustizia di Parigi, convocata in poche ore grazie ai social network dopo la morte di George Floyd. Un messaggio, anche la polizia francese è una polizia razzista che non esita ad uccidere. Un personaggio, Assa Traoré – di cui posso capire il dolore personale per la morte del fratello – eretta a “nuova Angela Davis”, la procuratrice delle “violenze della polizia” e della Francia “stato razzista”. L’emblema di una rivolta in cammino sulla prima pagina del Monde, una tesi sviluppata da Mediapart e soprattutto dalla stampa americana: New York Times, Washington Post… E’ lì che comincia la mistificazione. Assa Traoré è diventata l’egeria mediatica di una sinistra razzialista. Mi riferisco a questa sinistra quando parlo di due sinistre irriconciliabili. Una sinistra che, per un incredibile rovesciamo dei valori, fa della razza la sua identità come l’estrema destra. Il colore della pelle è l’unico indicatore. La lotta delle razze sostituisce la lotta di classe. Cercano di imporci la “cancel culture” americana, forte dell’influenza delle sue università, della sua stampa e dei suoi social network, dei concetti carichi di significato, “privilegio bianco”, “intersezionalità”, una temibile ideologia benpensante e un puritanesimo viscerale – dimenticando i danni che ha provocato negli Stati Uniti. Una sinistra disorientata che, come spiega Michel Onfray, va alla ricerca delle sue origini tra Jean-Paul Sartre e Edwy Plenel (direttore del giornale online Mediapart, ndr), alimenta questa radicalità. “Pour les musulmans” è tra l’altro un libro importante per capire ciò che sta accadendo. Al suo interno, Plenel presenta i musulmani come i nuovi dannati della terra, vittime del capitalismo e dell’ordine costituito. Nell’autunno del 2017, si è spinto fino ad affermare che Charlie Hebdo, Caroline Fourest e il sottoscritto conducevamo una “guerra contro i musulmani”, designandoci come bersagli. Se contestate questa tesi, siete razzisti. Se replicate, venite trattati come islamofobi, parola inventata per mettere alla gogna Salman Rushdie. Mi sono ritrovato solo. 

MO – Ecco un esempio di ciò che chiamo il meccanismo da tribunale di Norimberga della sinistra! Ciò che rende possibile l’islamogoscismo di un Edwy Plenel, di una Assa Traoré o di un Jean-Luc Mélenchon (leader della France insoumise, partito della sinistra radicale francese, ndr) è la certezza di trovarsi dal lato del bene dal 1789, e chiunque non stia dalla loro parte viene fustigato come fascista. 

 

 

L’Express – Michel Onfray, lei è un sostenitore della tesi dello “scontro di civiltà”?

MO – Sì perché la realtà dà ragione a Samuel Huntington. Se leggete “The clash of civilizations” con un quarto di secolo di distanza, vi renderete conto che talvolta ha torto nei dettagli, ma ha ragione sulla tesi di una tettonica a placche di civiltà che si oppongono (…). Huntington afferma che i blocchi di civiltà sono anzitutto dei blocchi di spiritualità – l’induismo in India, l’animismo in Africa, il confucianesimo in Cina, il giudeo-cristianesimo in Europa, l’umma dei musulmani, anche se è deterritorializzata. Esiste un islam in Arabia Saudita che non è l’islam dell’Iran, della Turchia o dell’Africa del nord. E’ ciò che rende difficile la possibilità per questa umma di costituire una civiltà planetaria. La civiltà islamica ha un progetto concorrente alla civiltà giudeo-cristiana europea. Lavora alla disgregazione della nostra area culturale con l’aiuto degli islamogoscisti. Ma a prescindere da ciò che farà l’islam nello spazio europeo in termini di conquista, anch’esso non resisterà al progetto di transumanesimo mondiale. 

MV – Che ci sia oggi uno scontro tra culture nessuno può negarlo. L’islam politico vuole destabilizzare le nostre società. Dobbiamo sradicare l’islamismo dai nostri paesi. E forzare l’islam alle stesse evoluzioni che hanno conosciuto le altre religioni. Ma non dimentichiamoci ciò che ci ha dato l’alleanza incredibile tra la democrazia, il rispetto dei diritti dell’uomo, l’economia di mercato e la cultura. L’Europa è tutto questo, una civiltà!

 

(Traduzione di Mauro Zanon)

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