Il Foglio internazionale
La “tossicità” non è solo maschile
"Non si parla della femminilità tossica, ma se dovessimo immaginare la peggiore manifestazione delle caratteristiche tipicamente femminili, penso che assomiglierebbe molto alla cultura della cancellazione sociale contemporanea", scrive sull’Express Freya India Ager
Pare che la cultura occidentale sia immersa nella mascolinità tossica”, scrive sull’Express Freya India Ager, giornalista della rivista inglese Areo Magazine. “Alcuni tratti tradizionalmente maschili come la forza, il ritegno e lo stoicismo sarebbero degenerati in misoginia e violenza, finendo ormai per impregnare le nostre norme culturali e i nostri sistemi sociali. Le istituzioni pubbliche, i media e i membri della società dominante, secondo il pensiero goscista della giustizia sociale, sono pieni di questi pericolosi comportamenti maschili. In questi ultimi tempi, la mascolinità tossica è accusata di essere all’origine di quasi tutti i mali della società – la propagazione del Covid-19, l’incapacità dei dirigenti di lottare in maniera adeguata contro la pandemia, la crisi della sanità mentale tra gli uomini, la schedatura razziale e persino la catastrofe climatica.
Il concetto è considerato ormai un’evidenza. Per esempio l’Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne ha pubblicato su Twitter una lista di 'dieci piccole azioni' suscettibili di avere un impatto importante sulle nostre società, una della quali consiste nel 'mettere fine alla mascolinità tossica'. L’agenzia ha condiviso anche una mappa di 'Equiterra', un mondo immaginario in cui la diseguaglianza non esiste più e dove esiste una 'fabbrica di riciclaggio della mascolinità tossica'.
Ma se arriviamo a descrivere la mascolinità tossica come la manifestazione negativa di tratti maschili, allora alcuni dei nostri problemi di società sono inevitabilmente l’espressione negativa di tratti femminili. Esistono senza alcun dubbio delle caratteristiche che sono più comuni in un sesso rispetto all’altro. Gli individui sono diversi tra loro, ma gli uomini, per esempio, sono tendenzialmente più aggressivi e le donne sono generalmente più empatiche. Se un uomo o una donna soffre di una psicopatologia, queste differenze sono suscettibili di manifestarsi attraverso forme distinte di comportamenti antisociali.
Non si parla della femminilità tossica – e a mio avviso è una buona idea – ma se dovessimo immaginare la peggiore manifestazione delle caratteristiche tipicamente femminili, penso che assomiglierebbe molto alla cultura della giustizia sociale contemporanea. Se da una parte può essere utile capire che alcuni tratti si manifestano talvolta in maniera diversa a seconda del sesso, servirsene per vilipendere l’uno o l’altro sesso non lo è affatto. La storia dimostra quanto è pericoloso demonizzare gruppi di persone sulla base delle loro caratteristiche immutabili.
Non solo questo modo di pensare ha portato al sessismo storico che le donne hanno subìto (e che subiscono ancora in tutto il mondo), ma incentiva anche gli attuali atteggiamenti di misandria – le frasi acrimoniose 'kill all men' e 'men are trash'. Non sto dicendo che la società è infestata di femminilità tossica, né che tutti i sostenitori della cultura della giustizia sociale sono donne. Ma spero effettivamente di attenuare il dibattito sulla mascolinità tossica, mostrando che il ragionamento adottato oggi da numerosi goscisti e i metodi che privilegiano per realizzare il progresso sociale sono in correlazione con delle psicopatologie tipicamente femminili.
Esaminando tre elementi chiave della cultura della giustizia sociale, sostengo che la nostra mentalità attuale – che banalizza l’ostracismo, esalta il ragionamento emotivo e sopravvaluta la sicurezza – è fortemente in linea con dei tratti caratteriali che, in generale, sono più predominanti tra le donne che tra gli uomini. Nel contesto attuale della giustizia sociale, quelli che commettono una trasgressione morale si ritrovano spesso in balìa della 'cancel culture' (letteralmente, la cultura della cancellazione, variazione contemporanea della messa all’indice), una forma di esclusione sociale in cui il presunto trasgressore viene emarginato dalla società, con perdita di reputazione e anche di carriera.
Le eresie che possono farvi 'cancellare' vanno da una battuta inopportuna su internet al fatto di affermare la realtà del sesso biologico. Prendiamo il caso tristemente celebre di Justine Sacco, che, nel 2017, aveva twittato una battuta di attivo gusto ai suoi 170 follower.. Prima di imbarcarsi su un volo per l’Africa del Sud, Sacco aveva scritto questa cosa: 'Vado in Africa. Spero di non prendere l’Aids. Scherzo. Sono bianca!'. Mentre dorme, diventa oggetto di linciaggio su Twitter, per poi ritrovarsi licenziata una volta atterrata. Lontano dallo scontro diretto, strategia tipicamente maschile, quelli che sono in prima linea in questi assassinii sociali evitano i rischi e gli sforzi fisici, accontentandosi di espellere quelli con cui non sono d’accordo. Il che rientra generalmente nell’approccio femminile del comportamento antisociale.
Piuttosto che un confronto violento, le donne tendono ad attivarsi nella distruzione della reputazione e nell’esclusione sociale, cercando di rovinare lo status delle loro rivali invece di sconfiggerle fisicamente. Diversi studi indicano una base evolutiva di questo fenomeno. In uno studio interdisciplinare di Stockley e Campbell sulla competizione e l’aggressività femminile, gli autori sostengono che le donne sarebbero predisposte a sopravvivere, a entrare in competizione per i partner preferiti e a riprodursi. Prendono dunque di mira le loro rivali attraverso strategie di competizione indirette a basso rischio come 'il rifiuto di cooperare tra loro, la distruzione della loro reputazione (affinché anche le altre rifiutino di cooperare) e, alla fine, l’esclusione dal gruppo. L’aggressione indiretta (il ricorso a pettegolezzi dispregiativi e l’esclusione sociale) è la tattica aggressiva preferita delle donne' (…). L’esclusione sociale costa di più alle donne che agli uomini.
Diversi studi hanno esaminato i vantaggi dell’aggressione indiretta come tattica femminile, suggerendo che 'i legami forti tra le donne e la loro interdipendenza emotiva fanno della vittimizzazione per aggressione indiretta un’esperienza particolarmente dolorosa, che porta alla depressione e persino al suicidio'. E’ stato anche dimostrato che il ritmo cardiaco delle donne aumenta di più di quello degli uomini in reazione all’esclusione sociale. Questa strategia è allo stesso tempo utilizzata e vissuta più frequentemente dalle donne che dagli uomini. La cancel culture è dunque una tattica aggressiva essenzialmente femminile (…). Spero che noi tutte abbandoneremo presto la narrazione della mascolinità tossica e che smetteremo di scaricare la colpa di tutti i nostri problemi sugli uomini. Un discorso sano non deve opporre i sessi o presentare le donne come moralmente superiori, ma riconoscere che stiamo tutti degli esseri fallibili". (Traduzione di Mauro Zanon)