un foglio internazionale
“Approvare il pronome neutro è un atto di autocolonizzazione”
Un doppio movimento di politicizzazione e impoverimento della lingua è un veleno che agisce lentamente ai danni di tutta la cultura
Il Foglio Internazionale: ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere, a cura di Giulio Meotti
Le Point – Qual è il suo pensiero sulla decisione del Robert di aggiungere i prenomi “iel” e “ielle” al dizionario?
Alain Borer – E’ una decisione avvilente! E’ importante distinguere tre gradi di gravità in questo affaire. Soffermiamoci anzitutto su questo aspetto: la parola, così come l’acqua e presto l’aria, grandi entità vitali del pianeta, sono ormai a pagamento. La parola è diventata un mercato. La questione del “dizionario” si pone perché il Robert, come spesso il suo concorrente Larousse, avanza come un merlano: con la bocca aperta; raccoglie tutto ciò che trova. Basta dire una sciocchezza e il Robert la stampa e la rivende. Commentandolo, si cade nella trappola pubblicitaria in cui i responsabili del dizionario cercano di farci cadere! Ci rendiamo conto fino a che punto l’aspetto economico divora quello culturale? (…). Il direttore del Robert crede di essere Giovanna d’Arco, è convinto di avere una “missione”; tutto ciò è ridicolo! Solo il cardinale Richelieu ha dato una missione all’Académie che ha fondato nel 1635, quella di produrre un dizionario di riferimento. L’Académie è spesso criticata, eppure è la soluzione: questo grande dizionario, che lavora di continuo, è oggi online, fruibile ed è a questo strumento comune che dovremmo fare costantemente riferimento.
Perché secondo lei il pronome “iel” costituisce un grado di gravità supplementare?
Perché il suo utilizzo, sporadico, non è attestato in maniera seria. La peggiore truffa del Robert è quella di far credere al carattere “scientifico” del suo lavoro. Ma il fatto di scegliere non ha nulla di scientifico! Questo dizionario si attribuisce il label scientifico senza imporsi alcun criterio rigoroso come la frequenza di utilizzo della nuova parola, la sua fluttuazione, la sua geografia, la sua sociologia e soprattutto la sua temporalità! Jean Dutour ricordava nel 1998 che è necessario un lungo periodo di osservazione affinché una parola si integri definitivamente in una lingua, nonché per inserirla in un dizionario; ma adottandola in maniera precipitosa, il Robert lo passa al microonde, e, fatto ancor più grave, lo approva seconda la formula magica che avanza qualsiasi dizionario come istanza di legittimazione: “E’ nel dizionario, dunque può essere utilizzato!”. Il Robert è molto utile per giocare a scrabble nelle case di cura, ma è politicamente irresponsabile.
In quali aspetti il Robert è politico? La lingua non si evolve tramite trasgressioni? Non sono la pratica e l’uso a dover primeggiare?
“La lingua si evolve” è la peggiore banalità della storia delle sciocchezze. La verità è che la lingua è una realtà vivente, dunque anch’essa può morire. Possiamo constatare due nuove abitudini inquietanti nell’attuale lingua francese: la sostituzione e la sottrazione. Si utilizzano innumerevoli parole “angloamericane” al posto di parole francesi esistenti: “run” al posto di “courir”, “barber” al posto di “coiffeur”, “booster” al posto di “dynamiser”… Ciò non si è mai verificato nella storia di questa grande lingua millenaria. L’altra abitudine, la sottrazione, consiste a non appropriarsi più in francese dei nuovi elementi (nel campo dell’informatica o finanziario, tanto per cominciare); questa preferenza non è di ordine linguistico, ma di ordine immaginario, nel senso della psicoanalisi: la lingua francese è sottomessa alla lingua del padrone. Il pronome “iel”, che imita “he/she”, si iscrive in questa forma di sottomissione (…). La scrittura detta inclusiva non è una scrittura ma un codice, che non è inclusivo ma esclusivo e rientra nel separatismo “angloamericano” (…). Il codice esclusivo ignora la lingua francese, è brutto, sordo, semplicistico, moralistico, oltre che illeggibile e impronunciabile (…). Approvare questo “pronome” inconsistente non è un’operazione linguistica, ma un atto militante, che contribuisce all’autocolonizzazione in corso.
(Traduzione di Mauro Zanon)
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