Un Foglio internazionale
La lezione di Churchill per l'impero americano entrato in un rapido declino
Niall Ferguson spiega che gli Stati Uniti hanno problemi strutturali importanti. La caduta di Kabul li ha soltanto fatti detonare, scrive l’Economist
Le moltitudini rimasero immerse nella loro ignoranza… e i loro leader, cercando i loro voti, non hanno nemmeno provato a fargli aprire gli occhi”. Così Winston Churchill parlò dei vincitori della Prima guerra mondiale nel libro ‘The Gathering Storm’”. Questo è l’inizio dell’analisi dello storico Niall Ferguson sull’Economist. Secondo lui le parole di Churchill si applicano alla pessima gestione della crisi afghana da parte del presidente americano Joe Biden. Nei primi anni Venti la Gran Bretagna, scrive Ferguson, era reduce da una guerra, una crisi finanziaria e una terribile pandemia, l’influenza spagnola. Il debito era fuori controllo, e una parte crescente della popolazione, e dell’intellighenzia, provava ammirazione per i fascisti e i comunisti.
“L’esperienza della Gran Bretagna ci aiuta a capire il futuro del potere americano?”, si domanda Ferguson spiegando che ci sono molte affinità tra l’America di oggi e la Gran Bretagna nel periodo tra le due guerre. Negli ultimi anni le teorie sul “declinismo” americano sono diventate quasi un cliché. Ma l’esperienza britannica tra il 1930 e il 1950 indica che possono esserci dei destini peggiori di un lento e graduale declino. Partiamo dal debito. L’Inghilterra degli anni Venti subì un periodo prolungato di deflazione, che costò molti posti di lavoro e fece scendere i tassi di interesse, abbassando il costo del debito. Probabilmente succederà il contrario in America, dove i tassi di interesse dovrebbero tornare a essere positivi nel 2027, e salire al 2,5 per cento entro il 2050, aumentando il costo del debito e diminuendo la capacità di spesa in altre aree, come la difesa. Un secolo fa la Gran Bretagna non poteva più permettersi un impero che si estendeva da Vancouver a Fiji.
Oggi la maggioranza degli americani non contempla la possibilità di andare in guerra contro un regime autoritario e, di conseguenza, la spesa militare statunitense dovrebbe calare nei prossimi dieci anni. Un altro punto in comune tra l’America e la Gran Bretagna è il declino relativo. Nel 1872 il pil britannico venne superato dall’America, nel 1898 dalla Germania e nel 1930 dall’Unione sovietica. Oggi l’America affronta lo stesso problema con la Cina; il divario tra i due paesi si sta assottigliando sempre di più e, secondo le stime, nel 2026 il pil cinese sarà l’89 per cento di quello statunitense. Tuttavia, questo non si è tradotto in una volontà diffusa da parte dei cittadini americani di sfidare la minaccia militare cinese. Se Pechino dovesse invadere Taiwan nei prossimi anni, la maggior parte degli americani se ne starà a guardare. Come i britannici degli anni Venti, anche loro si sono disinnamorati dell’impero – che non possiede colonie ma esercita un dominio internazionale – e questo naturalmente non può che fare piacere ai cinesi. Nonostante questo, l’impero americano continua a esistere nei fatti dato che l’esercito militare è presente in tutto il mondo. La disgregazione dell’impero non sarà un processo pacifico; questa è la lezione a cui gli americani devono prestare maggiore attenzione. Il disimpegno delle forze militari è un’ammissione di sconfitta, ed è un invito alle potenze straniere a riempire quel vuoto, come mostra il ruolo preponderante della Russia in Ucraina e in Siria negli anni di Obama.
La caduta di Saigon ha dato forza all’Unione sovietica per creare danni altrove, in Africa, nell’America Centrale e in Afghanistan. Lo stesso, sostiene Ferguson, succederà dopo la caduta di Kabul. Nel libro “The Gathering Storm”, Churchill non sosteneva che il declino dell’impero britannico fosse un processo inevitabile. Lo statista britannico credeva che un’azione tempestiva negli anni Trenta avrebbe potuto evitare la Seconda guerra mondiale. Allo stesso modo, l’ascesa della Cina non è ineluttabile: la forza lavoro si sta rimpiccolendo, la popolazione sta invecchiando. Eppure non è difficile vedere una sequenza di eventi che porta a un’altra guerra evitabile con epicentro a Taiwan. A questo punto, gli americani dovrebbero scegliere se combattere una guerra lunga e dura o arrendersi, come è successo a Suez nel 1956. Churchill ha concluso il libro con uno dei suoi tanti aforismi: “I fatti sono meglio dei sogni”. “Negli ultimi anni i leader americani sono stati ossessionati dai sogni, dalla fantasia del ‘dominio totale’ partorita dai neocon con George W. Bush al ‘carnage’ americano teorizzato da Donald Trump (…) Ma è giunta l’ora di affrontare un fatto che Churchill aveva capito fin troppo bene: la fine degli imperi è raramente, se mai, un processo indolore”. (Traduzione di Gregorio Sorgi)
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