il foglio internazionale
Michel Onfray: “La nostra epoca è quella della cancellazione della nostra civiltà”
Il filosofo e saggista francese lancia sul Point una querelle sull’arte contemporanea per indicarci quali sono le opere di qualità
Le Point – Si può ancora parlare di arte contemporanea in maniera serena? Tra la sua difesa assoluta e la sua critica assoluta, sembra non esistere più alternativa…
Michel Onfray – La Francia è un paese di guerra civile silenziosa che alcuni incendiari rimettono a ferro e fuoco regolarmente. E’ il paese delle guerre di religione, ma anche quello delle guerre filosofiche, letterarie ed estetiche: Voltaire o Rousseau? Robespierre o Condorcet? Hugo o Stendhal, chiedeva recentemente Régis Debray? Boulez o Dutilleux? Bordeaux o bourgogne? Delon o Belmondo? De Gaulle o Vichy, chiedono alcuni oggi? Bisogna mettere la sua domanda in relazione con la fine dell’expertise: la legittima passione per l’uguaglianza diventata l’illegittima religione egualitarista permette a ognuno di ritenersi esperto senza l’expertise necessaria. L’uberizzazione della società è generale: un tempo bisognava avere delle competenze per guidare un taxi; oggi, basta possedere un Gps. Ognuno si autorizza a emettere un giudizio su tutto senza essersi preparato in anticipo. Nei talk-show televisivi dei canali di informazione, incrocio regolarmente persone che, dalle otto di mattina a mezzanotte, danno la loro opinione su tutti i temi. Il giorno in cui Christo era all’ordine del giorno, anche se hanno scoperto il suo nome leggendolo la mattina sui giornali, hanno espresso comunque un parere definitivo su di lui un quarto d’ora dopo. Può capitare che venga invitata una persona capace di sostenere una tesi su Christo, ma se non ha la sfacciataggine, la parlantina, la malafede e la boria degli habitué dei talk-show la sua opinione non conterà nulla e sarà, in alcuni casi, persino ridicolizzata o disprezzata. A partire da questa constatazione, dunque, come può essere possibile un dibattito? Sulle reti pubbliche, ci vorrebbero delle trasmissioni di educazione popolare consacrate a illuminare i cittadini affinché abbiano delle conoscenze prima di esprimersi sui temi. Perché le belle arti vengono insegnate solo nelle scuole con lo stesso nome, dove ci si rivolge a un pubblico già acquisito. Ho insegnato filosofia in un liceo tecnico per vent’anni a degli alunni che se ne fregavano bellamente della mia disciplina. L’arte era una nozione nel programma. Ero abituato a cominciare la lezione dicendo: “Se un cinese entra in quest’aula e si rivolge a voi, non gli direte ‘non vuol dire nulla’, ma ‘non capisco’. Perché sapete che, se imparate quella lingua, la parlerete e la capirete. Potrete allora giudicare ciò che vi verrà detto. Vale la stessa cosa per l’arte in generale e l’arte contemporanea in particolare, perché l’arte è un linguaggio che bisogna imparare prima di poterlo giudicare”. E spiegavo che anche il ritratto di Luigi XIV da parte di Hyacinthe Rigaud, che a loro sembrava semplice, leggibile e facilmente comprensibile, era enigmatico e criptato come la “Fontana” di Duchamp. In seguito, spiegavo perché e in che modo. E il messaggio passava.
Ogni arte è una produzione di forme indotte dallo stato spirituale di una civiltà”, scrive nel suo libro. Lei giudica la nostra civiltà decadente. Cosa pensare dell’arte di oggi?
Le mie armi filosofiche per affrontare l’estetica sono in effetti da rintracciare dalle parti di Bergson e Malraux. Uno per lo slancio vitale che concerne la forza che va nella direzione in cui va la vita e l’altro per l’arte come cristallizzazione di forme derivate da una religione fondatrice di civiltà attraverso la sua spiritualità. L’arte accompagna i movimenti della civiltà. Una civiltà nascente, crescente, culminante, declinante, decadente e in via di sparizione produce un’arte nascente, crescente, culminante, declinante, decadente e in via di sparizione. La nostra epoca è quella della cancellazione della nostra civiltà, e la sua arte accompagna naturalmente questo movimento. Il trionfo mediatico dell’arte che eccelle nel regressivo, nello scatologico – con la “merda d’artista”, la vagina della regina, il plug anale, etc. – è la parte emersa dell’iceberg. Molti artisti lavorano sul nostro presente e sulle sfide future della civiltà: penso a Joan Fontcuberta, che permette di pensare le fake news; a Eduardo Kac, che prende in considerazione le chimere del transumanesimo; a Orlan, che interroga l’identità corporale. Ci sono dunque cose migliori, di cui si parla meno, e cose peggiori, spesso le più scandalose, pensate e volute come tali per scatenare il buzz mediatico, creare valore di mercato, e in seguito sperare in profitti considerevoli.