“Il pronome fittizio o il virus della decostruzione della lingua”
Lo scrittore e membro dell’Académie française Jean-Marie Rouart insorge contro la manomissione dei dizionari
Il Foglio Internazionale: ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere, a cura di Giulio Meotti
"Una lingua, così come l’appartenenza a un paese, è un bene comune”, spiega al Figaro lo scrittore e membro dell’Académie française Jean-Marie Rouart, che ha da poco pubblicato “Ce pays des hommes sans Dieu” (Bouquins). “Per beneficiare della loro protezione e dei vantaggi che ci garantiscono, accettiamo di sottometterci alle loro leggi, alle loro regole, ai loro costumi, perché è la condizione di un’intesa collettiva. Questa sottomissione non avviene senza una forma di sacrificio e di frustrazione. La lingua francese, poiché è essa che viene incessantemente messa in discussione, deve piegarsi docilmente a tutte le aspirazioni individuali o di categoria?
La volontà di introdurre il pronome fittizio ‘iel’, come fa il dizionario Robert, è soltanto la coda della cometa della pressione esercitata dai fautori della scrittura inclusiva. Sarebbe un errore prendere alla leggera queste distorsioni folkloristiche arrecate alla nostra lingua, perché sono i sintomi di un male profondo. Lo sappiamo da sempre, le lingue contengono dei valori essenziali: non sono solo un mezzo di comunicazione. E la lingua francese lo conferma con una particolare eloquenza, esprimendo l’anima di una nazione e i valori di libertà che hanno innalzato il suo magistero estetico e morale in tutto il mondo.
Il pronome ‘iel’, così come la scrittura inclusiva, punta, rispondendo a delle aspirazioni umanitarie certamente comprensibili e a delle sofferenze personali che possono essere legittime come tutte le sofferenze, a imporre la legge del movimento di importazione americana ‘woke’ in tutti i campi: la storia, la società, i costumi. Vuole naturalmente influenzare le politiche. E oggi anche la lingua francese con quest’ultima trovata, ‘iel’. Ciò che è in gioco con questo pronome e con tutta la dottrina settaria che veicola, è niente di meno che la decostruzione della nostra civiltà. Smantellando pezzo dopo pezzo la nostra lingua, si vuole cancellare il suo spirito, riducendola a una poltiglia informe e illeggibile.
I sostenitori di questa setta militante non si rendono conto – o piuttosto non ci fanno caso – che questa lingua bella e precisa era lo strumento più efficace per esprimere le loro rivendicazioni, i loro stati d’animo, le loro frustrazioni e per conferire a tutto ciò un’enorme importanza. A tal punto che Gide ha potuto portare avanti la sua battaglia per il riconoscimento dell’omosessualità e Simone de Beauvoir ha potuto far prendere coscienza delle realtà del femminismo (…) E’ la magia della letteratura: dare la possibilità a uno stato d’animo particolare di diventare universale. Ma è la volontà di agire per una causa che li anima o l’odio inespiabile nei confronti di una società di cui desiderano la distruzione?
Il Robert che, accettando questo pronome ‘iel’, ha provocato lo scandalo, sembra mosso meno da ragioni militanti e più da ragioni commerciali che lo portano a provocare ogni anno un piccolo caso mediatico in occasione della pubblicazione della nuova edizione del dizionario. Il fatto sorprendente è l’assenza di proteste da parte dei grandi responsabili davanti a questo rischio fatale che corre la nostra lingua.
Fortunatamente, dopo un deputato, François Jolivet, il ministro dell’Istruzione Jean-Michel Blanquer ha rapidamente reagito, dichiarando che se il femminismo è la grande causa del quinquennio non deve per questo motivo “triturare la lingua francese” (…). Appoggiato su questo tema dalla première dame Brigitte Macron, che ha invitato tutti al buon senso: ‘Ci sono due pronomi, il e elle’. Ma a quanto pare, queste reazioni non sono bastate per arginare un movimento che ha delle radici molto profonde (…). L’invasione del movimento ‘woke’ attraverso il pronome ‘iel’ e della scrittura inclusiva rischia di dare un colpo fatale alla nostra lingua e più in generale alla nostra nazione.
Assisteremo a nuove querelle tra parrocchie opposte, a nuove guerre di religione, a nuovi scontri teologici che accresceranno le nostre divisioni e renderanno ancora più fragile l’arcipelago francese (il riferimento è al libro del sociologo e direttore dell’istituto sondaggistico Ifop Jérôme Fourquet, ‘L’archipel français. Naissance d’une nation multiple et divisée’, Seuil). In un momento in cui già molte minacce incombono su di noi, la globalizzazione, il rischio della nostra dissoluzione, un islam conquistatore, non aggiungiamo alle nostre rilevanti debolezze e alle nostre impotenze un indebolimento deleterio della lingua francese, che forse è il nostro ultimo bene comune”.
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