I danni della cancel culture sul nudo femminile nell'arte
La nudità, un tempo simbolo di libertà e di bellezza, diventa sospetta ed è vista con un ostentato atteggiamento di pudore, scrive Marianne
"Mentre tutta l’Europa si indigna per la sorte delle donne afghane private nuovamente della loro libertà e forzate dai talebani a dissimularsi dietro il burqa, è di moda, per una piccola comunità di militanti femministe del milieu dell’arte, stigmatizzare il corpo della donna, visto secondo loro come un oggetto sessuale sotto lo sguardo necessariamente malsano dell’uomo”, scrive Constance Desanti, illustratrice ed ex allieva dell’École du Louvre. “L’instagrammer Margaux Brugvin, che officia anche come interlocutrice per alcuni grandi musei parigini, paragona i nudi femminili della pittura del Diciottesimo secolo a delle ‘riviste porno’. Nello stesso video postato sui social network, se la prende inoltre con personaggi della mitologia greca come Zeus che, secondo lei, è ‘il più grande predatore sessuale della cultura occidentale i cui stupri riempiono i musei’.
Sulla stessa linea, l’account ‘Vénus s’épilait-elle la chatte?’ (ognuno poi giudicherà la sottigliezza del titolo), anch’esso lanciato da un’ex studentessa di storia dell’arte, attacca gli artisti maschili il cui sguardo sulla donna è necessariamente lubrico. A proposito di un sublime dipinto di Jean-Jacques Henner, ‘Sara la baigneuse’, dove viene raffigurata un’enigmatica ninfa dai capelli dorati, l’ex studentessa si esprime in questi termini: ‘Oltre (…) alla cultura dello stupro, quest’opera di Henner è interessante perché lui stesso aveva un’ossessione per l’estetica della femme fatale: donne nude (…) che sembrano sfidare con la loro sessualità minacciosa i poveri uomini innocenti’. Queste battute sprovviste della minima riflessione, e che sono soltanto un esempio fra molti altri, potrebbero far sorridere se non trovassero un’eco tra migliaia di abbonati sui social network, spesso giovani neofiti nel campo artistico e particolarmente influenzabili.
E’ inquietante notare che persone che hanno studiato storia dell’arte proferiscano tali sciocchezze e approssimazioni con il solo obiettivo di servire la loro ideologia. A questo proposito, è importante ricordare i fondamentali. Il nudo, e in particolare il nudo femminile, è sempre stato una componente dell’arte occidentale e soltanto in rari casi ha un legame con la sessualità. Se dovessimo schematizzare questa rappresentazione del nudo femminile, potremmo dire che obbedisce ai due grandi princìpi guida che sono, da una parte, il contesto specifico del personaggio rappresentato, e, dall’altra, l’associazione indissolubile che forma con il concetto di bellezza. ‘Le bain de Diane’, opera di François Clouet, rappresenta la dea svestita per la semplice ragione che si appresta a lavarsi.
‘La nascita di Venere’, tema dipinto da numerosi artisti tra cui Sandro Botticelli e Alexandre Cabanel, mostra una donna nuda perché viene alla vita (…). Possiamo anche evocare ‘Le Tre Grazie’ (Raffaello, Carle Van Loo, Pieter Paul Rubens), la cui nudità è un’allegoria della bellezza e della delicatezza che non ha alcun rapporto con la sessualità. Aggiungiamo inoltre che anche gli uomini sono frequentemente rappresentanti nudi. ‘Il ratto delle Sabine’ di Jacques-Louis David mostra dei guerrieri romani con i loro corpi nudi. (…) Per le femministe contemporanee e altre portavoce dell’’inclusività’, la battaglia è anche contro la presunta iconografia razzista, degradante e ipersessualizzata delle donne straniere, e più in particolare delle donne orientali. La sessualizzazione esacerbata della donna orientale nella pittura europea è in realtà un mito che i fautori della cultura woke amano sventolare. Le odalische, infatti, mostrano la loro nudità in modo analogo a numerosi modelli occidentali. Va notato che lo statuto ambivalente di queste donne da harem, e dunque l’erotismo che possono suscitare nell’immaginario collettivo, le avvicina certamente di più alle demi-mondaines parigine dipinte da Édouard Manet (‘Olympia’) o da Henri Gervex (‘Rolla’) che alle divinità classiche.
Tuttavia, la grazia e la delicatezza del loro trattamento, imposte allo stesso tempo dalle convenzioni artistiche e dalla morale dell’epoca, le rendono delle vere e proprie icone di bellezza, ben lontano dall’immagine oscena a cui qualcuno vorrebbe associarle (…). In realtà, il principale rimprovero formulato nei confronti degli artisti europei da parte dei militanti del ‘wokismo’ è quello di aver semplicemente voluto rappresentare delle donne straniere, fatto che implicherebbe automaticamente un’appropriazione della loro immagine secondo una logica di dominio”.
(Traduzione di Mauro Zanon)
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