Un Foglio internazionale
Il mercato etico è solo un bluff
Le corporation americane hanno trovato il modo per fare soldi in nome dei “valori”
Vivek Ramaswamy, l’ex ceo di Roivant Sciences, l’azienda farmaceutica che lo ha reso ricco e da cui si è dimesso lo scorso gennaio, è sempre stato un predestinato. Ha imparato le basi della giurisprudenza quando ancora era un bambino perché il padre faceva un corso notturno di legge. Vivek lo accompagnava per non farlo tornare da solo in macchina – a scuola era l’unico bambino a sapere chi fosse Antonin Scalia. Così inizia l’intervista-ritratto di Tunku Varadarajan del Wall Street Journal a Vivek Ramaswamy, che ha scritto il libro “Woke, Inc” (verrà pubblicato ad agosto) che critica “la truffa della giustizia sociale da parte delle aziende americane”. “Ramaswamy di recente ha guardato il film ‘Spotlight’ – scrive il giornalista – che racconta come i reporter del Boston Globe hanno messo in luce la cattiva condotta (in particolare gli abusi sessuali) dei preti cattolici nei primi anni Duemila.
“Il mio obiettivo in ‘Woke, Inc.’ è fare lo stesso nei confronti della 'chiesa del wokeism’”, dice Ramaswamy. Lui descrive il wokeism come un credo che si è sviluppato in seguito al "vuoto morale" creatosi dalla scomparsa della fede, del patriottismo e "dell’identità che abbiamo derivato dal lavoro sodo". Ramaswamy sostiene che la "diversità", "l’equità", "l’inclusione" e la "sostenibilità" hanno sostituito questi valori. "Le nostre insicurezze morali collettive – spiega Ramaswamy – ci hanno reso vulnerabili alle lusinghe e alla propaganda delle nuove élite politiche e finanziarie, che sono unite da ‘un matrimonio di convenienza, dove i contraenti si disprezzano a vicenda’. Ma ognuno riesce a ottenere da questo ‘scambio’ qualcosa che ‘non avrebbe potuto ottenere da solo’”.
Secondo Ramaswamy, l’unione tra il capitalismo e l’ideologia woke si è saldata in seguito alla crisi finanziaria del 2008. All’epoca la finanza aveva una pessima reputazione, e i banchieri venivano visti come i cattivi. Ma la nascita del wokeism è stata una mano santa per la finanza. “Il Wokeism è stata la salvezza per le persone al vertice delle grandi banche. Loro hanno pensato: ‘Questa roba è facile’. Hanno lodato la diversità e l’inclusione, nominato direttori donne e provenienti dalle minoranze, e farneticato sull’impatto razziale del cambiamento climatico”. Secondo Ramaswamy, “un mucchio di grande banche si sono unite a un mucchio di millennial, hanno fatto nascere il capitalismo woke e hanno adottato Occupy Wall Street”. “Oggi le grandi aziende fanno soldi criticando loro stesse”. Ramaswamy paragona l’ideologia woke alla Chiesa. Davos è il “Vaticano dei woke”; Klaus Schwab, il fondatore del World Economic Forum, ne è il santo patrono; e i ceo delle grandi aziende sono gli arcivescovi e i cardinali. L’abbraccio tra capitalismo e wokeism è stato replicato a sua volta dalla Silicon Valley. Negli ultimi anni, spiega Ramaswamy, Big Tech ha censurato i contenuti che non andavano bene al movimento woke. In compenso, la sinistra ha chiuso un occhio e lasciato intatto il suo monopolio.
Il resto del capitalismo americano si è adeguato a questo copione. “Big Pharma ha avuto un’illuminazione su come gestire i rapporti con la sinistra – dice Ramaswamy – Non poteva batterla, quindi ha fatto un’alleanza. Anziché vincere il dibattito sulla prezzatura dei medicinali, ha deciso di cambiare completamente argomento. Chi ha bisogno di vincere un dibattito quando puoi semplicemente evitare di affrontarlo? Per questo i ceo blaterano di argomenti come la giustizia razziale e l’ambientalismo, e staccano assegni multimilionari per combattere il cambiamento climatico, mentre aumentano i prezzi dei medicinali a livelli senza precedenti”. Anche la Coca-Cola segue lo stesso spartito. L’azienda preferisce intervenire sui diritti di voto in Georgia piuttosto che riconoscere il proprio ruolo nell’epidemia nazionale del diabete e dell’obesità, che è particolarmente diffusa tra la comunità nera che l’azienda sostiene di avere a cuore. Per la Nike è molto più facile staccare assegni per Black Lives Matter e condannare il passato schiavista dell’America, spiega Ramaswamy, piuttosto che fare i conti con i metodi schiavisti che impiega tuttora. (…)
Alla fine dell’intervista, Ramaswamy offre alcuni consigli pratici su come iniziare una controffensiva nei confronti del wokeism. Primo, consiglia di aggiungere “il credo politico” al Titolo VII del Civil Rights Act del 1964, che stabilisce le regole della discriminazione sul posto di lavoro. Il principio è che se non puoi discriminare qualcuno perché è nero, gay o musulmano, allora non dovresti discriminarlo nemmeno per il punto di vista politico che esprime. Un’altra mossa legislativa sarebbe la modifica della Section 230 del Communications Decency Act, che consente alle piattaforme social di moderare i contenuti dei partiti terzi specificando allo stesso tempo che i social non devono essere trattati come editori. Questo è il cavillo che consente a Twitter e Facebook di mettere al bando utenti sgraditi come Donald Trump senza temere un procedimento legale. Questa forma di immunità garantita dallo stato non può essere incondizionata. “Se vuoi approfittare della Section 230, non c’è problema – spiega Ramaswamy – Ma allora dovresti conformarti agli stessi vincoli del governo federale, inclusa la Costituzione americana e il Primo emendamento”. Lui vorrebbe anche estendere la protezione religiosa offerta dal Titolo VII alle vittime del wokeism. Questa norma vieta la discriminazione contro un impiegato su basi religiose. Sarebbe lecito aspettarsi che “se tu sei il datore di lavoro non puoi imporre la tua religione ai tuoi impiegati”.
A questo punto, Ramaswamy insiste che il wokeism è una religione e va trattata di conseguenza. “Quest’idea sta diventando sempre più plausibile – conclude – Forse potrebbe essere messa alla prova in tribunale”.
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