Sono scomparsi  gli spazi di espressione: in Cina è l'epoca del pessimismo

Una ricercatrice di Human Rights Watch fa il punto sulla repressione e sull’impunità all’interno del regime cinese
 

Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere a cura di Giulio Meotti


 

In occasione dell’apertura dei Giochi olimpici invernali a Pechino, la ricercatrice e specialista della Cina per l’organizzazione di difesa dei diritti fondamentali Human Rights Watch (Hrw) Maya Wang sul Monde ricorda che le deboli critiche degli occidentali verso il regime cinese hanno “gonfiato il suo senso di impunità”. Wang si occupa in particolare della repressione dei dissidenti cinesi e delle minoranze, tra cui l’internamento di massa degli uiguri, così come dell’utilizzo delle nuove tecnologie da parte del regime di Pechino. E’ preoccupata delle conseguenze a lungo termine dell’operato del presidente Xi Jinping nella società cinese. 

  

Human Rights Watch ha lanciato un appello al boicottaggio diplomatico dei Giochi olimpici invernali. Ma solo alcuni paesi, prevalentemente occidentali, come gli Stati Uniti, ma non la Francia, non hanno inviato i loro rappresentanti di governo. E’ un’illustrazione della nuova geopolitica attorno alla Cina?

“Nel 2008, nessun paese aveva preso in considerazione l’ipotesi di un boicottaggio diplomatico, tutti ritenevano che la Cina fosse troppo importante per gli scambi commerciali e voleva fare affari con lei”, dice Maya Wang a Le Monde. “Il paese sembrava lontano e il disinteresse per ciò che accadeva laggiù era assai diffuso. Il punto di vista di alcuni stati è cambiato, ormai vedono la Cina come una minaccia per l’ordine internazionale e per i diritti umani. Il boicottaggio è anzitutto il segno dello scontro tra due grandi potenze, ma c’è anche una presa di coscienza più vasta. I paesi terzi hanno un approccio forse più morbido per via del suo peso economico, ma la sua crescita rallenta. E le opinioni pubbliche sono più informate, le cose si stanno muovendo”. 

 

Com’è cambiata la situazione in materia di diritti umani tra i Giochi olimpici estivi del 2008 e quelli invernali del 2022?
“Il bilancio della Cina in materia di diritti umani è sempre stato molto povero. Nel 2008, i Giochi olimpici estivi sono stati l’epicentro di un nazionalismo alimentato dal governo, ma con un vero fervore popolare. Era anche l’epoca di un importante movimento in favore dei diritti umani, con attivisti e avvocati che conducevano azioni e lanciavano campagne di sensibilizzazione. I tempi erano difficili, ma c’era ottimismo. Quei Giochi erano anche l’occasione per il potere di investire enormemente in ciò che chiamava il ‘mantenimento della stabilità’. Un buon numero di concetti e attuali tecniche di controllo sono emerse in quel periodo. Oggi il clima in materia di diritti umani è repressivo e la libertà di parola è ridotta. Prima le persone potevano esprimersi, anche se ne subivano le conseguenze. Quegli spazi di espressione sono scomparsi, siamo nell’epoca del pessimismo”. 

  

Per reprimere, le autorità cinese puntano soprattutto sulle nuove tecnologie. Con quali conseguenze? 
“E’ un aspetto emerso verso il 2000 con il progetto Scudo d’oro, volto a controllare internet, divenuto in seguito il grande firewall del web. Da allora, le sue forme si sono moltiplicate: riconoscimento facciale e vocale, localizzazione. Tecnologie di sorveglianza di massa che il governo utilizza in maniera crescente. Detto questo, ogni tecnologia ha i suoi limiti. Per esempio, la ‘piattaforma operativa’, che doveva trasmettere automaticamente i nomi dei terroristi uiguri nello Xinjiang, era stata presentata come ‘high-tech’, ma nei fatti le autorità si sono ritrovate ad arrestare qualsiasi persona: quelle che utilizzavano troppa elettricità, quelli che usavano l’app di messaggistica Whatsapp invece dell’equivalente cinese WeChat. La tecnologia è vista come una risposta a tutti i mali, al prezzo di una sofferenza di massa e di nuove derive: chiunque può essere identificato a torto come una minaccia potenziale verso il Partito comunista cinese (Pcc). Con queste tecnologie, il governo si compra un sentimento di sicurezza a un prezzo molto elevato. Ma creano un clima nefasto che frena la creatività e l’iniziativa, fattori di progresso per la società”. 

 

Esiste ancora una società civile in Cina, o ormai ci troviamo di fronte a un regime che ha bloccato tutto? 

“Ci sono ancora alcuni individui che conservano uno spirito militante, e certe associazioni possono occuparsi di temi meno sensibili come l’assistenza dei lavoratori migranti interni e l’educazione dei loro figli. Sono seguite da molto vicino dalle autorità, ma ancora tollerate. Sono più concentrate su un servizio concreto che non su una riflessione in materia di società, riflessione che invece non è più possibile”.

   

(Traduzione di Mauro Zanon)