un foglio internazionale
La crisi della classe media
Dal Kazakistan al Sudafrica, le proteste nascono dal risentimento del cittadino che subisce i colpi di questa fase della globalizzazione
Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere, a cura di Giulio Meotti
Immagina di stare per compiere trent’anni in una città in una parte del mondo a medio reddito, dunque né ricca né povera per gli standard globali”. Così inizia la storia di copertina di Jeremy Cliffe sulla rivista britannica New Statesman. “Forse vivi in una metropoli tentacolare come Istanbul, San Paolo o Bangkok, o forse in un centro regionale: Khabarovsk o Durban, Oran o Chennai, Chongqing o Tijuana. I tuoi nonni erano contadini ma i tuoi genitori hanno avuto successo; si sono trasferiti in città e hanno guadagnato abbastanza da permettersi un mutuo per comprare una casa, ottenere l’assistenza sanitaria, andare al cinema o al ristorante, e mandarti all’università. Tuttavia, oggi i tuoi genitori stanno invecchiando e fanno fatica a pagare i debiti. Tuo padre non ha lavorato per mesi a causa del Covid-19, e ha perso il suo stipendio. E nonostante tu ti sia laureato quasi dieci anni fa e guadagni quello che prima degli anni del boom sarebbe stato un ottimo salario, vivi ancora con i tuoi genitori – una fatica, specialmente durante il lockdown. I prezzi sono aumentati e il tuo lavoro da impiegato, operaio specializzato o maestro non paga abbastanza da consentirti di andare a vivere da solo. I tuoi genitori sono saliti nella scala sociale, ma tu sei fermo o stai andando indietro. Nella tua città tanta gente si è arricchita negli ultimi anni (come si evince dalla macchine di lusso che girano per strada e le ville recintate in periferia), ma si tratta sempre degli amici del governo.
Tu sei infastidito dalla corruzione e dalla mala gestione. La sera fai il giro dei social media, e segui chi condivide la tua rabbia e frustrazione. Un evento relativamente piccolo è la goccia che fa traboccare il vaso: forse un aumento nella bolletta del gas che minaccia di compromettere le finanze fragili dei tuoi genitori, o un amico che non va d’accordo con un funzionario locale e perde il posto di lavoro, o un incremento nel costo dell’autobus derelitto che usi per andare a lavoro. Tu sbotti. Basta. Ti unisci a gruppi di proteste o app messaggistiche, tipo WhatsApp o Telegram. Vai a una manifestazione. Voti per un outsider o un politico anticonformista che promette il cambiamento.
Questa, o almeno gli eventi che portano a quel momento finale, è una sintesi generica dell’esperienza di milioni di membri di quella che potrebbe essere chiamata la nuova classe media globale. E come hanno dimostrato gli ultimi anni, una minoranza crescente sta perdendo la pazienza con sistemi che non riescono più a garantire una migliore qualità della vita unita a maggiori libertà. Loro stanno scendendo in strada per protestare”.
Cliffe mette in fila molti eventi degli ultimi anni: nel 2019 ci sono state grandi manifestazioni in Algeria, Cile, Ecuador, Georgia, Libano e Russia. Nel 2020 è stato il turno di Bielorussia, Tailandia, Libano, dopo l’esplosione al porto, e Brasile, Iran e Messico, dove la pandemia è stata gestita male. Nel 2021 ci sono state proteste di massa in Colombia, Nigeria, Sudafrica, Turchia e Russia, e nelle prime settimane del 2022 è toccato al Kazakistan. La rivolta della classe media impoverita, sostiene Cliffe, continuerà per tutto il decennio. I paesi considerati a “medio reddito” dalla Banca mondiale variano molto tra di loro – si passa da Nigeria e Nicaragua a Romania e Bulgaria – ma hanno alcune caratteristiche in comune. I primi anni Duemila sono stati un grande periodo per la classe media globale, che è stata la principale beneficiaria della globalizzazione fino alla crisi del 2008. La famosa “curva dell’elefante” mostra che nel ventennio dal 1988 al 2008, il reddito della middle class nei paesi a medio reddito e quello della classe dirigente globale sono cresciuti maggiormente. Invece le cose sono andate meno bene per i paesi in via di sviluppo e per i poveri nei paesi ricchi.
Tuttavia, dal 2010 in poi la classe media globale si è rimpicciolita, dato che molti paesi emergenti sono stati duramente colpiti dalla crisi. Alcuni studiosi hanno teorizzato la “trappola del medio reddito”: si applica agli stati che non sono più così poveri da offrire la manodopera a basso costo, ma non ancora abbastanza ricchi da possedere le infrastrutture e le capacità innovative del mondo sviluppato. Il rischio è che questi paesi restino intrappolati nella parte media delle classifiche globali, creando anche dei problemi di tenuta democratica. Molti regimi semi autoritari usano la spesa pubblica per sedare le proteste e compiacere i propri elettori. Tuttavia, quando la crescita rallenta e le casse dello stato si svuotano, ai leader autoritari non resta altra scelta che reprimere le proteste con la forza.
