un foglio internazionale
Nelle università è il momento del dissenso contro il transgender
In Inghilterra ci sono stati troppi dissidenti cacciati e messi a tacere. Si comincia a capire (forse) che cosa c’è in gioco
Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere a cura di Giulio Meotti
L’Economist racconta la storia di Jo Phoenix, professoressa di criminologia alla Open University, che è stata messa al bando dagli studenti dell’università di Essex, dov’era stata invitata per tenere un discorso. Gli studenti hanno protestato contro di lei, accusandola di essere “transfoba”, e l’università si è arresa, revocandole l’invito. Questa è una storia familiare di questi tempi. La grande differenza, spiega l’Economist, è che l’università di Essex ha chiesto all’avvocato Akua Reindorf di avviare un’indagine. Dopo diciotto mesi, l’avvocato ha scritto un rapporto in cui accusa l’università di avere violato il diritto alla libertà di espressione della docente.
Il rapporto di Reindorf rappresenta un ostacolo al “dogma transgender” – così lo chiama l’Economist – che è nato nei campus americani e si è diffuso in tutte le università del mondo anglo-sassone. Questo dogma ritiene che l’identità di genere – l’idea soggettiva di essere uomo o donna – abbia la stessa importanza del sesso biologico, che è un fattore oggettivo. La posizione contraria, che un tempo era considerata mainstream, sostiene che il sesso di nascita non può essere cambiato.
Secondo l’Economist le tesi dei due schieramenti sono “complesse” e “opinabili”, ma molti attivisti pensano che il dibattito sia una forma d’odio che dunque va respinta a tutti i costi. In alcuni casi, gli accademici che si sono opposti “all’ideologia del gender” hanno perso il loro posto di lavoro e sono stati vittime di abusi. Tuttavia, scrive l’Economist, gli effetti più preoccupanti sono invisibili. Un numero imprecisato di dipendenti universitari hanno paura di esprimersi perché temono di danneggiare la propria carriera e di essere isolati dai colleghi. Il rapporto sull’università di Essex descrive una “cultura della paura” per chiunque non crede alle teorie del gender.
Il rapporto di Reindorf, scrive l’Economist, darà voce ai docenti che non credono a questa ideologia. In effetti, molti segnali indicano che la resistenza sta crescendo a dismisura, specialmente nelle università. Questa battaglia mette insieme i conservatori e le femministe di sinistra, la cui priorità è mantenere gli spazi riservati alle donne. Nel Regno Unito la maggior parte delle docenti gender-critiche sono donne atee, di sinistra e femministe. Lo stesso succede in America. L’Economist si domanda perché un’ideologia che non contempla il dissenso si sia diffusa proprio nelle università, il luogo riservato al dibattito e alla discussione. Secondo la rivista, le due ragioni sono il potere enorme dei gruppi pro-trans e l’affinità tra la battaglia per i diritti dei trans e quella per i diritti dei gay. Tuttavia, la resistenza verso questa nuova ideologia sta crescendo proprio tra gli studenti, anche se molti di loro hanno ancora paura di esprimersi in pubblico. “Le università guarderanno attentamente a come si sviluppa il dibattito al di fuori dei campus, specialmente nei tribunali”, scrive l’Economist. I pericoli alla libertà di espressione stanno diventando sempre più evidenti, e molti giudici si sono espressi su casi di questo tipo. “Se Maya Forstater, una ricercatrice britannica che ha perso il posto di lavoro a causa delle sue vedute gender-critiche, vince il processo d’appello contro il tribunale del lavoro, che aveva sancito la legittimità del suo licenziamento, le università potrebbero diventare più inclini a difendere i loro impiegati gender-critici”.
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