Un Foglio internazionale
La neolingua dell'ideologia
Si sta imponendo un linguaggio degradante e decadente, fatto per confondere e fuorviare la gente. Le parole al servizio del potere. Andrew Sullivan lo spiega con Orwell
"Di tanto in tanto, rileggo il grande classico di George Orwell, ‘La politica e la lingua inglese”’, scrive Andrew Sullivan nella sua newsletter settimanale, The Weekly Dish. “Resta la migliore guida alla scrittura saggistica, e solitamente scatena in me un’ondata di auto flagellazione più acuta del solito. Il testo dimostra che la lingua è uno strumento politico, che essere chiari è difficile ma vitale, e blaterare è un esercizio pigro e pericoloso. E’ pericoloso perché il rapporto tra le nostre parole e la politica va in entrambe le direzioni. ‘(La lingua inglese) può diventare brutta e inaccurata perché i nostri pensieri sono sciocchi, ma la sciatteria della nostra lingua rende più facile avere dei pensieri sciocchi’, scriveva Orwell. Noi creiamo la lingua e la lingua crea noi. Se la lingua è sbagliata, lo siamo anche noi.
Alla fine del saggio, Orwell elenca alcune regole per continuare a scrivere in modo chiaro, accessibile e significativo:
I. Mai usare una metafora, similitudine o un’altra figura retorica che sei abituato a leggere altrove.
II. Mai usare una parola lunga quando puoi usarne una corta.
III. Se puoi tagliare una parola, fallo sempre.
IV. Mai usare la voce passiva quando puoi usare quella attiva.
V. Mai usare un’espressione straniera, un termine scientifico o specialistico se riesci a pensare a una parola simile usata nell’inglese di tutti i giorni.
VI. Rompi ognuna di queste regole prima di dire qualcosa di orrendo.
Originalità, semplicità, brevità, verbi attivi e un linguaggio colloquiale: sembra semplice ma è molto, molto difficile. In un certo senso, è un sollievo ricordare che Orwell pensava che le cose andassero male anche nella sua epoca; ma di questi tempi se leggi i grandi giornali ti sembrerà tutto molto familiare. Le virtù di Orwell vengono capovolte: è tutto una ripetizione, complessità, verbi passivi (…) Stavo giusto leggendo che l’American Medical Association è entrata nel panico quando il suo vice direttore ha sostenuto in un podcast che i fattori socio-economici sono più importanti del ‘razzismo strutturale’ per spiegare le differenze accademiche tra gli studenti. Come ti puoi immaginare, avere messo in dubbio questa ortodossia è costato il posto al vice direttore e al direttore. (…) Ma sono stato particolarmente colpito dal seguente comunicato scritto da un gruppo chiamato ‘Istituto per l’antirazzismo nella medicina’. Eccolo qui: ‘Il podcast e il messaggio promozionale sono molto problematici per i membri minoritari della comunità medica. Il razzismo è stato creato con l’intenzione e dunque deve essere sconfitto con l’intenzione… I messaggi che implicano che il razzismo sia inesistente e dunque non problematico nel campo della medicina sono dannosi sia per i medici minoritari e sottorappresentati sia per le comunità marginalizzate nel nostro paese’. Fermatevi a osservare la scelta delle parole”, dice Sullivan, secondo cui questo paragrafo viola tutte le regole di Orwell. E’ lungo, incomprensibile, pieno di sostantivi e aggettivi e viene tutto appesantito dall’uso della voce passiva. L’obiettivo è politico, ovviamente. Più ripeti parole del tipo una “propria istruzione antirazzista”, “razzismo sistemico” o “inequità razziale”, e più entrano a fare parte del linguaggio di tutti i giorni, rendendoti meno incline a chiedere quale sia il loro significato".
“Di recente hanno chiesto a Ibram X. Kendi (scrittore e paladino di Black Lives Matter, ndt) di definire il razzismo – qualcosa a cui avrà pensato, almeno così ti aspetteresti. Questa è stata la riposta di Kendi: ‘Il razzismo è un insieme di politiche razziste che portano alle diseguaglianze razziali che vengono a loro volta sostenute da idee razziste’. Spesso utilizza queste formule in stile Yoda. ‘Non esiste una politica non razzista o neutrale al razzismo (…) Se la discriminazione crea equità, allora è antirazzista. Se la discriminazione crea iniquità, allora è razzista’. Ecco cosa diceva Orwell di quelli come Kendi: ‘I suoni giusti escono dalla sua laringe, ma il suo cervello non è coinvolto come se fosse lui stesso a scegliere le parole. Se è abituato a ripetere lo stesso discorso, potrebbe ritrovarsi quasi in uno stato di incoscienza, come uno che ripete le preghiere in chiesa. E questa incoscienza, se non è indispensabile, potrebbe incoraggiare il conformismo politico’”.
Sullivan si sofferma sulla miriade di nuovi termini ed espressioni create e imposte ai giornalisti dagli attivisti transgender. “Il senso di questo ‘nuovo alfabeto’ è quello di trasformarlo nella nostra lingua pubblica, per costringere altre persone a usare queste parole inventate e trasformarle nel nuovo mainstream. Questa è la versione contemporanea di ciò che Orwell chiamava la ‘neolingua’ nel romanzo 1984: un vocabolario creato per rendere alcune idee letteralmente impensabili perché la lingua woke ha vietato il loro utilizzo. Ripeti le parole ‘razzismo strutturale’ e ‘supremazia bianca’ e la gente penserà che queste cose esistono senza dubbio”.
Secondo Sullivan l’unica cosa che resta da fare ai cittadini è chiedere agli inventori della neolingua: di cosa state parlando? Quando qualcuno chiede scusa per il “dolore terribile” che sta causando a qualche comunità, chiedetegli di dare un esempio concreto di quel presunto “dolore”.
Quando qualcuno parla di “razzismo strutturale” chiedetegli: a quali strutture ti stai riferendo? Come funzionano? Dammi esempi concreti. “Sì, un po’ di senso dell’umorismo è indispensabile per combattere contro questa deriva – conclude Sullivan – non siamo costretti a parlare questa lingua degradante e decadente, fatta per confondere e fuorviare la gente. E più viene usata dall’élite più gli americani normali, che ancora vivono nel mondo reale, si sentono alienati dai loro padroni, allargando la divisione sociale. Salvare il nostro discorso pubblico da questi gangli ideologici migliorerà la nostra scrittura. Aiuterà tutti a pensare in modo più chiaro. E potrebbe ricreare una conversazione realmente nazionale. Nell’inglese di tutti i giorni, la lingua della democrazia”.
(traduzione di Gregorio Sorgi)
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