Il Covid-19 ha reso ancora più incendiaria la situazione in molti paesi a medio reddito che, a differenza del terzo mondo, sono urbani e dunque predisposti alla diffusione del virus ma, rispetto all’occidente, non hanno risorse fiscali sufficienti per salvare le imprese sull’orlo del collasso. Il grande boom della classe media globale si è capovolto, tanto che, secondo una ricerca del Pew Research Group, questa categoria ha perso 54 milioni di membri solo nel 2020. Come ha scritto la Banca mondiale, i nuovi poveri tendono a vivere nei paesi a medio reddito. Cliffe mette in fila diversi fenomeni: “Crescita zero, il ricordo sbiadito di un’epoca d’oro, diseguaglianze crescenti e repressioni autoritarie. Sullo sfondo di tutto ciò c’è una nuova popolazione urbana, con un’istruzione universitaria e una grande dimestichezza con la tecnologia. E una pandemia che ha accelerato molte tendenze preesistenti”. Tutto questo crea una miscela esplosiva che conduce dritto in piazza.
In molti casi c’è stato un evento molto specifico, e a volte di piccole dimensioni, che ha dato sfogo alle proteste: in Libano nel 2019 c’è stato un incremento del due per cento nell’Iva, in Sudafrica nel 2021 la miccia è stata l’incarcerazione dell’ex presidente Jacob Zuma. Queste dinamiche arriveranno anche nel paese più a medio reddito di tutti, ovvero la Cina che ha una classe media di circa mezzo miliardo di persone? Tuttavia, anche a Pechino c’è un problema di debito, che si somma a una crisi demografica. La trappola del reddito medio terrorizza i leader cinesi, e a ragione. Finora la Cina non ha avuto delle proteste di massa – soprattutto grazie al suo onnipresente sistema di videosorveglianza – anche se gli ultimi lockdown hanno animato una rara espressione di dissenso sui social media.
“Dobbiamo abituarci a queste proteste?”, si domanda Cliffe. Una minore crescita nei paesi a medio reddito significa una frenata anche nei paesi più ricchi (soprattutto la Gran Bretagna) che vendono loro i servizi. Tutto questo implica ulteriori sconvolgimenti politici: sia il Perù che il Cile hanno eletto dei governi di sinistra nel 2021, entrambi figli di movimenti di protesta. Lo stesso potrebbe succedere in Colombia e in Brasile, a causa dello scontento con i governi populisti di destra attualmente in carica.
Secondo il commentatore, l’altra grande domanda è: “Fino a dove sono disposti a spingersi i leader autoritari per schiacciare il dissenso, e questo quali cambiamenti economici e geopolitici comporterà. La tendenza del presidente Erdogan a usare l’interventismo all’estero per distrarre l’opinione pubblica dai problemi domestici diventerà più estrema con il crescere delle proteste? L’India di Modi proverà ad aumentare il proprio consenso con la classe media a trazione hindu aizzando l’odio contro i musulmani? Il nuovo governo iraniano guidato dall’oltranzista Ebrahim Raisi farà saltare un compromesso nelle trattative sul nucleare con l’Ue e gli Stati Uniti come reazione al malcontento generale? E le proteste in Bielorussia e Kazakistan convinceranno Vladimir Putin a irrigidire ulteriormente il pugno contro gli stati confinanti? E poi c’è la Cina.
Qui le possibilità che le proteste smuovano la politica sono basse. Ma è proprio qui che la turbolenza comporterebbe le conseguenze globali più importanti. Il Partito comunista cinese ha riconosciuto le sue vulnerabilità con una agenda chiamata ‘Prosperità Comune’, che è mirata a ridurre le diseguaglianze e limitare gli eccessi che il paese si è concesso durante gli anni del boom. Ma con la crisi del settore immobiliare cinese (in molti hanno comprato l’appartamento pagando un deposito, senza fare un mutuo) e il ventesimo congresso del Partito che incombe in autunno, è difficile evitare la domanda: è se anche la Cina fosse suscettibile alle difficoltà della classe media globale? Se questo fenomeno dovesse arrivare anche in Cina, e se i cinesi dovessero reagire come hanno fatto gli altri membri della classe media globale, allora davvero andremmo incontro a una nuova epoca di crisi”.
(Traduzione di Gregorio Sorgi)