un foglio internazionale
Il martirio di Shaïna, assassinata perché troppo libera
Nella Francia dei Lumi, dei diritti e della laicità, tante ragazze sono vittime del comunitarismo religioso
Ci sono numerose piccole Roubaix in Francia, scrive Valérie Toranian, la direttrice della Revue des Deux Mondes. Quartieri in cui i costumi e i valori obbediscono ad altre regole rispetto a quelle che la République vuole promuovere. Quartieri dove le norme di buona condotta, di decenza e di modestia aggiornate al gusto dell’islam politico separano la popolazione femminile in due. Quelle che si nascondono e quelle che sono libere. Le ragazze dignitose e le “puttane”. Oltre al rispetto delle regole halal e alla vendita di bambole senza volto, è il principale separatismo e il più pernicioso: quello che traccia una frontiera, che trent’anni fa non esisteva in Francia, tra le pudiche e le altre. Quelle che meritano il rispetto e quelle che non lo meritano. Le prime sono velate, non frequentano i ragazzi né i bar, e obbediscono senza resistenza. Le secondo non capiscono perché, cresciute nella Francia del Diciannovesimo secolo, dovrebbero vivere in maniera diversa rispetto alle loro compagne.
Passeggiare, vestirsi come si vuole, frequentare i ragazzi, non portare il velo. Siamo in Francia, no? Non in Iran o in Arabia Saudita! Queste ragazze tentano di sottrarsi alla pressione sociale del quartiere. Le più forti ci riescono. Molte sono richiamate all’ordine, fino a che, stanche di combattere, si sottomettono. Shaïna Hansye, 15 anni, si è ostinata a voler vivere liberamente: è morta per questo motivo. Al termine di un dramma spaventoso, a Créil, che inizia con uno stupro collettivo nel 2017 e termina con la scoperta del suo corpo carbonizzato in una capanna nel 2019. Il processo dei suoi stupratori si apre oggi a Senlis. Certo, non è quello del suo assassino. Ma la famiglia vorrebbe che la giustizia si rendesse conto che quello stupro collettivo è stato il punto di partenza che ha portato al suo assassinio. “Invece di farne una vittima, lo stupro di gruppo ha consacrato la falsa idea che fosse una ‘ragazza facile’ e ha aperto la strada ad altre violenze: nella testa degli aggressori, la sua reputazione era sufficientemente rovinata da quella prima aggressione per permettersi di rovinarla ancor di più. Fino ad assassinarla”, spiega il suo avvocato, Negar Haeri. Quello stupro fu il primo atto di una tragedia che ne conta tre. Nel 2017, Shaïna, 13 anni, viene stuprata in gruppo da quattro ragazzi, portata sui luoghi del crimine dal suo “fidanzato”, 14 anni. Aveva minacciato Shaïna di diffondere sui social alcune foto che la ritraevano nuda, ottenute sotto costrizione. Voleva far approfittare i suoi amici del tesoro: ognuno può disporre di una “ragazza facile” come meglio crede. Le puttane sono fatte per questo.
Shaïna sporge denuncia al commissariato, con coraggio, il giorno stesso. E’ accompagnata dai suoi genitori. Il dettaglio è importante. Spesso, la famiglia soffoca queste aggressioni: la “reputazione” deve essere preservata ad ogni costo, la “vergogna” della ragazza ricade su tutta la famiglia. Gli aggressori, invece, negano in blocco. Si sa, le puttane mentono… Il “fidanzato” farà un mese di detenzione in un centro di reinserimento sociale. Continua a minacciare Shaïna: non sopporta il fatto che abbia sporto denuncia. Nel maggio 2019, accompagnato da una banda di amici, la blocca in un parco. Il gruppo inizia a picchiarla. Shaïna sviene, priva di coscienza. Si vantano di averle “tirato un calcio in bocca”. L’ex fidanzato è nuovamente sotto inchiesta per “violenze di gruppo, minacce di morte e stupro”.
Lo stesso aggressore, la stessa vittima. Ma è minorenne, dunque sfugge alla prigione e circola in libertà. E’ il secondo atto. Il terzo si verifica cinque mesi dopo. Shaïna ha un nuovo fidanzato. O piuttosto un nuovo predatore? Vuole avere delle relazioni sessuali, ed è convinto che nel quartiere, con lei, “può averle facilmente (…). E’ vero che mi sono servito di lei. Sapevo con quale obiettivo le parlavo”, dirà più tardi agli inquirenti. Shaïna sogna una relazione. Annuncia al nuovo fidanzato di essere incinta e la sua intenzione di tenere il bambino. Verrà accoltellata e bruciata viva (…). L’assassinio barbaro di Shaïna Hansye non ha suscitato reazioni importanti a livello nazionale, come nel caso della morte di Sohane Benziane, bruciata vive in una stanza per i rifiuti a Vitry-sur-Seine, nel 2002. Come se nel nostro paese ci si fosse abituati a una Repubblica alternativa dove, in alcuni quartieri, le donne sono sotto stretta sorveglianza. Peggio, qualsiasi ideologia identitaria retrograda, che ha il velo come portabandiera, si è insinuata a tal punto nella società che non si capisce più cosa rappresenti. Al contrario, viene relativizzato il significato del velo, viene considerato come un simbolo di libertà, di una scelta individuale. Ma di quale libertà si parla quando, in alcuni quartieri, rinunciare ai codici della donna “decente” o “pudica” vi porta ad entrare a far parte del campo delle “puttane”, sul cui corpo, più o meno consapevolmente, tutto è permesso? Che terribile regressione.
Traduzione di Mauro Zanon
Il Foglio internazionale