Un Foglio internazionale
I cattivi che stanno vincendo
Autocracy Inc. I leader autoritari si aiutano a vicenda in chiave antioccidentale
"Il futuro della democrazia potrebbe essere deciso in un arido palazzo di uffici nella periferia di Vilnius, accanto a un’autostrada affollata da automobilisti impazienti che stanno per uscire dalla città. Qui ho incontrato Sviatlana Tsikhanouskaya la scorsa primavera, in una stanza con un grande tavolo, una lavagna e poco altro. Il suo staff – oltre una dozzina di giovani giornalisti, blogger, vlogger e attivisti – stava per cambiare ufficio. Ma quello non era l’unico motivo per cui quel luogo sembrava così stantio e artificiale. Nessuno di loro, in particolare la Tsikhanouskaya, voleva veramente stare in quel palazzo brutto, né tantomeno nella capitale lituana. Lei si trova lì perché ha probabilmente vinto le elezioni presidenziali del 2020 in Bielorussia, e perché il leader che ha probabilmente sconfitto, Alexander Lukashenka, l’ha costretta a lasciare il paese subito. La Lituania le ha offerto asilo”.
Così inizia il lungo saggio di Anne Applebaum sull’Atlantic sulla rete internazionale di leader autoritari. La Tsikhanouskaya ama ripetere che lei è una dissidente sui generis: non è mai stata molto interessata alla politica e si è candidata dopo che suo marito è stato incarcerato per avere denunciato pubblicamente, in una serie di video diventati virali, le inefficienze e la corruzione dilagante del regime bielorusso.
Dopo le elezioni presidenziali in cui il dittatore Lukashenka sostiene di avere ottenuto l’ottanta per cento dei voti, una cifra a cui non crede nessuno, Tsikhanouskaya è stata prima arrestata e poi espulsa dal paese, dando vita a un’ondata di manifestazioni mai viste che hanno coinvolto tutti: pensionati, operai e, in alcuni casi, anche membri delle forze dell’ordine. All’inizio, sembrava che Lukashenka non avesse un piano per mettere a tacere queste proteste. Ma i suoi vicino lo avevano. Il 18 agosto un aereo appartenente all’Fsb, i servizi di sicurezza russi, si è recato da Mosca a Minsk. Dopo di che, le tattiche di Lukashenka sono diventate “più sofisticate” e il dittatore ha scoperto nuovi modi più efficaci per reprimere i suoi cittadini. Le tecniche usate in passato per reprimere le folle in Russia sono state trasferite in Bielorussia per sedare le proteste.
La collaborazione tra Putin e Lukashenka, che notoriamente si odiano a vicenda, è stata resa possibile dal fatto che i due leader condividono la stessa visione del mondo. “Entrambi credono che la propria sopravvivenza personale sia più importante del benessere del loro popolo” scrive Applebaum. “Entrambi hanno anche imparato delle lezioni dalla primavera araba, oltre che dal ricordo più lontano del 1989, quando le dittature comuniste sono cadute come birilli: le rivoluzioni democratiche sono contagiose. Se riesci a farle morire in un paese, potresti stroncarle sul nascere altrove”.
Applebaum osserva il fenomeno Tsikhanouskaya, una neofita della politica che si è guadagnata la stima dei cittadini bielorussi e di molti leader mondiali, dalla cancelliera tedesca Angela Merkel al presidente francese Emmanuel Macron, convincendoli a inasprire le sanzioni contro il regime bielorusso. La giornalista scrive che la dissidente ha dalla sua parte “il potere narrativo di ciò che chiamavamo il mondo libero. Lei utilizza il linguaggio dei diritti umani, della democrazia e della giustizia. Lei ha al suo fianco le Ong e le organizzazioni per i diritti umani che lavorano per le Nazioni Unite e per altre istituzioni, e che possono mettere pressione ai regimi autocratici. Lei ha il sostegno delle persone in tutto il mondo che continuano a credere con fervore che la politica può diventare più civile, più razionale, più umana e che vedono in lei una rappresentante autentica di questa causa. Ma questo basterà? Da questa risposta dipende molto”.
Secondo la giornalista, il vecchio stereotipo di come funziona uno stato autoritario – “un signore cattivo siede al vertice e controlla la polizia (…) ci sono dei collaboratori cattivi e forse dei dissidenti coraggiosi – è passato di moda. Oggigiorno, le autocrazie vengono governate “da una rete sofisticata composta da strutture finanziarie cleptomani, servizi di sicurezza (esercito, polizia, gruppi paramilitari, sorveglianza) e propagandisti di professione”.
