Un Foglio internazionale
Il fiasco afghano non deve essere il pretesto per sotterrare i nostri valori
L’universalismo non è un male. L’occidente non è una vergogna. E il diritto delle donne non è neocolonialismo
"E se fosse l’unico risultato positivo di questi vent’anni di presenza americana e internazionale in Afghanistan?”, si chiede Valérie Toranian. “Bambine nelle scuole, donne diventate giudici, professoresse, deputate, giornaliste. Donne attive nella creazione di imprese, che studiano l’economia, le nuove tecnologie. Donne che hanno diritto di parola. Donne curate quando sono malate. Ci si dimentica come avrebbe potuto essere la loro esistenza se il regime talebano fosse rimasto alla guida del paese. La loro scomparsa dalla vita pubblica, ma anche dalle statistiche, perché la sharia talebana non solo proscriveva l’accesso all’istruzione, ma rendeva anche l’accesso alle cure praticamente impossibile. Se fosse l’unico risultato positivo, vent’anni di tregua prima del ritorno del Medioevo, non bisognerebbe forse riconoscerne il valore? E persino, osiamo dirlo, esserne fieri? Queste donne vivono ormai nella paura, sono arrabbiate. Per essere state tradite, abbandonate, lasciate al loro destino dalla comunità internazionale. Lasciate in balìa dei barbari. Quelli che, come Jean-Yves Le Drian (ministro degli Esteri francese, ndr), osano parlare seriamente di un nuovo talebanismo inclusivo e moderato dovrebbero chiedere cosa ne pensano le adolescenti che vengono costrette a sposarsi con i combattenti come ‘ricompensa’ per la loro partecipazione al jihad… Queste donne rimpiangono la loro parentesi occidentale? Alcuni commentatori non esitano a dire che ‘sarebbe stato meglio per loro’ non aver mai assaggiato il frutto proibito (…)".
"Da quindici giorni a questa parte, il mondo intero fustiga il comportamento degli americani, il caos generato da questa partenza precipitata che lascia una popolazione in preda alla disperazione, terrorizzata dal ritorno della dittatura islamista. Decine di migliaia di afghani tremano all’idea che vengano trovate le loro coordinate, all’idea di essere denunciati. Cancellano le loro tracce sui social network. Ci si indigna dello scandalo di questi mille miliardi di dollari americani spesi invano, troppo spesso spariti nelle tasche di una classe politica corrotta. Si critica un esecutivo fantoccio, un esercito inconsistente, demotivato, non pagato. Come non essere d’accordo? Si parla di nuovo ordine mondiale, dell’impossibilità di condurre ‘guerre senza fine’. Di questa follia che consiste nell’imporre i nostri valori a popolazioni ‘che non ne vogliono sapere’. Hubert Védrine scrive: ‘L’Afghanistan è la tomba del diritto di ingerenza’. La fine tragica di una ‘visione delirante’ dell’occidente che pensava di regnare sul mondo e imporre i diritti dell’uomo. Come se non avessimo imparato le lezioni della decolonizzazione. Abbiamo mentito a questi popoli, perché sempre i grandi princìpi vengono meno dinanzi alla realpolitik. ‘E’ l’immoralismo del moralismo’, conclude. Tutto ciò è giusto. Ma è sufficiente? Il pericolo oggi sta nell’entrare nella nuova èra delle relazioni internazionali all’insegna del ‘si salvi chi può e ognuno per conto proprio’. Nella quale lasceremo i nuovi entranti come la Cina, la Turchia e la Russia espandersi e ridistribuirsi le carte tra loro, ignorando l’Europa e disprezzando gli Stati Uniti incapaci di sostenere i loro alleati. Abbiamo lasciato cadere i curdi dinanzi a Daesh. Lasciamo cadere il Karabakh e l’Armenia dinanzi all’aggressione turco-islamista. Domani lasceremo i taiwanesi farsi massacrare da Pechino? Certo, tutto ciò si verifica lontano da casa nostra. Certo, dalle presidenze Obama e Trump, gli Stati Uniti non vogliono più essere i gendarmi del mondo. Ma tutti questi conflitti in oriente ci riguardano in prima linea, noi, europei. L’instabilità va accelerandosi, l’immigrazione spaventa i governi. Forte delle sue nuove vittorie, la piovra islamista è al suo zenith. La spirale Daesh, al Qaida e talebani rischia di fare nuove vittime. La guerra contro l’occidente è più che mai dichiarata. E continuiamo a perdere battaglie. Niente obbligava gli americani a un tale ritiro, a una débâcle così catastrofica. Un altro scenario poteva essere immaginato: il mantenimento di una base aerea, una continuità della presenza della Nato, o eventualmente dell’Unione europea. Ma non questo fiasco. Non in questa forma (…). Il fiasco del ritiro delle forze americane a Kabul ci obbliga a porci delle domande sul diritto di ingerenza. Sul suo metodo. Sulla sua pertinenza. La peculiarità delle società democratiche, contrariamente alle loro avversarie, è di essere percorse dal dubbio. Tanto meglio. Pensare che fossimo ormai usciti dalla storia, come scriveva Fukuyama, e che ormai l’occidente avrebbe dovuto gestire l’avvento di un mondo liberale fu un’illusione. Lo sappiamo da molto tempo. Ma non gettiamo l’universalismo e i nostri valori nell’acqua sporca del diritto di ingerenza. L’universalismo non è un male. L’occidente non è una vergogna. E il diritto delle donne non è un neocolonialismo.
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