Un Foglio internazionale
Se sei woke è dura difendere le donne afghane
Le Point contro la “sbobba intellettuale” che considera l’occidente un sistema oppressivo invisibile
Spesso le ideologie mortifere si riconoscono dagli sforzi che fanno fare ai cervelli dei loro adepti per distoglierle dalla più evidente delle realtà” scrive Peggy Sastre sul Point del 20 agosto. “Questa cosa ha la sua utilità sociale – si sa: anche pronunciare frasi che infrangono il buonsenso è vettore di attenzione, di statuto, di gloria e delle corrispondenti risorse – ma sicuramente ha i suoi pericoli. Il pericolo di base, che non per questo è il più innocuo, è quello dell’esaurimento nervoso. Le vostre credenze stravaganti richiedono così tanta energia che finiscono per bruciarvi il cervello da cima a fondo e rendervi incapaci anche dei compiti cognitivi più elementari. Per dirlo in parole più semplici, diventate completamente stupidi.
Un esempio di questa realtà, lungi dall’essere incoraggiante, ci è stato dato pochi giorni fa dal ricercatore e giornalista americano Marc Lamont Hill. Nel suo intervento televisivo del 17 agosto su Black News Channel, canale di informazione destinato alla popolazione afro-americana, colui che tra le altre cose è professore di Scienze mediatiche all’Università di Temple, a Filadelfia, si è soffermato sul cambio di look della sua collega Clarissa Ward, corrispondente internazionale della Cnn inviata a Kabul. Di fatto, da quando la capitale afghana è stata conquistata dai talebani, la Ward appare coperta con una lunga tunica nera e un velo che nasconde i suoi capelli e il suo collo. Un cervello che funziona normalmente non avrebbe molte cose da dire – in un paese finito nelle mani di fondamentalisti musulmani sanguinari, se una giornalista donna, anche se straniera, desidera continuare a lavorare, o meglio vivere, le conviene piegarsi a un minimo di obblighi oscurantisti. Ma il cervello di Marc Lamont Hill non funziona più normalmente, logorato da decenni di software indigenista e postcoloniale. Quel software che si focalizza, fino a inventarseli, su tutti i modi in cui la potenza di dominazione sociale e politica degli eredi del colonialismo continua a resistere nonostante il crollo, da un bel po’ di tempo, degli imperi. Un software composto dall’ormai celebre wokismo, sbobba intellettuale che considera i paesi occidentali dei vasti sistemi oppressivi invisibili tranne a quelli che opprimono o che sono stati formati con metodi ‘critici’ che non hanno nulla da invidiare all’arte divinatoria della Pizia (da qui il ‘woke’, colui che sta all’erta, che vede ciò che si trama). Cosa vede dunque Marc Lamont Hill? Che se Clarissa Ward si è coperta dalla testa ai piedi da quando i talebani hanno ripreso il potere in Afghanistan è perché è la vettrice di un perfido trucco.
Secondo Lamont Hill, questo nuovo abbigliamento traduce ‘la maniera in cui l’hijab è utilizzato come strumento politico, anzitutto per demonizzare l’islam, per farlo passare come qualcosa di più oppressivo e repressivo rispetto a qualsiasi altra religione o cultura nel mondo’, e in seguito per ‘giustificare l’imperialismo americano’. Il giornalista continua il suo intervento invitando il suo pubblico a non abboccare a questa ‘totale menzogna’. A non cadere nell’inganno ‘dell’hijab e dei burqa’, una ‘messa in scena’ che nasconde soltanto ‘il buon vecchio colonialismo’ che si affaccenda dietro le quinte. Poche ore prima, un altro esempio di stupidità woke è stato dato dalla modella e attrice britannica Lily Cole. In occasione dell’uscita del suo libro ‘Who Cares Wins’, presentato come un catalogo di soluzioni ‘ispiranti’ per un ‘cambiamento globale duraturo’, si è mostrata in burqa sul suo account Instagram. Con un post che voleva ‘celebrare la diversità a tutti i livelli – biodiversità; diversità culturale; diversità di pensiero; diversità di voce; diversità di idee’. In risposta alle polemiche suscitate dalla sua pubblicazione, Lily Cole ha cancellato il post e si è detta dispiaciuta per il suo carattere estremamente ‘inopportuno’. Rischiando di essere in preda alle vertigini e di perdere qualche neurone, si può immaginare ciò che Marc Lamont Hill avrebbe da dire a proposito. Ma forse è meglio ricordarsi dell’ammonimento di Nietzsche: ‘Quando guardi a lungo nell’abisso, anche l’abisso ti guarda dentro’. Una massima che corrisponde perfettamente alla nostra epoca”.
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