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Quale sinistra, quale destra. Lezioni dall'ultimo voto americano
Ross Douthat spiega che l’estremismo ideologico porta sia i democratici sia i repubblicani in un vicolo cieco
"Dopo che Terry McAuliffe ha clamorosamente perso in uno stato in cui Joe Biden aveva vinto con dieci punti di vantaggio esattamente lo stesso giorno di un anno fa (il 3 novembre 2020, ndt) mi sembra giusto dare un piccolo suggerimento: i democratici devono trovare un nuovo modo per parlare dell’ideologia progressista e della scuola”. Così inizia l’articolo di Ross Douthat sul New York Times.
“Nella corsa per la Virginia – continua Douthat – l’andazzo era piuttosto lineare e costante: Glenn Youngkin attaccava la critical race theory (Crt, una teoria sul razzismo intrinseco e onnipresente nella società americana, ndt) legandola a una critica più ampia su come l’establishment scolastico avesse gestito la pandemia, mentre McAuliffe negava il fatto che la Crt venisse insegnata nelle scuole della Virginia, e insisteva che tutta la controversia avesse un sottofondo razzista.
Il problema nella strategia di McAuliffe è che faceva affidamento su tecnicismi – sostenendo, a esempio, che ai ragazzi della quarta elementare dello stato della Virginia non venivano assegnati i libri di Derrick Bell – ignorando il contesto che ha reso possibile che questo tema diventasse parte di un dibattito nazionale polarizzante. Questo contesto, ovvio per ogni persona senziente che ha vissuto gli ultimi anni, rappresenta una rivoluzione ideologica nell’élite della cultura americana. Alcuni concetti precedentemente associati al progressismo accademico sono entrati a fare parte del linguaggio di molte istituzioni importanti, dalle categorie professionali, le fondazioni, le scuole private, ai reparti delle risorse umane delle grandi aziende. La Crt è un termine imperfetto per questo movimento, troppo stretto e specializzato per descrivere in pieno la sua complessità.
Una nuova idea di razza ha fatto breccia nei cuori dei moderni progressisti, mettendo insieme le teorie diverse seppur in parte coincidenti di personaggi come Ibram X. Kendi e Robin DiAngelo, che esercitano grande potere. Quest’influenza si estende alle scuole e all’apparato della pubblica istruzione, dove i testi di Kendi, DiAngelo e dei loro seguaci vengono spesso consigliati agli insegnanti. Nel 2019, un sovrintendente delle scuole in Virginia ha fatto circolare una lista di letture sull’uguaglianza razziale che includeva il libro di DiAngelo ‘White Fragility’ oltre a un trattato accademico intitolato ‘Foundations of Critical Race Theory in Education’. Il sovrintendente era il responsabile delle scuole pubbliche della Virginia.
I progressisti di oggi diranno che l’ondata anti woke che ha contribuito a fare vincere Youngkin (e che in realtà è soltanto un fattore tra tanti) non riguarda solamente questi testi e quest’ideologia ma un malcontento molto più ampio verso ogni tentativo di fare luce sul passato razzista dell’America, sia che si tratti di un libro di Toni Morrison o di un dipinto di Norman Rockwell. E hanno ragione che il movimento anti Crt esprime sia delle obiezioni moderate e anche liberali al nuovo progressismo – delle obiezioni che vengono fatte anche nella New York ultra liberal – e una contestazione molto più vecchia che si rifiuta perfino di parlare della schiavitù e della segregazione.
Ma i progressisti non possono isolare e attaccare il secondo tipo di critica a meno che non trovino un modo per rivolgersi anche al primo, specialmente quando questi attacchi arrivano dagli elettori (inclusi quelli provenienti dalle minoranze) che magari hanno votato per Hillary Clinton o Biden ma sono sconvolti dalle idee a cui sono stati esposti i loro figli sui banchi di scuola negli ultimi anni. E l’approccio di McAuliffe non risolverà nulla: non puoi raccontare alla gente che il Crt sia una fantasia di destra, ma che allo stesso tempo questo dibattito non è stato scaturito dai genitori di destra ma da una profonda trasformazione ideologica della sinistra.
Quindi i politici democratici devono decidere cosa ne pensano delle idee che hanno dominato le istituzioni culturali d’élite negli ultimi anni. Forse queste idee meritano di essere difese. Forse Kendi e DiAngelo meritano di essere celebrati. Forse i dirigenti scolastici che consigliano le loro opere dovrebbero essere lodati per questo. Se così fosse, i democratici dovrebbero dirlo e difendere la linea a spada tratta. Ma in caso contrario, i politici democratici negli stati in bilico, che subiscono molti attacchi dai repubblicani sui programmi scolastici e guardano all’esempio infelice della Virginia, dovrebbero riconoscere pubblicamente ciò che, sospetto, molti di loro (e molti opinionisti liberal) pensano realmente: che il futuro prossimo dei democratici americani dipende, in una certa misura, dalla capacità dei loro leader di smarcarsi dal gergo accademico e dallo zelo progressista.
Per quanto riguarda le lezioni per i repubblicani dal trionfo in Virginia, questo è il succo del discorso: il combinato disposto tra un’amministrazione democratica in difficoltà e gli eccessi del progressismo culturale hanno creato un’opportunità politica immensa. Nelle circostanze attuali, non c’è bisogno di candidare un personaggio trumpiano per mobilitare l’elettorato fedele all’ex presidente. Invece, con il candidato e le circostanze giuste, puoi conservare i voti della base trumpiana e riconquistare anche gli elettori che vivono nelle aree suburbane. Il problema è che lo zoccolo duro trumpiano vuole che Trump torni a guidare il partito, dichiarando guerra ai liberal, in assenza di un’opzione migliore. Ma forse, solamente forse, la soluzione è che gli elettori meno trumpiani si riuniscano attorno a un candidato alternativo che ha saputo sfidare i liberal meglio di Trump nel 2020. Sì, questa è probabilmente una fantasia, ma almeno, un certo tipo di finanziatore o consulente repubblicano si sveglierà stamattina da un sogno molto piacevole – affrontare la campagna presidenziale del 2024 come Glenn Youngkin ha affrontato la campagna del 2021”.
(Traduzione di Gregorio Sorgi)
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