Un Foglio internazionale
Altro che modello cinese
Niall Ferguson mette a confronto la risposta di Pechino e dell’America alla pandemia. E dice che nel lungo periodo i paesi liberi saranno vendicati
"I regimi autoritari tendono ad auto compiacersi e a denigrare i propri rivali. E la Cina del presidente Xi non fa eccezione”. Così inizia il saggio dello storico Niall Ferguson su Bloomberg che mette a confronto la gestione del Covid in Cina e in America. Molti commentatori cinesi vicini al regime hanno sostenuto che l’America avesse fallito, e che le ottocento mila vittime fossero la prova di quanto fosse disfunzionale il sistema americano. Al contrario, hanno scritto che la ferrea strategia cinese per prevenire i contagi domestici e quelli provenienti dall’estero fosse la “più adatta alle condizioni nazionali della Cina, oltre a essere benefica per il mondo intero”. “I cinesi potrebbero avere ragione?”, si domanda Niall Ferguson, secondo cui “una della cose più sorprendenti (della pandemia, ndt) è il contrasto tra il tasso di mortalità in America e in Cina. Come possiamo spiegare questa divergenza sorprendente? La risposta semplice è che, nonostante la Cina fosse l’epicentro da cui è partito il contagio globale, il governo di Pechino ha gestito molto bene la fase del contenimento, mentre gli Stati Uniti hanno sbagliato tutto, dai tamponi alle mascherine. Il Partito comunista cinese è andato oltre, spiegando che questa differenza tra i due paesi è la prova della superiorità del sistema cinese. “Tuttavia, non ho mai condiviso la seconda tesi – sostiene Ferguson –. E non sono più soddisfatto dalla prima”.
Il paradosso è che gli Stati Uniti sono al ventesimo posto al mondo per tasso di mortalità – solo alcuni stati dell’Europa dell’est e dell’America Latina hanno fatto peggio – nonostante fosse il paese meglio equipaggiato a gestire una pandemia. Ed è ancora più sorprendente, prosegue Ferguson, che il Covid ha ucciso meno di cinquemila persone in Cina. Le statistiche cinesi vanno sempre prese con le pinze, ma anche i calcoli dell’Economist indicano che il tasso di mortalità a Pechino è stato di lunga inferiore a Washington. Un grande risultato, considerando che la pandemia è originata a Wuhan. “Ci sono due fattori che spiegano l’alto tasso di mortalità in America – sostiene Ferguson –. Innanzitutto, l’apparato della sanità pubblica americana ha fallito completamente. All’inizio, quando sapevamo poco oltre il fatto che il virus fosse contagioso e pericoloso, le agenzie competenti sono state incredibilmente compiacenti quando invece avrebbero dovuto testare, tracciare e isolare”. Poi all’improvviso sono finite in preda al panico: hanno imposto una serie di misure draconiane spesso superflue e poi, quando si sono rese conto che questo approccio avrebbe distrutto l’economia, hanno alternato delle aperture e chiusure spesso inutili. Anche ora che abbiamo a disposizione dei vaccini molto efficaci e una variante che causa dei sintomi influenzali tra i vaccinati, alcuni stati americani non riescono a dissociarsi dalle restrizioni imposte negli ultimi due anni. Le aree con il maggior numero di vaccinati – come la California – continuano a imporre delle regole ferree, mentre gli stati più vulnerabili vivono senza restrizioni.
Tuttavia, secondo Ferguson, la seconda ragione per l’alto tasso di mortalità sta nel fatto che “l’America è un paese di darwinisti sociali”. Uno dei princìpi cardine di questa ideologia è che gli interventi sociali del governo sono dannosi perché interferiscono con le leggi naturali dell’evoluzione, che alimentano il progresso. Alcuni fautori del darwinismo sociale si sono spinti oltre, sostenendo che le infezioni possono essere utili a promuovere la sopravvivenza dei più forti. Il passo è breve dal darwinismo sociale all’eugenetica, l’idea secondo cui il governo dovrebbe promuovere la riproduzione dei forti e limitare quella dei deboli. Il linguaggio usato da filosofi come Charles Spencer, che hanno accusato l’apparato della sanità pubblica di “favorire la moltiplicazione di coloro che sono meno adatti a vivere”, non è così diverso da quello utilizzato attualmente dai libertari americani.
