Un foglio internazionale
“Cara Judith Butler, come traduci la parola 'gender' per le donne afghane?”
Una scrittrice pakistana irride le neofemministe occidentali: “Le donne sono picchiate dai talebani per il loro sesso biologico”, scrive The Feministani (9/9)
Bina Shah è una famosa scrittrice pakistana tradotta in tutto il mondo. In questo saggio che sta facendo molto discutere, Shah irride le neofemministe occidentali come Judith Butler, la madrina del gender che insegna a Berkeley, che ha criticato il tentativo di liberare le donne afghane.
Ho scritto un tweet arrabbiato: "Ho solo bisogno di sapere come si applica la definizione di donna di Judith Butler alle afghane che vengono picchiate per strada dai talebani. Ha mai considerato che le sue idee non si adattano alla vita delle donne nel Sud del mondo?’" Ho pubblicato il tweet dopo aver letto dell’ormai famigerata intervista al Guardian in cui Butler ha affermato che le Terf (femministe radicali trans-escludenti) si alleano con i "fascisti". Questo dibattito sui diritti trans e sull’identità di genere sembra così lontano dalla realtà vissuta da me e da milioni di donne.
Ma è stata l’affermazione di Judith Butler che "dobbiamo ripensare alla categoria di donna" che mi ha fatto andare avanti. E arriva nel momento in cui ho visto donne afghane picchiate dai talebani mentre protestavano per i loro diritti, per la sicurezza e per la libertà di lavorare e studiare. In Afghanistan (esempio estremo) ma anche in Pakistan, dove vivo, in India, Nepal, Bangladesh, paesi del Medio Oriente, Nord Africa, le donne (o le ‘persone con corpi femminili’) vengono maltrattate, vessate, aggredite e uccise non solo perché hanno corpi femminili, ma perché si rifiutano di consegnare quei corpi agli uomini per farne ciò che vogliono. Poiché questo possesso di corpi femminili è assolutamente legato alla biologia femminile, alla produzione di bambini e al conforto sessuale per quegli uomini, separare il sesso dal genere nega completamente questa forma di oppressione che è enormemente offensiva per tutte noi che stiamo ancora lottando per porre fine alla discriminazione basata sul sesso nei nostri paesi.
Immaginate una donna musulmana nel Regno Unito che sfugge a un matrimonio violento e alle minacce di un delitto d’onore. Va in un rifugio dove si sente al sicuro perché è uno spazio per sole donne. Non solo perché è lontana dal regno della violenza maschile, ma perché come donna musulmana non si sente a suo agio nel condividere gli spazi intimi con un uomo.
Ma se una donna trans con un pene si trova nello stesso spazio, all’improvviso quella donna musulmana non è in grado di togliersi l’hijab o spogliarsi perché non può fare quelle cose di fronte a una persona con un corpo maschile che non sia un membro della famiglia. Non è un’ipotesi, ci sono donne musulmane, sikh e indù che ora sono escluse dagli spazi femminili perché la definizione di "donna" è cambiata per includere le donne con il pene.
Le ragazze e le donne afghane hanno dovuto travestirsi da uomini per poter uscire di casa, guadagnarsi da vivere o svolgere lavori vitali sotto i talebani. Si chiamerebbe "fare il genere" come dice Judith Butler, o è una strategia di sopravvivenza? Temo che gli attivisti per i diritti trans si stiano comportando come imperialisti occidentali, imponendoci le loro idee di sessualità. Io non voglio il colonialismo di genere nel XXI secolo. E voi?.
(Traduzione di Gregorio Sorgi)
Il Foglio internazionale