Si tratta di una rete internazionale di autocrati – le aziende di stato nelle varie dittature fanno affari tra di loro, i troll a servizio di un leader diffondono anche la propaganda del suo alleato – che però non condividono alcuna ideologia e non hanno una guida riconosciuta. In questo gruppo ci sono comunisti, nazionalisti e teocrati – l’unica cosa che hanno in comune è il desiderio di preservare e aumentare il loro potere e la loro ricchezza. “A differenza di molte alleanze militari o politiche di altri luoghi ed epoche, i membri di questi gruppo non operano come un blocco ma come un agglomerato di aziende – chiamatela la Autocracy Inc.”, scrive Applebaum.
In teoria la Bielorussia è isolata dalla comunità internazionale, ma in pratica il paese resta un membro rispettato della Autocracy Inc., e riceve grandi aiuti dagli altri appartenenti al club. Lo stesso si può dire del Venezuela e di Cuba. Se il solo nemico dell’opposizione venezuelana fosse il regime corrotto di Maduro, potrebbe averla vinta. Ma il leader Leopoldo López e gli altri dissidenti stanno affrontando molti leader autoritari, in molti paesi. Anche i manifestanti filo democratici a Hong Kong, Cuba e in Iran si stanno battendo in realtà contro un gruppo di uomini che hanno a disposizione miliardi di dollari, e possono acquistare la tecnologia all’avanguardia dalla Cina o i bot dalla Russia. Ma l’appartenenza all’Autocracy Inc. non conferisce solamente i soldi e la sicurezza ma qualcosa di meno tangibile ma ugualmente importante: l’impunità. Agli autocrati del giorno d’oggi non interessano le critiche internazionali, e non provano alcuna vergogna a violare lo stato di diritto in mondovisione.
Secondo Applebaum, il dramma degli uiguri – una minoranza musulmana perseguitata dal regime cinese nella regione dello Xinjiang – è il simbolo di quanto sia importante appartenere all’Autocracy Inc. Paesi a maggioranza musulmana come la Turchia, l’Egitto, gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita avrebbero arrestato, detenuto e deportato gli uiguri per fare un piacere alla Cina.
“E quanto siamo diversi noi? Noi americani? Noi europei? Siamo sicuri che le nostre istituzioni, i nostri partiti politici e i nostri media non possono essere manipolati nello stesso modo?”, si domanda Applebaum. La giornalista fa una lunga lista di aziende, università, organizzazioni sportive e dello spettacolo americane che hanno stretto dei legami forti con Russia, Cina e altre autocrazie per trarne profitto.
Nella conclusione, l’autrice spiega che, a differenza del Ventesimo secolo in cui la liberal-democrazia ha avuto la meglio sulle altre ideologie, nel Ventunesimo secolo si sta affermando il modello autoritario, tanto che molti studiosi parlano di una “regressione democratica”. Il problema è che le tattiche usate in passato dalle liberal-democrazie – come le sanzioni – non funzionano più.
Gli Stati Uniti e l’occidente sono molto indietro nella sfida contro i regimi autocratici, sotto vari punti di vista. Non c’è una risposta alla Belt and road initiative cinese, che finanzia le infrastrutture dei paesi in via di sviluppo. Non c’è un organo, né tantomeno una strategia, per influenzare il dibattito sulla Cina e contrastare la propaganda di Pechino. Non c’è un modo per fronteggiare il problema della disinformazione estera nelle democrazie occidentali. Per ridurre il potere delle autocrazie dobbiamo introdurre grandi cambiamenti nelle nostre società: chiudere i paradisi fiscali, applicare le regole contro il riciclaggio, smetterla di vendere tecnologie agli autocrati.
Ma la mancanza di una strategia americana rivela il fatto che la democrazia ricopre un ruolo sempre meno importante nella politica estera di Washington. Da un lato, la presidenza Trump ha espresso un disprezzo totale per le istituzioni democratiche, tanto che l’ex presidente si sente più a suo agio tra i leader della Autocracy Inc. piuttosto che con i suoi alleati tradizionali. Dall’altro lato, una parte della sinistra americana si è convinta che la storia degli Stati Uniti sia una storia di violenza, razzismo e genocidio e ha smesso di credere che la democrazia sia il fulcro della politica estera statunitense. Queste persone non pensano più che l’America possa offrire qualcosa al resto del mondo, e credono, sbagliandosi, che la promozione della democrazia nel resto del mondo sia un sinonimo delle “forever wars”, le guerre eterne. L’assenza di una strategia americana per fronteggiare questi leader rischia di dare vita a un’egemonia autocratica. “Se gli americani, e i loro alleati, non riusciranno a combattere le pratiche e i metodi autoritari all’estero, ce li ritroveremo a casa nostra; anzi, sono già qui – conclude la Applebaum – Se gli americani non mettono in regola i regimi assassini, questi regimi ne deriveranno un senso di impunità. Continueranno a rubare, torturare e intimidire, nei loro paesi, e nei nostri”.
(Traduzione di Gregorio Sorgi)
Il Foglio internazionale