Un Foglio internazionale
Gli intellettuali francesi non si riconoscono più nella sinistra
Rivendicano ancora l’appartenenza alla loro famiglia di pensiero, ma è questa, con il suo settarismo ideologico, ad averli abbandonati
Si sono tanto amati… Tra la sinistra e gli intellettuali, la luna di miele è durata quasi un secolo. Dall’affaire Dreyfus, la sinistra intellettuale ha regnato quasi incontrastata nella vita delle idee. Questa egemonia era diventata quasi totale dopo la guerra, in seguito al discredito gettato contro il pensiero conservatore da parte del regime di Vichy. Maurras non viene considerato e Sartre sovrasta Camus. I grandi maestri del pensiero si chiamavano Simone de Beauvoir, Maurice Merleau-Ponty, Claude Levi-Strauss, Roland Barthes, Michel Foucault. Solo i centristi François Mauriac, Raymond Aron e Jean-François Revel erano tollerati su uno strapuntino ideologico. Ma oggi qual è la situazione?
“Tutti i grandi intellettuali sono sempre stati di sinistra, si pensi a Sartre, Bourdieu, Wittig, Foucault, Butler, Mouffe, Eribon… I creatori di concetti sono nel nostro campo”, ha affermato di recente sull’Express e senza ridere il sociologo Geoffroy de Lagasnerie. Eppure, nella lista che ha citato, quattro sono morti, due sono stranieri, e l’ultimo, Didier Eribon, è suo amico intimo. In un momento in cui la sinistra, includendo tutti gli schieramenti, viaggia attorno al 20 per cento nei sondaggi, si fatica a identificare le grandi figure intellettuali della sinistra francese. Sono sparite o forse sono state progressivamente escluse dal loro campo ideologico fino a diventare loro malgrado delle figure della destra? (…).
Molti di loro, Michel Onfray, Jacques Julliard, Élisabeth Badinter o Alain Finkielkraut dicono ancora di appartenere a questo campo ideologico, pur essendo stati cacciati da esso metodicamente. “Non esiste più la sinistra intellettuale, c’è soltanto un’estrema sinistra intellettuale che vuole il monopolio del pensiero, esclude e traccia il perimetro di ciò che è rispettabile”, dice Marcel Gauchet, preso regolarmente di mira per la sua presunta prossimità con l’estrema destra. “Non ho la sensazione di essermi destrizzato. Mi sento di sinistra, perché credo che ci sia sempre spazio per una trasformazione della società verso maggiore giustizia”, afferma l’autore del libro “Désenchentement du monde”. Un punto di vista che condivide con lo storico Jacques Julliard. “Non sono gli intellettuali che hanno abbandonato la sinistra, è la sinistra che ha abbandonato gli intellettuali”. Quest’ultimo, che è stato aggiunto alla “lista” di Lindenberg in occasione della riedizione del libro nel 2016 (la prima edizione di “Le Rappel à l’ordre, enquête sur les nouveaux réactionnaires” è uscita nel 2002, ndr), preferisce parlare di “terzo partito intellettuale” per designare quelli che non si riconoscono più nella sinistra multiculturalista, ma detestano l’etichetta “di destra” che viene loro affibbiata.
Col rafforzamento della sinistra radicale, il terzo partito intellettuale si è progressivamente staccato. C’è stata la battaglia del velo nel 1989, che ha evidenziato una frattura tra una sinistra laica e universalista e una sinistra multiculturalista sostenitrice di una laicità aperta all’americana. Régis Debray, Élisabeth Badinter, Élisabeth de Fontenay, Catherine Kintzler e Alain Finkielkraut firmano un manifesto rumoroso sul Nouvel Observateur, invitando Lionel Jospin a non cedere sulla questione del velo negli istituti scolastici. Negli anni Novanta, la battaglia sulla scuola oppone una sinistra attaccata al modello repubblicano e alla trasmissione ai “pedagoghi”, i quali vogliono fare della scuola il luogo di lotta contro le diseguaglianze. Infine, in questi ultimi anni, la frattura si è cristallizzata attorno al movimento decostruzionista delle scienze sociali, che promuove la teoria del genere e della razza nelle università. Quelli che osano opporsi, come la sociologa Nathalie Heinich, ex discepola di Bourdieu, o Sylviane Agacinski, che lo fu di Derrida, vengono irrimediabilmente ripudiati e gettati nel campo dei conservatori. Fra i membri di questo “terzo partito intellettuale” arrivato da sinistra, c’era anche il politologo Laurent Bouvet, fondatore di Printemps républicain. Poche ore dopo la sua morte, lo scorso 18 dicembre, il giornalista di Télérama Samuel Gontier si divertiva con rara indecenza su Twitter a sottolineare tutti gli omaggi all’intellettuale arrivati dalla destra e dall’estrema destra, fatto che secondo lui mostrava “la vera natura ideologica di Printemps républicain”. E’ vero che Laurent Bouvet – il quale nel 2002 aveva chiuso i rapporti con Pierre Rosanvallon, suo direttore di tesi, dopo la pubblicazione del libro di Lindenberg, e si era dimesso dal suo ruolo di segretario generale della République des idées – “trovava più spazio sul Figaro” che non nei circoli della sinistra, come ha sottolineato Manuel Valls.
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