Un Foglio internazionale
La vita stellare dei ricchi
Il portoghese Bruno Maçaes spiega che cosa non va nella visione di Elon Musk, Jeff Bezos e degli altri milionari che sognano lo spazio
Il romanziere americano Francis Scott Fitzgerald ha scritto: ‘Fatemi dire una cosa sui miliardari. Sono diversi da me e te’. Ernest Hemingway gli ha risposto nel suo breve racconto Le nevi del Kilimangiaro: ‘Certo, hanno più soldi’. Hemingway aveva ragione, ma Fitzgerald ci aveva visto più lungo. C’era un tempo in cui i soldi potevano comprare il piacere e la comodità, anche se quest’ultima è un’arma a doppio taglio: ti libera dalle fatiche della vita ma elimina i rischi e la gloria che la rendono speciale”. Così inizia l’articolo dell’analista portoghese Bruno Maçaes sul New Statesman. “Tuttavia, oggi i soldi ti possono conferire una forma di esistenza più alta. Chi non è miliardario lo ha capito troppo tardi. L’inventore americano Ray Kurzweil ha detto che la cosa più importante è vivere abbastanza per vivere per in eterno. Siamo all’alba della scoperta di tecnologie rivoluzionarie che ci consentiranno di evadere la mortalità: che peccato che sarebbe morire proprio al momento della salvezza. Ma la tesi di Kurzweil non è la verità completa. La tecnologia che porrà fine all’invecchiamento non sarà economica. L’importante è accumulare abbastanza soldi per vivere in eterno. E non solo per vivere in eterno: per aumentare le nostre capacità intellettuali, per raggiungere Marte e per creare della società umane adatte per un’epoca digitale e interstellare. In questo scenario, Elon Musk potrebbe usare le nuove tecnologie per prolungare la sua vita di vari secoli. Magari tra cento anni sentiremo parlare dell’imprenditore che si stabilisce su Marte e che registra un podcast con un interlocutore extraterrestre. E tutti gli altri? Beh, cavoli vostri”.
Ogni periodo storico ha un suo tipo ideale a cui viene affidato il compito di portare avanti la storia. Il santo, l’esploratore o lo scienziato solitario. Loro sono sempre dalla parte giusta della storia, ma appartengono alla loro epoca e non riescono a sopravvivere alle evoluzioni storiche. I rivoluzionari non esistevano ai tempi dell’antica Grecia, ma andavano per la maggiore nell’Europa del ventesimo secolo. Il tipo ideale dei giorni nostri è il miliardario tech, un sognatore che esprime un individualismo radicale che scioccherebbe i vecchi capitani d’industria. Andrew Carnegie o John D. Rockefeller avevano un patrimonio equivalente a centinaia di miliardi di oggi, ma erano seri e sobri. Non rappresentavano la tecnologia né il futuro, né tantomeno la storia. Al contrario, i progetti e le missioni del miliardario contemporaneo hanno delle aspirazioni umanitarie molto più alte: la scoperta dello spazio per Musk, lo spazio e la vita eterna per l’inventore di Amazon, Jeff Bezos, la democrazia universale per il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, e quello di Twitter, Jack Dorsey.
Molto è stato scritto sulla nuova “oligarchia tech” americana. L’uso di questo termine potrebbe essere sorprendente, dato che i giganti tech non sembrano sfruttare la politica per avere un trattamento preferenziale. Tuttavia, questi oligarchi offrono al resto della società un patto faustiano: lasciateci in pace, non toccate il nostro patrimonio mastodontico, e noi vi faremo vedere il futuro. Ma se combattete contro di noi vi lasceremo in un eterno presente. Bezos gestisce anche una compagnia spaziale chiamata Blue Origin, che contempla la possibilità di ricreare degli habitat terresti nello spazio, ciascuno con una popolazione potenzialmente pari a un milione di abitanti. “Possiamo avere un trilione di esseri umani nel sistema solare, questo significa che possiamo avere un migliaio di Mozart e un migliaio di Einstein – ha detto Bezos –. Questa sarebbe una civiltà incredibile”.
Queste frasi, scrive Maçaes, sollevano alcune domande: “E’ giusto per una società moderna usare i propri poteri contro chi può portare a compimento le più grandi trasformazioni tecnologiche? Dovrebbe provare a mantenere lo status quo? Oppure dovrebbe concedere piena libertà a questi individui, con tutti i rischi che ciò comporta per i nostri valori sociali e democratici?”. Secondo l’autore, “ogni tipo ideale è un ponte tra due epoche storiche. Il santo era un ponte tra il mondo classico e quello medioevale (…). Il rivoluzionario era un ponte tra il mondo moderno e quello contemporaneo. Il miliardario tech è alla soglia di un futuro tecnologico e promette – o minaccia – di farcela varcare. Ma il sentiero è molto stretto”.
Secondo il New Statesman la società moderna si trova di fronte a due possibilità estreme. In uno scenario, la tecnologia viene imposta dall’alto e la società si muove sulla base di una visione unica e dominante, e in una direzione pre determinata. In queste società autoritarie, la transizione a un mondo tecnologico porterà alla scomparsa dell’autonomia e della libertà umana. All’estremo opposto, la visione di un mondo tecnologico diventa un oggetto di resistenza politica e sociale, che la porta a essere vista con sospetto. In questo scenario, la tecnologia viene messa al servizio delle relazioni sociali già esistenti e rinuncia alla sua ambizione di cambiare la vita sociale”. La terza via è quella del miliardario anche se non tutti sembrano accettarlo, dato che la missione Blue Origin, a cui ha preso parte lo stesso Bezos, è stata trattata con ironia o indignazione per i miliardi spesi.
“Ho incontrato o mi sono scritto varie volte con dei famosi miliardari del tech – conclude Maçaes –. Rispetto ai grandi statisti o artisti, c’è l’aspettativa che loro siano ancora più vicini alla verità e abbiano maggiori indizi su cosa essa sia (…). In queste situazioni sono rimasto in silenzio, aspettando che venisse pronunciata una parola. Quale parola? Non ne ho idea. Non sono un miliardario. La parola che solo loro conoscono. Ma alla fine, ovviamente, sappiamo che il miliardario resta muto perché la storia parla attraverso loro, ma non con la loro voce”.
(Traduzione di Gregorio Sorgi)
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