Le teorie di Spencer oggi appaiono deliranti, dato che l’establishment medico e sanitario ha assunto la posizione di potere che lui tanto temeva, lasciando una marmaglia di No vax e scettici del lockdown a riciclare le sue tesi. Il fenomeno più interessante, sostiene Ferguson, è una sorta di revival del darwinismo sociale, non solo tra i militanti che si sono opposti al lockdown ma anche tra le tante persone che hanno semplicemente violato le regole. “Ignorando i dettami di un nanny state invadente, o adempiendo alle regole in modo così negligente al punto da renderle inefficaci, queste persone hanno tacitamente aderito al principio della sopravvivenza del più forte”, sostiene Ferguson, secondo cui il popolo americano ha una grande tolleranza della mortalità, come si vede dall’uso incontrastato delle armi da fuoco e degli oppioidi. Questo approccio è completamente diverso da quello cinese che – piuttosto che il darwinismo sociale – ricorda molto il panottico ideato da Jeremy Bentham nel diciottesimo secolo. Il prigioniero non era sicuro di essere sotto osservazione, e questa incertezza lo induceva a comportarsi bene. Le restrizioni cinesi sono state copiate in tutto il mondo, ma c’è una ragione molto semplice per cui sono state più efficaci in Cina: il sistema di sorveglianza onnipresente del Partito comunista.
Eppure la variante Omicron rischia di compromettere il panottico di Xi. La popolazione cinese non ha acquisito alcuna immunità di gregge, e la scarsa efficacia dei vaccini prodotti in Cina offre una protezione insufficiente dalla variante Omicron. Di conseguenza, la Cina è costretta a imporre delle restrizioni senza precedenti. Al momento, oltre venti milioni di persone vivono in lockdown in varie città, soprattutto a Xian e Tianjin. Il paese è sempre più isolato dal resto del mondo: le Olimpiadi invernali di Pechino si disputano con l’assenza quasi totale di spettatori stranieri, il numero di voli internazionali diretti verso la Cina è stato tagliato di oltre il novanta per cento. Il ritorno a una società chiusa è perfettamente in linea con i tentativi di Xi di riesumare alcuni aspetti del maoismo: il dominio del Partito comunista sulla sfera privata, l’intolleranza nei confronti delle minoranze etniche e dei dissidenti interni, la volontà di andare in guerra. Ma non è chiaro, nota Ferguson, come tutto questo possa consentire all’economia cinese di crescere al punto da superare quella statunitense.
Al contrario, la tendenza americana a ignorare le restrizioni – combinata con l’enorme stimolo fiscale e monetario offerto dal governo – ha significato un disastro sanitario ma una ripresa economica senza precedenti. Molti esperti occidentali non riescono a comprendere questo paradosso. Lo scienziato britannico Neil Ferguson è stato uno dei tanti fautori del modello cinese. “Loro (i cinesi) hanno sostenuto di avere abbassato la curva dei contagi”, ha detto Ferguson in un’intervista qualche tempo fa: “All’inizio ero scettico (…) ma con l’accumularsi dei dati è diventato chiaro che quella politica è stata efficace”. La domanda era: l’occidente può copiare il lockdown cinese? “Ci eravamo detti: si tratta di uno stato monopartitico comunista – ha risposto Ferguson –. Avevamo pensato: non possiamo farcela in Europa. Poi l’Italia ce l’ha fatta. E noi abbiamo capito che ce la potevamo fare”.
“Mi continua a incuriosire il fatto – scrive Ferguson – che così tante persone intelligenti erano convinte che la Repubblica popolare cinese dovesse essere il modello di una società libera alle prese con una pandemia (al contrario di molte democrazie dell’est asiatico come la Corea del sud e Taiwan che non hanno imposto grandi restrizioni). Ma abbiamo seguito quella strada, recando grandi danni all’economia, prima di capire che non era più sostenibile – che nemmeno Ferguson (o, si è scoperto, il governo di cui era consulente) erano in grado di aderire a un sistema di arresto domiciliare universale, figurarsi gli americani libertari.
Oggi negli Stati Uniti il Covid è diventato una condizione burocratica quanto medica. Avendo contratto la variante Omicron a dicembre, io e la mia famiglia dobbiamo continuare a obbedire a una serie di regole che non hanno alcun senso, dato che non possiamo prendere né trasmettere il virus subito dopo esserne stati contagiati. Continuo a indossare insensatamente una mascherina nelle riunioni di lavoro e in aereo. Continuo a eseguire insensatamente i tamponi anti Covid, e a compilare dei moduli digitali per i miei figli. Forse quest’anno a un certo punto spunterà una variante – Pi, Rho, Sigma, scegliete voi – che sarà più grave di un raffreddore. Ma prima di allora, proverò un risentimento individualista – che ora riconosco essere qualcosa di molto americano – verso questa pletora di regole disfunzionali. Quando (se?) verranno finalmente abolite, sarò felice. E, se il panottico cinese dovesse finalmente perdere il controllo del virus cinese, in questo terzo anno di pandemia, farò presente che, nella storia degli scontri tra imperi rivali, la sanità che determina la sopravvivenza non è quasi mai correlata al controllo dello stato sull’individuo – o alla sua tendenza a vantarsene”.
(Traduzione di Gregorio Sorgi)
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